La blogger Lina Bin Mhenni sfida minacce e censure per raccontare la Tunisia di oggi

Come ai tempi della Rivoluzione dei Gelsomini, quando diffondeva notizia degli eventi seguendoli sul campo nonostante le intimidazioni, il black out mediatico imposto dal regime e la censura del web, Lina Bin Mhenni, una delle prime e più celebri attiviste della blogsfera tunisina, sta documentando e partecipando ai sit-in notturni e agli scioperi che dal 27 luglio caratterizzano la cronaca tunisina, mettendo in luce gli attriti fra i due maggiori partiti politici da cui dipendono gli esiti del processo di transizione democratica, il partito islamico moderato Ennahda al governo ed il Fronte Popolare che raccoglie le forze di sinistra all’opposizione.

Lina era attesa in questi giorni ad Erbalunga, in Corsica, ospite di un Festival Letterario, ma l’ultimo post del suo blog è una lettera in cui suo padre, ex-prigioniero politico tra i fondatori della sezione tunisina di Amnesty International, scrive agli organizzatori del festival raccontando il profondo travaglio interiore vissuto dalla giovane blogger:

Lina ha trascorso gli ultimi giorni tra serate ai sit-in. L’ho vista poco, ma sapendo che lei aveva programmato il viaggio in Corsica le ho parlato e la sua risposta è stata: “Sono combattuta: da un lato voglio onorare il mio impegno e non voglio deludere i miei amici della Corsica. D’altra parte, è praticamente impossibile per me essere in grado di lasciare il mio paese, in un momento davvero storico, in cui tutto può cambiare in un senso o nell’altro in qualsiasi momento. Non riesco a vedermi partecipare a una conferenza che si svolge in un paese straniero in assoluto comfort, mentre so che i miei concittadini sono lì indifesi a subire la violenza nera davanti alla sede dell’ANC. Per me non esiste condivisione con la mia gente che non sia essere in mezzo alla folla in questi giorni che segnano la sua storia ed il futuro dei suoi figli, tra i miei amici blogger tra le nostre donne e i nostri giovani”.

Quell’aereo per la Corsica Lina ha deciso allora di non prenderlo, rimanendo in Tunisia e continuando a postare sulla sua pagina Facebook aggiornamenti sulla situazione, fotografando e riprendendo i sit-in e tutte le manifestazioni legate alle proteste di questi giorni, come ha fatto con un reportage fotografico sulla marcia di femministe contro il terrorismo il 4 agosto, e non tralasciando il racconto delle violenze della polizia, come nel caso del giovane militante del Fronte Popolare Hamza Belhaj Mohamed, rimasto ferito ad una gamba dopo uno scontro con una volante. Ed è proprio dalla sua pagina Facebook che Lina ha diffuso la notizia secondo cui il Ministero dell’Interno avrebbe preso contatti con suo padre per offrirle protezione in quanto potenziale obiettivo di atti di violenza.

La minaccia, l’ennesima da quando Lina ha cominciato la sua attività di blogger nel 2007, arriva in una fase convulsa del confronto politico e sociale, all’indomani di un’imponente manifestazione notturna a sostegno del contestato partito Ennahda, in cui, secondo le stime ufficiali, in 200.000 sarebbero scesi in piazza a Tunisi  per difendere la legittimità del governo e per scongiurare il contagio egiziano. Il partito all’opposizione non ha comunque intenzione di interrompere le sue iniziative di contestazione: oggi, martedì 6 agosto è prevista una manifestazione, a sei mesi dalla morte di Chokri Belaid, leader del Fronte Popolare, per ribadire la richiesta di fare luce sul suo assassinio. Basma Khalfaoui, vedova di Belaid, ha sempre attribuito la responsabilità della sua morte a Ennahda, chiedendo lo scioglimento del governo.  E’ però recente la notizia dell’arresto di uomini presumibilmente coinvolti negli omicidi di Belaid, nell’ambito delle operazioni di polizia anti-terrorismo effettuate negli ultimi giorni contro militanti jihadisti.

Simili operazioni hanno portato anche all’arresto di Lotfi Ezzine, sospetto responsabile della morte di un altro esponente dell’opposizione laica, Mohamed Brahmi, giustiziato il 25 luglio (nell’anniversario della nascita della Repubblica) con 11 colpi di pistola nella sua auto, davanti a casa sua alla periferia di Tunisi. Tuttavia anche la sua famiglia, ha accusato apertamente Ennahda: Brahmi, deputato dell’Assemblea costituente e membro del Fronte Popolare, aveva infatti appena aderito al movimento dei Tamarot, impegnato in una raccolta di firme per lo scioglimento dell’Assemblea costituente, che, eletta il 23 ottobre del 2011, arranca sul percorso di elaborazione della nuova costituzione. E’ stato proprio l’assassinio di Brahmi a determinare l’autosospensione di quarantadue deputati dell’Assemblea Nazionale Costituente appartenenti al Fronte Popolare e l’annuncio di una serie di manifestazioni accompagnate dalla proposta di sostituzione dell’attuale governo con un esecutivo che prepari le prime elezioni legislative del dopo dittatura. In occasione delle cerimonie per la sepoltura di Mohamed Brahmi si è aperto, il 27 luglio scorso, il nuovo corso delle proteste che hanno visto la popolazione tunisina tornare in piazza, di fronte alla sede del Ministero dell’Interno, a Sidi Bouzid e poi davanti alla sede dell’Assemblea Costituente, al Bardo.

