Ecco come potremmo raggiungere il disarmo nucleare

di Sofia Bianchini

Il 25 giugno scorso tre scienziati hanno pubblicato nella rivista scientifica Nature un articolo in cui viene spiegato un nuovo metodo che potrebbe cambiare il corso del disarmo nucleare a livello mondiale. Boaz Barak, informatico, Alexander Glaser, esperto in Affari Internazionali e Proliferazione nucleare, e Robert Goldston, professore di Fisica del Plasma, hanno perfezionato un sistema di controllo del disinnesco delle armi nucleari in grado di facilitare fortemente il disarmo globale. La ricerca ricopre un ruolo importante per il futuro e per il buon funzionamento dei trattati di non proliferazione nucleare. Infatti, proprio nel 2010, Stati Uniti e Russia hanno firmato un nuovo accordo, il New START, che prevede la diminuzione delle testate nucleari di entrambi i paesi a 1550 entro il 2018, ma offe poche certezze sul modo migliore per monitorare l’attuale disattivazione di queste armi.

Dal 1970, anno in cui è entrato in vigore il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, che prevede non solo la non proliferazione, ma anche il disarmo e la possibilità di usare energia nucleare per fini non bellici, si è sviluppato un sistema per monitorare il compimento degli obbiettivi dell’accordo. Questo sistema, tuttora non completamente affidabile, presenta quattro aspetti principali: la contabilità, ovvero la garanzia che non venga aggiunto un numero di riserve di arme nucleari maggiore rispetto a quello stabilito; la provenienza, ossia l’affidabilità della catena di custodia, e quindi degli spostamenti a cui si deve sottoporre la testata da disinnescare; l’autenticazione, ovvero la convalida della natura dell’arma da disinnescare, per evitare che venga ‘disattivata’ un’arma non attiva; e l’eliminazione, nient’altro che la conferma dell’irreversibilità del disinnesco di una certa testata nucleare.

Ognuno di questi aspetti del sistema di disarmo è necessario per raggiungere gli obbiettivi previsti da qualsiasi trattato di non proliferazione, ma la loro implementazione è ancora problematica. La fase dell’autenticazione è quella più difficile, e i suoi metodi i più discussi. Prima di tutto, è sconsigliato usare metodi distruttivi per controllare la natura della testata: gli ispettori internazionali sono agenti neutrali, e ‘aprire’ delle arme nucleari sarebbe un rischio troppo alto per loro, soprattutto perché il procedimento viene svolto prima, durante e dopo il disinnesco. Inoltre, ‘aprire’ le testate e controllare se i materiali che la compongono sono quelli tipici di un’arma nucleare sarebbe controproducente per lo stesso disarmo. Non tutti i paesi costruiscono le proprie armi nello stesso modo, perciò aumentare il numero di persone a conoscenza della struttura di una specifica testata potrebbe elevare il rischio della diffusione di informazioni di stato riservate, e quindi diminuire la fiducia dei paesi verso le autorità di autenticazione e il trattato stesso.

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La soluzione è quindi quella di ridurre il più possibile la condivisione di informazioni riservate. Pare un paradosso: gli ispettori internazionali devono trovare un modo per acquisire un’elevata sicurezza riguardo l’autenticità dell’arma nucleare ispezionata, senza apprendere niente sulla sua composizione e sul tipo di materiale. Una prima proposta per creare un metodo di autenticazione per proteggere la privacy dell’arma è quella di aggiungere al sistema di ispezione una ‘barriera di informazioni’, in grado di mantenere i dati riguardanti la testata segreti e di comunicare semplicemente la sua natura, per esempio, attraverso una spia luminosa verde se si tratta davvero di un ordigno nucleare, e rossa se no. Purtroppo, anche il sistema dotato di una ‘barriera d’informazioni’ non ha ottenuto il successo sperato. Non solo la complessità e il costo del sistema di autenticazione aumenterebbero, ma diventerebbe necessario controllare che non sia stato corrotto né manomesso prima dell’ispezione per rivelare più informazioni del previsto. La sfiducia nei confronti degli ispettori internazionali rimarrebbe ugualmente alta e il disarmo non verrebbe incentivato.

La ricerca di Boaz, Glaser e Goldston è la prima che potrebbe potenzialmente ridurre il rischio di rivelare informazioni segrete e, complessivamente, rendere il mondo un po’ più sicuro. Il loro metodo si basa su una dimostrazione a conoscenza zero, un modo con il quale un soggetto può dimostrare ad un altro che un’affermazione è vera, senza rivelare nessun’altra informazione se non la sua veridicità. L’immagine pubblicata nell’articolo di Nature spiega attraverso un esempio come funziona una dimostrazione a conoscenza zero.

