Nelle strade di Tirana, tra il popolo unito contro le armi chimiche in Albania

di Arber Agalliu

Quella mattina andai davanti alla sede del Parlamento per assistere alla manifestazione nata un po’ spontanea contro l’importo delle armi chimiche siriane in Albania. Il tema riguardante la demolizione delle armi chimiche del regime di Assad veniva trattato ormai da tutti i media internazionali da quando gli Usa e la Russia trovarono la soluzione per evitare l’attacco militare da parte degli americani chiedendo al regime siriano la consegna di tutte le armi chimiche. Per la prima volta le armi chimiche di un paese dovevano essere trasportate altrove per essere distrutte e non in loco, in quanto in Siria la tensione ancora altra tra i ribelli e le forze armate, non avrebbe garantito una sicurezza nella demolizioni di queste armi pericolose.

Era risaputo che gli Stati Uniti e l’OPAC, l’organizzazione per il bando delle armi chimiche, esercitavano una forte pressione nei confronti del governo albanese affinché le armi siriane venissero introdotte nel paese delle aquile, ma a due settimane di distanza dalle prime notizie apparse sulle più importanti testate giornalistiche internazionali, il Governo Rama non si era mai espresso e non aveva dichiarato niente in pubblico, aumentando così la rabbia nei confronti della popolazione.

Appena giunto davanti al Parlamento, mi resi conto che a manifestare erano solamente qualche centinaio di persone, sembrava un raduno spontaneo, con cartelli scritti a mano e slogan improvvisati. Dopo qualche ora di presidio davanti al Parlamento, la piccola folla decise di dirigersi in corteo verso la sede del Governo nel boulevard principale di Tirana, dove un altro gruppo di individui manifestava da qualche ora. Decisi di seguirli in coda al corteo, osservando attentamente sia i manifestanti che le forze dell’ordine, temendo qualche reazione violenta. La maggior parte di coloro che erano scesi in strada per protestare erano giovani studenti, che con le mascherine si coprivano le bocche come i medici prima di un’operazione, o meglio ancora come quelle popolazioni asiatiche che utilizzano le mascherine ogni giorno per non respirare lo smog cittadino.

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In poco tempo siamo giunti davanti alla sede del Governo, i due gruppi si fusero in uno un po’ più grande, ma ancora piccolo in mezzo a quello spazio aperto in centro a Tirana. Mi resi conto che mi trovavo nel punto preciso dove il 21 Gennaio 2011 durante una manifestazione contro il Governo Berisha di allora, rimasero uccise quattro persone, quattro vittime probabilmente causate dagli spari della Guardia Repubblicana che sparava dall’interno degli edifici di Stato.

Altri giovani stavano unendosi a noi, molti studenti delle scuole superiori accompagnati dai loro insegnanti arrivavano gridando slogan e cantando l’inno nazionale. Gli universitari delle facoltà di medicina sfilavano con il camice bianco, vedevo arrivare signore anziane, genitori con in braccio i loro figli, in poche parole la piazza stava riempiendosi piano piano. Mi venne spontaneo alzare gli occhi per vedere se vi erano forze armate sopra i tetti degli edifici che circondavano il boulevard, la paura che potesse ripetersi un altro 21 Gennaio era tanta. Non vidi nulla, le uniche forze armate presenti, se così possiamo chiamarle, erano quelle della Polizia di Stato, che con poche unità avevano formato una catena “spezzata” tra l’entrata del Palazzo del Governo e i manifestanti. Niente armi, niente manganelli e scudi in mano, nessuna tenuta antisommossa, anzi, per la prima volta ho visto in prima fila delle giovani ragazze poliziotte che di certo non incutevano timore agli occhi di chi manifestava.

