Dall’Emilia a Srebrenica. Così la scuola che funziona combatte xenofobia e razzismo

Quaranta studenti hanno viaggiato per i luoghi della guerra, attraversando la Sarajevo dei mille giorni d’assedio, la Srebrenica del massacro, il memoriale di Potocari dove riposano quasi novemila vittime innocenti che i Caschi Blu hanno mandato al macello. Un viaggio in cui hanno potuto conoscere e confrontarsi con i loro pari età bosniaci e farsi raccontare le trappole dell’odio etnico, le vigliaccherie del nazionalismo e le difficoltà di trovare risposte a chi addita nel “diverso” la causa di ogni male, istigando alla violenza e alla xenofobia.

foto: archivio

di Riccardo Bottazzo

Nel suo Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica, Alex Langer insisteva sulla importanza di coloro che lui definiva “costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera”.

Oggi, quasi vent’anni dopo il tragico epilogo della sua vita a Pian dei Giullari, ci viene da pensare che l’ambientalista altoatesino sarebbe certamente contento nel vedere che una quarantina di studenti di due scuole superiori ferraresi ha voluto “continuare in ciò che era giusto” ed ha compiuto un intenso viaggio in quella Bosnia dove lui travasò tutto se stesso e dove, ancora oggi, la fine della guerra non ha portato la pace.

Fa anche piacere ogni tanto, a noi che scriviamo, riportare qualcuna di quelle “buone notizie” che per un certo giornalismo non è neppure “notizia” e constatare che la nostra scuola riesce ancora a dare agli studenti qualcosa che non sia solo un insieme di nozioni. Certo, il merito va più a quei pochi docenti che ancora riescono a trovare motivazioni nell’insegnamento, più che nei programmi scolatici o nei disastrosi tagli all’istruzione.

“Portare i nostri ragazzi a Sarajevo e Srebrenica è stata una vera impresa! – mi ha confessato Grazia Satta -. Nelle nostre scuole oramai ci si accontenta di organizzare gite in località turistiche o settimane bianche per andare a sciare. Ma un preside o un docente che vogliano proporre qualcosa di più, come un viaggio di istruzione in Bosnia per discutere di pace e dei problemi della convivenza interetnica, si trovano davanti tanti muri da superare. Eppure, mi chiedo, non è forse questo che la scuola dovrebbe fare?”

Sempre quei muri che Langer ci chiedeva di saltare. Ed è quanto hanno fatto 26 studenti del triennio dell’Iti Ipsia Niccolò Copernico Carpeggiani di Ferrara e 14 l’Iti Ipsia di Portomaggiore. Quaranta ragazzi in tutto che – anche questo sarebbe piaciuto a Langer – rispecchiavano quel melting pot di culture e lingue che è la migliore Italia, che è l’Europa che verrà, che è il mondo. Tra loro c’erano ragazzi provenienti dal Pakistan, dall’Ucraina, dai Paesi Baltici, dall’Olanda… alcuni già cittadini italiani, altri col permesso di soggiorno in mezzo al passaporto da esibire alla frontiera europea per essere guardati con occhi sospetti dalle guardie. Come fossero diversi dagli altri!

Ancora muri da saltare, ancora ponti da costruire. Ma se un giorno riusciremo a costruire una Europa aperta e migliore, il merito sarà anche di chi si è speso per realizzare viaggi come questo. A chi, come i docenti Sergio Golinelli, Riccardo Rimondi e la già citata Grazia Satta sono convinti che la scuola pubblica non possa esimersi dal trattare tematiche di pace e convivenza. O come i due presidi, Francesco Borciani e Roberto Giovannetti, che hanno avuto la sensibilità di aiutarli arrabattandosi con la terrificante scarsità di risorse economiche che sta strangolando la scuola. Ed a questo proposito, un grazie va anche alla Rete Lilliput che ha contribuito generosamente alle spese.

E così, per una settimana, la carovana di studenti emiliani ha potuto viaggiare per i luoghi della guerra, attraversando la Sarajevo dei mille giorni d’assedio, la Srebrenica del massacro, il memoriale di Potocari dove riposano quasi novemila vittime innocenti che i Caschi Blu hanno mandato al macello. Un viaggio in cui hanno potuto conoscere e confrontarsi con i loro pari età bosniaci e farsi raccontare le trappole dell’odio etnico, le vigliaccherie del nazionalismo e le difficoltà di trovare risposte a chi addita nel “diverso” la causa di ogni male, istigando alla violenza e alla xenofobia.

Quelle stesse risposte che, grazie a questo viaggio, ora i quaranta ragazzi ferraresi sono pronti a dare anche in Italia.


Profilo dell'autore

Riccardo Bottazzo
Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.

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