Il protocollo a conoscenza zero di Boaz, Glaser e Goldston consiste nel dimostrare a Bob che due secchielli contengono la stessa quantità di biglie, senza che lui possa direttamente contarle. I tre studiosi hanno trovato la maniera per dimostrare che una certa arma sia effettivamente un ordigno nucleare, senza apprendere nulla sulla sua composizione! Il metodo comporta la comparazione dell’arma ispezionata con un vero ordigno nucleare. Il procedimento avviene tramite l’emissione di neutroni ad alta energia attraverso l’ordigno e la registrazione del numero di neutroni che raggiungono il sensore situato al lato opposto della testata. Se il numero di neutroni che hanno attraversato la testata in esame corrisponde al numero di neutroni che hanno percorso una certa testata presa come modello, allora si tratta davvero di un’arma nucleare. Nel caso contrario, no: si tratterebbe di un falso e il disinnesco sarebbe inutile, perché l’ordigno non sarebbe attivo. Questo metodo comproverebbe solamente la natura dell’arma senza rivelare nessun’altra informazione. Risolverebbe il problema maggiore di ogni trattato di non proliferazione: il rischio che delle informazioni private vengano trafugate. Eliminare questo rischio velocizzerebbe senza dubbio il progetto di disarmo.

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In un trattato come il New Start, questo processo diminuirebbe la reticenza di Stati Uniti e Russia a fare analizzare i propri ordigni nucleari, e a migliorare quindi le loro relazioni diplomatiche. Il progetto ha ricevuto molte recensioni positive ed è stato denominato da alcuni ‘A Farewell to Arms’, un addio alle armi non solo relegato alla letteratura ma alla realtà nucleare internazionale. Il progetto sembrerebbe testimoniare che la Scienza potrebbe dare una mano a risolvere le scaramucce diplomatiche di paesi come Stati Uniti e Russia e, in poche parole, influenzare le relazioni internazionali in generale. Se però si fanno due passi indietro e si allarga la propria visuale, ci si rende conto che succede proprio l’opposto: è la Politica che influenza incessantemente la Scienza.

Se si distoglie un attimo lo sguardo dalla ricerca di Boaz, Glaser e Goldston e si analizzano gli eventi legati all’energia nucleare del secolo scorso, si può notare come la Politica abbia influenzato la Scienza. Torniamo indietro di ottant’anni. Sono gli anni ’30 e ‘i ragazzi di via Panisperna’, fra cui Enrico Fermi ed Ettore Majorana, bombardano con successo dell’uranio con dei neutroni. Sono i primi a realizzare una fissione nucleare, senza rendersi conto di ciò che questo comporta. Solo a posteriori la vicenda è più chiara: è il periodo fra le due guerre, e la fisica è fortemente sovvenzionata per perfezionare gli strumenti bellici disponibili. Solo Majorana sembrò essersi reso conto di ciò che la buona riuscita dell’esperimento comportava dal punto di vista etico. ‘La fisica è su una strada sbagliata. Siamo tutti su una strada sbagliata’. Lo scienziato intuì che presto la fisica, guidata dalla politica, avrebbe peccato eticamente. Quando poi rinunciò alla scienza e scomparse, alcuni credettero che la sua ‘fuga’ fosse stata causata da un presentimento sul terribile ruolo che presto la fisica avrebbe ricoperto, rendendo possibile una strage come quella di Hiroshima e Nagasaki.

Nel ventunesimo secolo, dopo un conflitto mondiale e una guerra fredda, gli obbiettivi delle grandi potenze sono cambiati. Il dibattito riguardante l’energia nucleare è antitetico rispetto a quello di quasi un secolo prima. La Scienza è spronata dalla Politica a trovare soluzioni che facilitino il disinnesco delle testate nucleari accumulate dal 1942 ad oggi. Soluzioni di questo tipo sono incentivate economicamente: il progetto di Boaz, Glaser e Goldston ha ricevuto 3,5 milioni di dollari negli ultimi cinque anni dal National Nuclear Security Administration degli Stati Uniti. Incentivi, economici e non, da parte della Politica hanno guidato gli obiettivi della Scienza. Il ruolo della fisica è cambiato drasticamente dall’epoca di Fermi e Majorana, e si potrebbe affermare che il cambiamento è stato guidato dagli interessi della Politica internazionale. Infatti, mentre negli anni ’30 e ’40 era ideatrice di strategie offensive, per poi essere schiava della teoria della deterrenza nucleare durante la guerra fredda, la Scienza è oggi impiegata dalla Politica per ammorbidire le relazioni diplomatiche durante l’implementazione di trattati di non proliferazione nucleare. Trovare modi per mantenere la sicurezza delle informazioni di stato e allo stesso tempo rendere la diplomazia fra paesi più fluida è una delle sfide della nostra epoca.

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La Politica ha di certo avuto una forte influenza sulla Scienza. Le relazioni instabili fra gli stati e i loro interessi transitori hanno guidato la ricerca su una particella tanto piccola come un neutrone, ma non per questo poco importante. Analizzare quindi la storia delle scoperte scientifiche attraverso la lente della Politica può chiarire le virate della Scienza nel corso del tempo, ma non solo. Potrebbe anche contribuire a fare previsioni sulle svolte future.


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