Leopoli, casa dolce casa

Joshua Evangelista per Lookout di gennaio-febbraio 2015

La piazza intorno a Sant’Andrea è gremita di anziane, bambini e giovani coppiette. Nonostante sia impossibile trovare posto nell’ampia cattedrale rinascimentale, nessuno vuole perdersi il sermone del sabato e pregare (o piangere) per mariti, fratelli, fidanzati e padri arruolatisi volontariamente per combattere nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Dopo l’omelia, il prete invita i fedeli a lasciare beni e soldi destinati a comprare elmetti, giubbotti antiproiettili, ginocchiere, divise e tutto ciò che può servire ai combattenti che vanno incontro al freddo inverno ucraino.

Nella cattolicissima Leopoli il clero e le associazioni di credenti sono punti di raccordo fondamentali per le famiglie e per chi ha deciso di difendere i confini orientali del Paese. Amici dai tempi dei boyscout, ora molti giovani della città dedicano il loro tempo libero per la causa “patriottica”, come definiscono il loro attivismo.

“Ma non chiamateci nazisti, come fanno i russi” ci chiedono i volontari disposti nei punti di raccolta. “Siamo semplicemente nazionalisti, così come quei poveri ragazzi del Pravyy Sector. Sono ucraini come noi che tengono al futuro dell’Ucraina. Sono di destra? E qual è il problema? dopo decenni di occupazione sovietica è la cosa più normale”.

I famigerati membri del “Settore destro” – identificati come antisemiti un po’ in tutta Europa, sebbene non considerati “predicatori d’odio” dall’Associated Press – sono argomento di dibattito anche all’interno dei gruppi più attivi nella propaganda antiseparatisti. “Alcuni di loro sono violenti e non condivido le loro idee, ma stanno facendo tantissimo per noi, più di tanti altri”, ci racconta un’accademica di orientamento progressista fuggita di recente dalla Crimea. Ci chiede di rimanere anonima, la sua famiglia è ancora lì e teme ripercussioni.

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Il proselitismo e la raccolta di beni non sono affidati solo alla chiesa. Nell’elegantissima Rynok Square, patrimonio Unesco e orgoglio di tutti gli abitanti dell’Oblast di Leopoli, i più attivi sono i membi dell’Upa, l’Esercito insurrezionale ucraino che raccoglie l’eredità dei paramilitari che durante la Seconda guerra mondiale combatterono contro l’Armata rossa. Organizzano cori, concerti rock e folk, reading teatrali basati sui racconti dei volontari e proiezioni di foto scattate a Donetsk.

In uno di questi incontri conosciamo Tatiana, una signora ucraina sposata con un siracusano di nobili origini che fa spola tra la Sicilia e Leopoli. Mentre il coro canta gli inni dell’antica resistenza ai tartari, lei si commuove pensando ai morti della guerra. “Fino a qualche mese fa eravamo una nazione. Eravamo tutti fratelli. E ora? La propaganda di Putin ci ha messo gli uni contro gli altri”.

Verso il presidente russo è catalizzato l’odio di gran parte degli ucraini dell’ovest. E il mercatino vicino al quartiere armeno
di Leopoli ne è la dimostrazione. La faccia di Putin è sulla carta igienica, nei tappetini per la casa insieme alla scritta “qui puoi
pulirti i piedi”, ed è rappresentato con baffetti hitleriani sugli adesivi da frigorifero. Chi parla in russo è visto con sospetto e gli stessi profughi dell’est non sempre sono sopportati dalle anziane della città. “Cosa fate qui da noi, mentre i nostri figli combattono per voi?”

In quasi ogni strada del centro ci sono volontari in divisa, di ritorno dal fronte o in procinto di dirigersi per la prima volta verso le aree contese. Hanno le facce stravolte, non sono pochi quelli che dopo aver combattuto nei pressi dell’aeroporto di Donetsk sono in cura da psicologi. Hanno estrazione sociale diversa, i professionisti combattono fianco a fianco a studenti e operai senza distinzione alcuna.

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Dzwin (“campana”) è il nome in codice di un combattente alto e muscoloso di 53 anni, appena tornato dalla guerra e in procinto di tornare a combattere. Dove, non può dircelo: “veniamo e scompariamo per confondere i nemici, è questo il nostro obiettivo”. Per nemici s’intende indistintamente i russi, i mercenari ceceni e le spie interne di quella parte dell’esercito ancora vicina a Yanukovich, il deposto presidente contro il quale è scaturita la protesta di piazza nota come Euromaidan. E proprio dagli scontri di Kiev vengono la maggior parte dei combattenti ora sui fronti dell’Est.

Dzwin si è arruolato il 12 agosto e prima di allora faceva con successo il marmista. Un giorno il suo vicino di casa, un soldato venticinquenne in procinto di diventare papà, è stato ucciso in un agguato. È stata la molla per lasciare il marmo e prendere il fucile. “Ce l’ho a morte con i capi dell’esercito regolare”, ci spiega. “Sono quasi sicuro che abbiano preso accordi con i russi, così come ha fatto il presidente Poroshenko con Putin. Mandano comandanti incompetenti. Per loro, i giovani combattenti che vengono da ovest sono nient’altro che carne da macello da dare in pasto al fuoco russo”. La settimana scorsa, Dzwin ha catturato due soldati russi. “I miei compagni di battaglione volevano ucciderli sul momento, io li ho convinti ad aspettare. Meglio uno scambio di ostaggi. Questa è una guerra sporca e c’è un silenzio minaccioso. Dobbiamo prepararci a tutto”.

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