Temevo che potesse scatenarsi il finimondo da un momento all’altro, temevo che qualche testa calda cominciasse a provocare le forze dell’ordine, o viceversa. L’Albania non aveva mai conosciuto una manifestazione pacifica, non lo è stata quella del 1991 che portò alla caduta del regime comunista, non lo è stata nemmeno quella del 1997 che porto alla caduta del Governo Berisha, tanto meno quella del 2011 dove quattro persone trovarono tragicamente la morte. Per un attimo mi sembrava di non essere in Albania, non riuscivo a credere al fatto che i manifestanti non stessero sventolando le bandiere dei partiti politici, come era sempre successo d’altronde. L’unica bandiera che sventolava e che ricopriva i manifestanti era la bandiera rossa con l’aquila bicipite dell’Albania.

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Decisi di allontanarmi dalla piazza, avevo degli appuntamenti quel giorno e sinceramente pensavo che da lì a poco anche la folla si ritirasse visto che era l’ora di pranzo e il presidio era durato tutta la mattinata. Una volta finito ciò che avevo da fare, decisi di andare a bere qualcosa con gli amici nel “Bllok”, il centro della movida di Tirana. Tra una birra e una chiacchierata finimmo col fare le tre di notte. Al ritorno a piedi verso casa, dovetti passare per forza davanti alla sede del Governo, non credevo di trovarci ancora qualcuno ed invece rimasi stupito, nel boulevard una cinquantina di persone si erano accomodate nell’intento di trascorrere la notte all’aperto. Decisi così di fermarmi per fare due chiacchiere con i più temerari, i quali volevano portare fino in fondo il loro presidio per questa giusta causa.

L’indomani lo scenario era pressoché identico al giorno precedente, con una piccola differenza, la folla si era triplicata, i manifestanti si erano attrezzati con microfoni, casse acustiche e striscioni veri e propri. Insieme ai cittadini, in piazza erano scesi anche i personaggi noti che in un unico coro gridavano “No, alle armi chimiche”. Tutti attendevano la conferenza stampa del Premier Rama, il quale alle 17.00 davanti alle telecamere rispose ai manifestanti dichiarando: “E’ impossibile per l’Albania essere coinvolta in questa operazione”. Un grido si sollevo dal boulevard di Tirana, un peso scivolo via addosso a tutte le persone che temevano l’importo delle armi siriane, la protesta si trasformò in un clima di festa, un emozione unica avvolse coloro che vi erano presenti…in poche parole, il popolo aveva vinto.

Nei giorni a seguire, molti critici hanno attaccato duramente Edi Rama ed i manifestanti che erano scesi in piazza contro l’importo delle armi chimiche. Quest’ultimi accusavano il Governo di non aver valutato bene il pacchetto di benefici offerto all’Albania nel caso in cui avesse accettato di smantellare le armi chimiche nel suo territorio. Il pacchetto riguardava un offerta finanziaria moolto elevata, un sostegno all’Albania per l’integrazione nell’UE e una nomina speciale per il paese al Premio Nobel per la Pace.

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Molto probabilmente questo pacchetto sarebbe servito all’Albania e forse ha perso una grande occasione per puntare i riflettori su di sé, ma come ha detto il premier Rama, la sovranità appartiene al popolo e per una volta il popolo albanese si è unito per una causa comune. Le manifestazioni di Tirana hanno impressionato tutti, le proteste non sono state manipolate dai partiti, non hanno visto un coinvolgimento delle forze dell’ordine nonostante il problema fosse molto delicato e la tensione molto alta.
Una perdita economica, ma un grande passo verso la democrazia ed un esempio per il mondo.


Profilo dell'autore

Arber Agalliu
Odio ripetere il mio nome due volte quando mi presento agli altri, come odio rispondere a chi mi domandano se mi trovo meglio in Italia o in Albania. Io mi sento un italiano albanese a Firenze, ed un albanese italiano a Tirana.

Tra le varie collaborazioni in Italia ed in Albania c'è anche quella con ToscanaTv. All'interno del programma "Toscana senza frontiere" riporto la bella faccia dell'immigrazione, attraverso reportage e interviste da me realizzate.

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