Con la riaffermazione della propria sovranità sulla Crimea, la Russia ha archiviato la linea seguita lungo il ventennio post-sovietico nelle relazioni con gli stati emersi dall’Urss. Il Kazakistan, che condivide con Mosca la più estesa linea di confine terrestre al mondo (circa 7000 km) è particolarmente chiamato in causa da tali sviluppi. Nel frattempo si è rianimato un potenziale irredentista nel nord che scuote le basi della convivenza interetnica interna e acuisce la lotta di fazioni interne suscitata dall’avvicinarsi dell’uscita di scena del presidente Nazarbaev. La complicata situazione kazaka è analizzata nel saggio di Fabrizio Vielmini Dopo la Crimea il Kazakistan? pubblicato all’interno di Oltre la Crimea: Russia contro Europa? Il volume, curato da Aldo Ferrari per l’Ispi, si avvale della collaborazione tecnica della Cooperativa Frontiere. Di seguito un estratto, a nostro avviso significativo, del saggio.
Il principale impatto della crisi ucraina sul Kazakistan avviene sul piano delle relazioni interetniche all’interno del paese. Si tratta di una questione di altissima rilevanza per lo stato successore dell’Urss ritrovatosi con il più alto numero di russi etnici residenti dopo l’Ucraina. Definendo la nuova posizione della Russia in seguito alla reintegrazione della Crimea, Vladimir Putin ha affermato che una presunta esigenza di difesa delle comunità “russofone” all’estero giustificava l’azione russa, precisando che in futuro Mosca non esiterà a usare la forza per proteggere i diritti di tali comunità, ovunque esse si trovino al di fuori della Federazione Russa. Oltre ai 25 milioni di russi etnici rimasti fuori dai confini della Federazione nel 1991, Mosca si rivolge ai “russofoni”, cittadini stranieri di madrelingua o che possano dimostrare di discendere da famiglie già residenti all’interno dei confini dell’Urss o dell’Impero russo. A ribadire l’importanza della questione, Mosca ha introdotto dopo solo qualche settimana (21 aprile) nuove disposizioni legislative introducenti procedure semplificate per l’ottenimento della cittadinanza russa da parte dei membri delle suddette comunità. Tutto ciò fa suonare numerosi campanelli d’allarme in Kazakistan.
Vent’anni di politiche nazionali volte a mutare gli equilibri demografici (non ultimo, il trasferimento della capitale ad Astana, ex-Tselinograd) hanno sicuramente lasciato un segno. Costretti nei limiti di un processo di costruzione nazionale che ha assunto a tratti caratteri etno-nazionalisti, i russi della regione hanno alimentato un esodo migratorio pari a quasi due milioni di partenze. Nonostante ciò, data anche la prosperità del Kazakistan negli ultimi anni, il deflusso si è poi arginato e i russi etnici ammontano tuttora a circa 3,5 milioni, il 22% dell’intera popolazione del paese. Tale presenza si attesta su percentuali molto più elevate nelle regioni settentrionali a ridosso dei 7000 chilometri del confine irregolare con la Russia, uno spazio assolutamente peculiare dal punto di vista culturale oltre che fisico-geografico, in quanto separa comunità omogenee dai due lati della frontiera.
Sull’onda della crisi in Ucraina, alcuni personaggi ben visibili sulla scena pubblica della Federazione Russa, quali Vladimir Žirinovskij ed Eduard Limonov, hanno rilasciato dichiarazioni invitanti il Cremlino a considerare una revisione dei confini nazionali in direzione dell’Asia centrale. Se il pubblico è abituato ad affermazioni tanto roboanti quanto fatue da parte del primo, più sensibile è l’uscita di Limonov10. Il capo del partito Altra Russia si trovò infatti implicato alla fine degli anni Novanta in un sedicente complotto separatista, conclusosi con l’arresto di una dozzina di cospiratori, che ebbe come teatro la città kazakistana di Öskemen/Ust-Kamenogorsk che, similmente alla Crimea, staccata dalla Russia nel 1932 è oggi popolata per due terzi da russofoni. Ancor più preoccupante per Astana è che simili posizioni siano state anche espresse da un rappresentante dell’establishment federale russo, il presidente del Consiglio supremo della Repubblica di Khakasia, il quale ha dichiarato come la stessa logica sottostante al trasferimento della Crimea a Kiev in epoca sovietica provocò l’estensione della sovranità del Kazakistan su una serie di regioni oggi incluse nel settentrione del paese.
Queste dichiarazioni, ampiamente riprese dai media nazionali, hanno suscitato un’ondata di reazioni indignate da parte kazakistana. Lo stesso Mae ha reagito, in un battibecco diplomatico insolito tra stretti alleati quali Astana e Mosca, con quest’ultima costretta a dissociarsi ufficialmente dalle dichiarazioni irredentiste a seguito di tale rimprovero ufficiale. Sul piano politico interno, preoccupazione è stata espressa non solo dalle frange nazionaliste all’opposizione ma anche da membri del partito di governo, Nur Otan, uno dei quali ha lanciato una petizione per chiedere il bando del principale organo d’informazione ufficiale per aver diffuso le dichiarazioni di Žirinovskij. Il coinvolgimento di membri dell’establishment sembra indicare la consapevolezza al vertice del potenziale di malcontento fra estesi settori della popolazione verso la nuova posizione assunta da Mosca nell’area post-sovietica. Tali timori appaiono, per ora almeno, propri al piano emozionale piuttosto che a quello della politica concreta. È infatti difficile prospettare un’invasione del Kazakistan settentrionale da parte di una Russia che ha ratificato e approvato il confine con un paese a cui è legata altresì da un trattato di buon vicinato e “amicizia eterna”. Sottoscritto alla fine del 2013, questo comprende l’insieme degli aspetti delle relazioni bilaterali.
