Ragazze selvagge, safari e retaggi coloniali: i reality show tedeschi alla conquista dell’ Africa

di Monica Ranieri

Costretti a passare l’estate rintanati in tristi grigie città, rinchiusi in angusti uffici, schiacciati dalla noiosa routine lavorativa? Per le tedesche RTL e ProSieben, emittenti generaliste private, la soluzione è semplice e accattivante: il palinsesto estivo prevede infatti  per quest’anno la messa in onda di due reality show dal gusto “esotico” e  avventuroso, sulla scia di una nutrita serie di precedenti simili nelle tv britanniche e belghe. La prima ha lanciato da qualche settimana “Wild Girls – Auf High Heels durch Afrika”, in cui dodici prorompenti soubrette di altalenante fortuna, per aggiudicarsi il “tacco alto d’oro”,  vagano nel deserto del Namib alle prese con scioccanti compiti come la macellazione delle capre. Ma non c’è da preoccuparsi troppo per la loro salute perché nonostante le teutoniche eroine non siano abituate alla scottante aridità della Namibia, “il silicone fonde a una temperatura di circa 200 gradi Celsius”, come rassicura la rivista tedesca “Focus on line” con penetrante ironia di dubbio gusto. Il programma di RTL è in realtà una reazione al mancato acquisto del format di grande successo di origine belga che è stato comprato invece da ProSieben, l’emittente concorrente che il 22 Agosto farà partire il suo “Reality Queens on safari”. Anche qui le partecipanti provengono da dura gavetta maturata in precedenti stagioni di reality o “docu-soap” dal sapore sottilmente trash, come quelli cui siamo abituati ormai anche nel Bel Paese. Di loro si parla esplicitamente come “bimbos”, termine gergale popolare di origine statunitense con cui generalmente si intende, per chiarire il senso degli show, ragazze stupide che indossano molto trucco e sono ossessionate da ragazzi e vestiti. UrbanDictionary.com opportunamente specifica “Generalmente bionde ma ci sono eccezioni. Di solito si muovono insieme e puoi individuarle perché sembrano tutte uguali e ridacchiano istericamente”. Non possiamo sapere quanto stiano ridacchiano adesso le “Wild Girls” di RTL, ma probabilmente è più importante quanto di loro stia ridendo il pubblico osservandole rendersi ridicole: tuttavia sembra che, ad onor di intelligenza del pubblico tedesco (e si spera dipenda da una scelta consapevole più che da fisiologiche flessioni di stagione dell’audience), il programma non stia totalizzando entusiasmanti percentuali di share.

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Successo o meno, lo show della RTL ha inevitabilmente attirato l’attenzione, se non lo sdegno, di qualche attento osservatore fra le fila del partito dei Verdi tedesco (il Die Grünen), che preoccupato dalle implicazioni coloniali e post-coloniali, ha fatto notare all’emittente che proprio in Namibia, ex colonia tedesca, si perpetuò nel 1904 da parte dell’esercito un feroce massacro della popolazione Herero, indicato nel 1985 da un rapporto nelle Nazioni Unite come il primo vero genocidio del ventesimo secolo. Per l’accaduto, il governo tedesco ha porto formali scuse tardivamente nel 2004, non riconoscendo alcun risarcimento ai discendenti delle migliaia di vittime. Alla responsabilità morale di stabilire con la Namibia e la sue popolazioni un rapporto più consapevole si aggiunge anche la necessità di sottolineare non tanto gli aspetti esotici quanto le attuali condizioni precarie di vita del gruppo etnico degli Himba, con cui le ragazze entrano in contatto. Per tutta risposta RTL ha affermato candidamente che tali questioni storiche e politiche non riguardano “Wild Girls” in quanto trasmissione di intrattenimento e non documentario storico o programma politico sulle violazioni dei diritti umani, esibendo fra l’altro con orgoglio anche l’avvallo alle riprese da parte del Namibia Tourism Board. Ma ombre si stagliano anche sull’utilizzo che viene fatto, ad uso e consumo del turista, di una rappresentazione visiva degli Himba di ascendenza colonialista, riduttiva e stereotipata. Discendenti degli Herero, questi pastori seminomadi sono alle prese con le drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici, la violazione dei loro diritti e la privazione delle loro terre da parte del governo della Namibia, ma continuano ad essere ritratti come “Altro esotico” per eccellenza e che risulta evidente soprattutto nella proliferazione mercificata di immagini che ritraggono maliziosamente le donne Himba tradizionalmente a seno nudo.

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Thomas M. Blaser, sociologo all’Università di Johannesburg osserva, dedicando un pensiero all’ Europa, e, ahinoi, in particolare all’Italia: “ Donne poco vestite su tacchi alti sono l’elemento base dell’ intrattenimento televisivo europeo – vengono in mente in particolare i canali di Silvio Berlusconi – e nonostante il loro sessismo palese e la denigrazione delle donne, questo genere di spettacolo difficilmente sembra destare disapprovazione in un continente alla deriva. Tuttavia, il ruolo di primo piano della  ‘tribù’ Himba aggiunge un’altra dimensione vertiginosa allo spettacolo farsesco di donne bianche sexy”. Blaser riporta anche le argomentazioni dello Spiegel Online secondo cui il programma costituirebbe un rovesciamento dello sguardo coloniale, mettendo in mostra le donne occidentali (non gli uomini, chiaramente). Non si tratterebbe quindi di “arroganza eurocentrica”, ma piuttosto di sottolineare l’indifferenza della natura, e degli Himba che a lei sono più vicini, nei confronti delle ridicole preoccupazioni delle prosperose quanto artificiali ragazze, arrivando quindi a suggerire che i primitivi reali sarebbero gli europei e non gli africani, che possono ora essere spettatori dello “zoo” e scuotere, forse anche bonariamente, la testa di fronte a tale grottesca realtà (a suo tempo, suppone Chritian Buss dello Spiegel, dovevano probabilmente fare così gli osservatori coloniali, o gli spettatori delle esposizioni coloniali: “il buon vecchio Hagenbeck –mercante tedesco che recuperava reperti da esibire in Occidente – avrebbe  acquistato subito un carico di reperti RTL”).  Blaser però conclude il suo lungo resoconto della questione notando che “questo tipo di rappresentazione intende  stabilire un’ equivalenza tra bianco e nero, tra oggi e il periodo coloniale, tra la marginalità degli  Himba da un lato e le starlette televisive tedesche dall’altro”, ma non può fare a meno di dubitare, e noi con lui, sull’efficacia di un facile lavaggio della coscienza che vorrebbe annullare  striscianti e pesanti retaggi coloniali attraverso discutibili rappresentazioni nei mass media e attraverso l’espressionistica e grottesca triste messa in scena di un aspetto di per sé  critico  della condizione femminile usando, e sfruttando, come sfondo il continente africano.


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