Siamo tutti Ahmed Merabet

di Manuele Petri

Ahmed Merabet
Il poliziotto Ahmed Merabet ucciso ieri a Parigi sotto la sede del giornale satirico Charlie Hebdo

Sono passate poco più di 24 ore dalla terribile e allo stesso tempo insensata carneficina nella redazione di Charlie Hebdo. A noi di Frontiere, però, sembra passata un’eternità. Ogni battito di ciglia è stato saturato da un Tweet, ogni secondo da un post, ogni minuto da un articolo e ogni ora da un programma televisivo in cui esperti o presunti tali hanno sentito il bisogno di esprimere la propria opinione al riguardo.

Nei tempi dei social e dell’editoria multimediale non è concesso attendere per informarsi, riflettere, comprendere. Come se il mondo sentisse il bisogno di sapere in ogni momento quello che ci passa per la testa. Di fronte ai 12 morti e agli 11 feriti di ieri noi abbiamo preferito tacere e ascoltare. Sì, perché riteniamo che una delle cause della strage sia stata proprio la mancanza di ascolto reciproco.

Oggi, però, non si può lasciare il campo a jihadisti e islamofobi. E’ vero, l’Is, Al-Qaeda, Boko Haram e tutte le organizzazioni estremiste islamiche sono quanto di più lontano ci sia dalla nostra concezione di libertà. Questo, però, non è un buon motivo per condannare 1,5 miliardi di musulmani nel mondo.

Quando è scoppiato lo scandalo dei preti pedofili, e parliamo di decine di migliaia di casi, nessuno si è sognato di accusare i 2,5 miliardi di cristiani in giro per il mondo. Nessuno ha preteso da loro una presa di distanza ufficiale da questi abusi. Abbiamo dato tutti per scontato che alla stragrande maggioranza dei credenti non sia mai passato per la testa di abusare un bambino. Nel caso dell’Islam diamo invece per scontato il contrario: se non si dissociano è perché sono complici.

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Non prendiamo nemmeno in considerazione la possibilità che 1,5 miliardi di musulmani non sentano il bisogno di dissociarsi ogni volta che c’è un attentato di matrice islamica semplicemente perché non si sentono complici delle poche migliaia di invasati che stanno cercando di terrorizzarci.

E forse non si sentono complici perché sono essi stessi il principale obiettivo dei gruppi terroristici islamici. Secondo il Centro internazionale per lo studio dell’estremismo e della violenza politica (Icsr) di Londra nel solo mese di novembre 2014 sono state 5.042 le vittime della jihad nel mondo causate da 664 attentati, agguati, decapitazioni, esplosioni e altri atti di sangue. I jihadisti hanno colpito in 24 nazioni, con l’Iraq in testa per numero di vittime (1.770) seguito da Nigeria (786), Afghanistan (782) e Siria (693). Lo stesso studio ha evidenziato come la maggior parte delle vittime siano civili di fede musulmana.

Come è possibile sentirsi complici del proprio carnefice? Tra i 12 morti di ieri a Parigi c’è anche il poliziotto Ahmed Merabet, 42 anni, musulmano di origine algerina come i suoi assassini. Chi in Francia ora se la prende contro “l’invasione islamica” attacca anche il poliziotto musulmano che ha dato la vita per difendere gli stessi valori in cui noi crediamo. E allora se siamo tutti Charlie Hebdo, siamo anche tutti Ahmed Merabet.

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E chi oggi in Italia spara a zero contro gli immigrati e vuole chiudere tutte le moschee, nel migliore dei casi non ha assolutamente compreso ciò che è successo in Francia, paese che insieme alla Gran Bretagna è il laboratorio europeo della multiculturalità. Gli attentatori non erano immigrati ma cittadini francesi: se non vogliamo che anche in Italia qualcuno trovi nel terrorismo una disperata valvola di sfogo, dobbiamo cominciare ad ascoltare le istanze di chi vive nel nostro paese da straniero. Per farlo dobbiamo perseguire sempre più convintamente una società multiculturale cercando di evitare gli errori fatti in Francia, paese in cui da anni cova inascoltata la rabbia di tanti cittadini di origine straniera relegati ai margini della società, come magnificamente descritto nel lontano 1995 dal film L’Odio di Mathieu Kassovitz.

Cominciamo dai figli di immigrati nati in Italia a cui dobbiamo dare la cittadinanza introducendo lo Ius soli, temperato o meno che sia. Trasformiamo le nostre scuole in un luogo di confronto tra culture e religioni diverse in modo che i nostri figli non debbano avere paura di ciò che non conoscono e i bimbi stranieri possano imparare la lingua italiana e avere tutti gli strumenti necessari per conoscere la nostra cultura. Rispettiamo veramente la libertà di religione promossa dalla nostra Costituzione concedendo a tutti, anche ai musulmani, la possibilità di avere dei luoghi di culto adeguati. A fronte di 1,5 milioni di fedeli musulmani, in Italia esistono solamente 8 moschee ufficiali, 1 ogni 187.500. La maggior parte dei musulmani si ritrovano a pregare in luoghi improvvisati e privi di controllo in cui è molto più facile che si infiltri l’estremismo. A puro titolo esemplificativo le chiese cattoliche sono 64.217 a fronte di 40 milioni di fedeli, 1 ogni 622. Abbandoniamo l’approccio dello scontro tra civiltà che troppo spesso nasconde interessi inconfessabili da difendere con le armi in giro per il mondo.

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Se invece di urlare contro “l’invasione” faremo queste cose, potremo sperare un giorno di avere tanti Ahmed Merabet disposti a sacrificare la propria vita per difendere la libertà di tutti noi.

 


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