Era l’alba del 3 novembre del 1974, poco più di un anno dopo il colpo di Stato dell’11 settembre 1973. Il corpo della militante del Mir (movimento della sinistra rivoluzionaria) Lumi Videla, fu ritrovato nel giardino dell’ambasciata italiana a Santiago. Una storia quasi del tutto sconosciuta, fatta riemergere dal diplomatico italiano Emilio Barbarani. L’omicidio sconvolse l’ambasciata italiana, diventata dopo il golpe rifugio per centinaia di cileni (oppositori politici, disperati in fuga dalla miseria, criminali comuni o addirittura golpisti caduti in disgrazia).
La propaganda del regime dichiarò che la donna era morta durante un festino in ambasciata; gli oppositori accusarono invece la DINA, la polizia segreta di Pinochet, di aver sequestrato, torturato e ucciso la militante del Mir. Barbarani, partito in missione per la capitale cilena, spese due anni in ambasciata per proteggere rifugiati e oppositori dagli sgherri del sanguinario dittatore. Una nazione spaccata in due: “la povertà, il sospetto, la paura prevalevano su metà Paese; sull’altra metà, benestante, ignara e acquiescente con le diffuse violazioni dei diritti umani, regnava l’euforia per lo scampato pericolo dello spauracchio di una rivoluzione comunista”, spiega Barbarani. La storia del giovane e coraggioso funzionario, che insieme ad altri colleghi decisero di rimanere umani e di dare asilo a più di 750 persone, scortando molte di esse con vetture diplomatiche fino ad aerei che le potessero condurre verso Europa, è impressa nella cultura cilena.
In memoria di coloro che non sono riusciti a fuggire dalla barbarie della dittatura, e per tramandare la testimonianza di esseri umani che si sono alzati in piedi contro l’ingiustizia, la Compagnia di teatro G.A.P. – a 40 anni dall’omicidio Videla – presenta lo spettacolo “Fermata numero 9”, che sarà eseguito a Roma giovedì 11 settembre presso il Teatro Antigone in via Amerigo Vespucci, a Testaccio (per acquistare il biglietto in prevendita chiamare lo 06 5755397).
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