Siria, ci indigniamo solo se c’è una foto (fake) di un bambino (o di un gatto)

di Joshua Evangelista

I bambini e gli animali domestici sono categorie merceologiche molto pregiate per chi si occupa di content management sul web. Dietro ogni pargoletto dagli occhi grossi “spammato”, c’è uno stuolo di editor che calcola tempo giusto e frase di accompagnamento adatta per far sì che miriadi di dita in cerca di tenerezza condivida la fotina sui propri profili con un commentino tutto maiuscolo e cuoricini.

Così Marwan, un bimbo siriano rimasto staccato dalla carovana di profughi mentre attraversava il desertico confine tra Giordania e Siria è diventato, in una manciata di ore, l’eroe di tutti i social media manager. Il suo volto paffutello e preoccupato, emergente nella distesa gialla intervallata solo dal blu degli operatori Unhcr, è PERFETTO.

Perfetto per i “diventa il simbolo di…”, “commuove il web” e altre sciatterie già pronte nei freezer dei redattori online. La Stampa ha perfino sguinzagliato Quirico, uno che ha sì sofferto tanto ma che di grattate alla pance del lettore se ne intende eccome.

Andrew Harper, responsabile Unhcr in Giordania e primo a postare la foto sul suo Twitter, ha spiegato che il bambino stava passando il confine tra Siria e Giordania con la propria famiglia, e che era rimasto un po’ indietro solo per qualche minuto. Marwan aveva sì perso la famiglia nel caos che accompagna ogni ondata di profughi, ma per certo non aveva attraversato il deserto da solo come fieramente ha scritto il Corriere della Sera. Ma il punto non è la notizia fake sulla quale cadono costantemente in tanti. Anche la nostra redazione era indecisa se pubblicarla o meno (sull’etica del fotogiornalismo in guerra leggete questo bellissimo pezzo di Monica Ranieri).

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Il punto è che i lettori hanno bisogno di qualche minuto di Marwan (il tempo di un “aww” striminzito tra un meme e un Renzi photoshoppato) per ricordarsi di essere umani. Finito questo piccolo momento “umanità mode on” mandiamo in letargo la nostra sensibilità. Capiamoci bene, Marwan non ci ha commosso perché il suo popolo subisce una dittatura sanguinaria, perché ha dovuto attraversare un confine a piedi dopo aver perso casa e molti parenti, perché a quattro anni il suo futuro è già a un bivio. Siamo rimasti toccati dal fatto che, poverino, era solo nel deserto. Chissà se lo stesso bimbo nella versione “immerso-in-una-mare-di-altra-gente” avrebbe raccolto lo stesso numero di like della foto di un coetaneo perso al supermercato (quindi solo). Eppure dovrebbe indignarci di più il fatto che quel bimbo non era solo, che insieme a lui c’erano altre decine di bambini nelle stesse condizioni, se non peggiori.

Del resto Repubblica si è tanto divertita a raccontare lo sbarco di un gatto ad Augusta (in barba agli 823 migranti che condividevano la barchetta con il micio).

Vogliamo giocare con le ipotesi? E allora facciamolo fino in fondo. Chissà quanti like in più avrebbe preso un gattino solo nel deserto.


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