Nei primissimi giorni della protesta, durante una marcia, il manifestante Mohamed Moufli è morto a Gafsa, colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno; la stessa Lina ha riportato il 29 luglio sul suo blog il lungo racconto di una manifestazione che ha visto la partecipazione al Bardo di decine di migliaia di persone e in cui la polizia avrebbe adottato metodi drastici per indebolire l’efficacia della mobilitazione, contraddicendo la versione ufficiale del governo che ha invece difeso la professionalità della polizia:

Dopo il funerale del martire Mohamed Brahmi ci siamo diretti verso la Costituente per iniziare il sit-in. Quando sono arrivata, mi sono trovata faccia a faccia con una folla di manifestanti in fuga dai colpi dei manganelli e dai lacrimogeni che piovevano da tutte le parti. Mi sono unita alla folla, e abbiamo iniziato a cantare slogan chiedendo lo scioglimento dell’Assemblea Costituente. Non avevamo sassi o altri oggetti pericolosi. Siamo pacifici manifestanti, contro ogni forma di violenza. La folla fluiva lungo tutte le strade intorno alla sede dell’Assemblea e ogni volta che si formava un gruppo la polizia diventava nervosa e iniziava a lanciare lacrimogeni “Made in Brazil”. In uno dei loro attacchi, hanno catturato e picchiato uno dei manifestanti, Issam Bouguerra. I manifestanti hanno cercato di intervenire e hanno costretto un furgone a fermarsi. I suoi vestiti erano strappati e il sangue gli correva lungo la schiena. Mio padre e una donna si sono stati gettati tra la polizia e Issam Bouguerra e hanno cercato di impedire loro di riprenderlo ma erano più numerosi. Gli scontri sono continuati. La folla è cresciuta. I poliziotti che mi conoscevano si sono avvicinati e hanno cominciato a dire che erano contro la violenza. Ed è qui che ad un certo numero di nostri colleghi hanno lanciato i gas lacrimogeni e i poliziotti che erano con noi hanno protestato contro questa aggressione. Poi ad un certo punto siamo stati in grado di avanzare al piazzale antistante la sede dell’Assemblea Costituente e mi sono avvicinata ad un gruppo di poliziotti e ho cercato di discutere con loro per spiegare che eravamo manifestanti pacifici. Hanno fatto finta di ascoltare e ci hanno detto che avevamo ragione. Ma avevano l’ordine di picchiarci con bastoni e scosse elettriche. Siamo rimasti al nostro posto nonostante tutto. La folla è diventata più grande e ha iniziato a cantare, ma non appena la gente ha cominciato a erigere tende, una pioggia di lacrimogeni ci è piovuta addosso. Abbiamo cominciato a correre in tutte le direzioni, ed i poliziotti ci inseguivano con i manganelli. Due lacrimogeni hanno toccato i miei piedi e ad un certo punto ho pensato che sarei morto asfissiata. Hanno continuato ad inseguirci attraverso le strade strette. E abbiamo dovuto rifugiarsi in un edificio. C’erano una ventina di donne e uomini, ma purtroppo un poliziotto si è accorto della nostra presenza. Ha gettato una bomba a gas lacrimogeno nell’edificio e sono arrivati una dozzina di suoi colleghi armati. Siamo scesi giù per le scale e ad un certo punto ho capito che mio padre era l’ultimo ed i poliziotti erano proprio dietro di lui. Sono tornata indietro, l’ho preso per mano e gridato: “chi tocca mio padre, io lo ucciderò”. Sono stati destabilizzati dalle mie parole, e questa pausa ci ha permesso di scappare e raggiungere gli altri.

Il post di Lina, che nel suo libro “A Tunisian Girl” definendosi un “elettrone libero” rifiuta l’identificazione con qualsiasi partito politico, continua lucidamente il resoconto degli scontri, concludendo con un veloce riferimento a “rivoltosi” inseritisi nella manifestazione, pacifica nelle intenzioni, con il deliberato scopo di creare disordine. Non è possibile prevedere in che modo l’inserimento di Lina nella lista delle persone a rischio attacco e l’offerta di protezione da parte del governo influiranno sulla sua attività, ma anche in queste ore il flusso di informazioni su Facebook non si arresta e continueremo a seguirlo sperando che gli sviluppi della situazione sua personale e della Tunisia in generale le consentano di prendere quell’aereo che la porterebbe in Italia, ad Ancona, il 30 agosto, dove è attesa per il Festival AdriaticoMediterraneo.

 Monica Ranieri


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