Inoltre, il sistema di potere istaurato da Nazarbaev è tale da avere un fermo controllo dei processi all’interno della sfera interetnica, in grado di reprimere sul nascere manifestazioni di estremismo nazionalista. Nondimeno, l’inquietudine creatasi fra la maggioranza della popolazione è reale. Il rafforzamento della retorica nazional-patriottica sui media russi, dominanti all’interno del Kazakistan, è stato tale da provocare un mutamento nell’atteggiamento dei principali gruppi etnici. Voci incontrollate a proposito della distribuzione di passaporti della Federazione Russa fra gli abitanti del nord, unite a provocazioni diffuse sui social network del paese, hanno creato notevole apprensione, in particolare fra i russi etnici. Invero, le tensioni scaturenti dalle sperequazioni sul piano sociale e una struttura demografica che vede il 27% della popolazione compreso nella fascia d’età 14-29 anni creano un terreno favorevole all’apparizione d’“imprenditori etnici” kazaki propensi a trasferire tali tensioni latenti sul piano della sfera politica concreta. La diffusione di allarmismi vari tramite internet conferma tali timori e determinerà probabilmente una ripresa dell’emigrazione russa. In definitiva, anche se le differenti dichiarazioni circolate dopo la Crimea possono non avere alcun fondamento nella realtà, il “problema russo” è tornato alla ribalta all’interno del paese.
LE SFIDE INTERNE La nuova congiuntura aperta dalla crisi ucraina avrà un impatto significativo sui processi politici interni del Kazakistan, dove la questione esiziale per il futuro è quella della successione, dalla presidenza ultraventennale del presidente Nazarbaev a un assetto qualitativamente nuovo. Politica interna ed estera del paese appaiono sempre più interconnesse. I primi giorni della crisi hanno coinciso con un significativo rimpasto governativo al vertice dello stato. Nazarbaev ha nominato capo del governo Karim Masimov, il capo della sua amministrazione presidenziale già premier fra 2008 e 2012.
Il ritorno di Masimov, unanimemente considerato il miglior uomo politico del paese, alla guida del governo è un ulteriore indice della sfida posta dagli eventi. A fianco di tale trasferimento, da rilevare come Nazarbaev abbia inviato uno dei più importunati rappresentanti della sua vecchia guardia, Marat Tažin, quale ambasciatore a Mosca. Un mandato che sicuramente comporterà una forte dimensione ideologica-propagandistica volta a rafforzare la posizione di Astana nello spazio mediatico e nei circoli decisionali russi. Di fronte agli sviluppi in Ucraina, Nazarbaev non può esimersi dal comparare la propria posizione con quella del deposto leader ucraino, Viktor Janukovič.
Il colpo di piazza contro Janukovič ha esaltato le opposizioni in tutte le repubbliche post-sovietiche e, come già avvenne dieci anni prima con la Rivoluzione arancione, provocato profonda inquietudine tra le classi dirigenti dell’Asia centrale a riguardo della sostenibilità della loro presa sul potere. Nazarbaev in particolare, data la sua vicinanza a Mosca, rischia al pari di Janukovič di trovarsi preso fra due fuochi. Da una parte, egli si trova a dover gestire le implicazioni interne del processo d’integrazione eurasiatica sorte dalle pressioni di Mosca. Ma dall’altra, il presidente kazako percepisce come una minaccia da parte degli attori occidentali della promozione della democrazia. Tali soggetti, presenti nel sostegno al Maidan ucraino, vedono negativamente il leader kazakistano oltre che per la limitazione dei diritti civili anche per il suo impegno a favore dei progetti d’integrazione con la Russia. Astana non può inoltre esimersi dal notare un altro inquietante parallelo fra la propria situazione e quella ucraina. In quest’ultima, per la prima volta nella storia post-sovietica, il rovesciamento del regime al potere è avvenuto grazie al contributo decisivo di forze organizzate di destra nazionalista
Ora, simili attori politici sono da anni in formazione in Kazakistan. Sulla base di sentimenti etno-nazionalisti preesistenti, la ricomposizione del quadro interno presenta elementi di fusione di queste tendenze con quelle liberali assistite dai citati attori esterni. Il successo della piazza ucraina ha galvanizzato tali soggetti, fra cui si vedono emergere personaggi pronti a giocare il tutto per tutto nel momento chiave dell’uscita di scena di Nazarbaev, fornendo nuovi elementi al proprio armamentario retorico19. Soprattutto nell’opposizione alla scelta strategica dell’integrazione con la Russia, divenuto l’elemento centrale della critica al regime di Nazarbaev da parte di tali soggetti, i quali hanno costituito a tal fine un’“Unione Anti-Eurasiatica”.
Si apre quindi un confronto intenso e complesso, tenuto conto che il campo nazionalista è stato per anni trattenuto dallo stesso regime, che dispone delle proprie leve d’influenza al suo interno. Indicativo in tal senso come sullo sfondo degli avvenimenti ucraini una delle figure chiave fra i giovani leader nazionalisti kazaki, Mukhtar Tajžan, abbia annunciato la propria uscita dalla scena politica del paese. Nella prospettiva di Astana l’attuale situazione ricorda quella del 2005, quando dopo il crollo del regime kirghizo, influenzato dagli allora eventi ucraini, il timore per l’“esportazione della rivoluzione” divenne dominante. Il tutto crea un addizionale terreno di intesa con l’establishment russo di Putin, che si trova ugualmente a dover fronteggiare simili avversari politici interni. Tale intesa ha importanti risvolti pratici dato che i media di Mosca, tuttora la principale fonte d’informazione per i cittadini del Kazakistan, costituiscono un’importante risorsa per la stabilità interna del regime.
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