di Alessandro Iacopini e Joshua Evangelista
È bastata mezza giornata. Ieri, durante un comizio elettorale a Bursa, Erdogan aveva annunciato l'”estirpazione” di Twitter perché “contro la sicurezza nazionale”. Così già prima di mezzanotte molti account risultavano irraggiungibili e in tutti i modi si è cercato di far girare informazioni per continuare a cinguettare tramite sms. “Stiamo tornando al terzo mondo”, “Abbiamo bisogno di supporto internazionale, ciò va contro la Dichiarazione dei diritti dell’uomo”, sono solo alcuni dei messaggi allarmati che in queste prime ore abbiamo raccolto in redazione.
Guerra ai social. A pochi giorni dalle elezioni amministrative e con lo scandalo di corruzione che lo vede coinvolto da inizio febbraio, Erdogan dichiara così guerra ai social. “Siamo decisi a impedire che il popolo turco diventi schiavo di YouTube e Facebook, come governo prenderemo le misure necessarie, qualunque esse siano, compresa la chiusura dei due siti”, aveva detto circa due settimane fa sul canale televisivo Atv. La guerra di Erdogan contro internet era cominciata nel maggio dello scorso anno, quando durante le proteste di Gezi Park il Premier turco si era scagliato contro i social media definendoli “la peggiore minaccia alla società”. Anche in quel caso, l’obiettivo principale degli attacchi era stato soprattutto Twitter che, grazie ai 20 milioni di post associati agli hashtag #occupygezi e #geziparkieylemi, aveva contribuito in maniera decisiva alla diffusione della protesta contro il governo. Nelle ultime settimane, ancora una volta, il popolo turco ha dimostrato di avere un feeling particolare con i cinguettii : l’hashtag #BerkinElvanOlumsuzdur (BerkinElvanImmortale), creato per solidarizzare con Berkin Elvan, il 15 enne morto dopo 9 mesi di coma perché colpito durante gli scontri del maggio scorso, ha registrato in due giorni più di 12 milioni di tweet.
Intercettazioni ed elezioni. Del resto l’incessante condivisione delle intercettazioni telefoniche che riguardano proprio Erdogan e il suo partito, l’Akp, che rischia così di vedere compromessa la vittoria, già data per scontata, alle prossime elezioni amministrative fissate per il 30 marzo.“Fai sparire tutti i soldi che sono in casa, la magistratura sta facendo perquisizioni a 18 persone” direbbe Erdogan al figlio Bilal in una delle quattro intercettazioni pubblicate su YouTube e ascoltata in un solo giorno da più di due milioni di persone. Dalle altre telefonate, inoltre, emergerebbe un quadro non troppo edificante del premier e del suo partito, fatto di tangenti, pressioni sui magistrati e flussi di denaro sospetti. E da qui l’accesa difesa del Premier, che da un lato minaccia il bavaglio per la rete – secondo fonti turche una legge che blocca i due siti potrebbe divenire operativa dopo le elezioni del 30 marzo – e dall’altro bolla le intercettazioni come “falsi montaggi”organizzati ad arte dal suo storico rivale Fethullah Gülen, l’influente studioso turco fondatore del movimento Hizmet.
Presidenziali incerte. Ma ciò che più preoccupa Erdogan è soprattutto il possibile calo di popolarità derivato dalle intercettazioni, che rischia di compromettere, oltre alla tornata elettorale incombente, anche le elezioni presidenziali di agosto, le prime con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e per la quale l’attuale premier è dato per sicuro candidato. Pur non avendo ancora ufficializzato la sua nomina alle presidenziali, Ergodan ha però già annunciato che non si candiderà – per via dello statuto dell’Akp che non prevede la candidatura per il quarto mandato consecutivo – alle elezioni politiche del prossimo anno. Difficile pensare che l’uomo che guida la Turchia dal 2002 possa abbandonare la politica per un semplice cavillo burocratico, più probabile, invece, un avvicendamento tra lo stesso Erdogan e l’attuale Presidente, Abdullah Gul, sempre dell’Akp, cui spetterebbe poi la carica di primo ministro alle politiche dell’anno prossimo. Secondo gli opinionisti turchi, inoltre, una volta divenuto Presidente della Repubblica, Erdogan porterebbe a termine la riforma costituzionale in senso presidenziale della Turchia. Un cavallo di battaglia elettorale molto caro all’Akp, che permetterebbe all’attuale premier di mantenere il potere nelle sue mani anche in veste di Presidente della Repubblica.
Libertà di espressione. Dal suo insediamento nel 2002, la Turchia è scivolata dal 99esimo al 138esimo posto per quanto riguarda il rispetto della libertà di stampa, mentre, secondo le stime di agenzie indipendenti come Reporters Sans Frontières, sarebbero 76 i giornalisti turchi in prigione per reati d’opinione e addirittura più di 10mila i processi instituiti contro i cronisti. Un numero elevatissimo, che non ha pari in nessun Stato dell’Unione Europea: proprio dove Erdogan vorrebbe portare la Turchia.
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