Deportazioni e razzismo di stato alla caraibica

di Eve Hayes de Kalaf, University of Aberdeen

Sentirsi cittadini di un paese non implica che lo stato sia necessariamente d’accordo. Mentre i turisti affollano la Repubblica Dominicana – la nazione più visitata nei Caraibi – pochi sono consapevoli della lotta che decine di migliaia di persone stanno affrontando per dimostrare il loro diritto di cittadinanza dominicana.

Nati e cresciuti nel paese, molti hanno certificati di nascita, carte d’identità e passaporti per dimostrarlo. Eppure lo stato sostiene che per oltre 80 anni questa documentazione è stata rilasciata per un errore burocratico. Le persone colpite da questo errore sono ora “senza nazionalità“.

La Repubblica Dominicana condivide l’isola con Haiti. Per quasi un secolo, gli haitiani erano una fonte economica di lavoro nel settore dello zucchero. Quando gli interessi economici sono stati spostati, gli immigrati e i loro discendenti hanno abbracciato professioni diverse, dall’edilizia ai lavori domestici. Decine di migliaia di persone stabilitesi nel paese hanno avuto figli. I loro figli hanno avuto figli.

Ma per i dominicani di origine haitiana è diventato sempre più difficile, negli ultimi dieci anni, ottenere o rinnovare la documentazione rilasciata dallo stato. Dal 2007 le autorità hanno iniziato a rifiutare le registrazioni di nascita dei bimbi con nomi francesi (cioè quelli haitiani) o di cui si presume abbiano uno o più genitori haitiani. Questo criterio è stato ridefinito anche retroattivamente per gli stranieri nati nel Paese, a migliaia di persone è stata richiesta tutta la documentazione anagrafica.
Poi, nel 2013, una sentenza della Corte costituzionale ha convalidato queste pratiche ed efficacemente spogliato della nazionalità dominicana tutti i cittadini nati tra il 1929 e il 2007 i cui genitori sono privi di documenti. Una sentenza che colpisce circa 210.000 persone. La corte ha anche ordinato una revisione del registro civile, in modo che tutti coloro che “erroneamente” sono registrati come domenicani vengano identificati.

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La Comunità dei Caraibi (Caricom), che rappresenta la regione, è una degli enti indignati per questa sentenza, che ha definito “aberrante e discriminatoria” e ha rifiutato la candidatura del Paese ad aderire all’organizzazione. Piegandosi alla pressione nazionale ed internazionale, lo scorso maggio la Repubblica Domenicana ha approvato una nuova legge che prevedeva che coloro la cui nascita era stata registrata (e le cui famiglie avevano status formale di migranti) avrebbero potuto chiedere la cittadinanza. Al resto delle persone coinvolte, circa 110.000, è stato detto di fare domanda per il permesso di soggiorno da stranieri, al fine di essere in grado di chiedere la naturalizzazione dopo due anni. Tutto ciò nonostante il loro essere nati nel paese e, in molti casi, una lunga storia di auto-identificazione come dominicani.

Amnesty International ha espresso preoccupazione che qualsiasi persona del primo gruppo possa rimanere in un limbo giuridico. Non è chiaro quante persone rientrino in questa prima categoria. Dal 16 giugno il governo avrà il diritto di espellere tutti coloro che sono senza documenti, con il secondo gruppo particolarmente a rischio.

I politici della Repubblica Dominicana hanno a lungo invocato la “questione haitiana” per fini politici ed economici. Il dittatore Rafael Trujillo, che governò dal 1930 e al 1961, ha promosso l’ideologia razzista di un’immaginaria superiorità “bianca” dominicana rispetto agli haitiani. Nel 1937 ordinò la morte di circa 20.000 haitiani e dominicani di origine haitiana residenti al confine.

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Nel 1990 il tre volte candidato alla presidenza Peña Gómez, un uomo nero orfano per la strage del 1937, ha dovuto sopportare gli scherni e gli stereotipi sulle sue radici haitiane usati dell’opposizione per attaccare la sua legittimità come candidato.

Nella sua corsa finale, nel 1996, Gómez perse per poco la sfida con Leonel Fernández, che da allora ha dominato la scena politica dominicana ed è tornato in corsa per la presidenza nel 2016, assecondando i sentimenti dei neo-nazionalisti in un momento in cui il loro fervore ha raggiunto il culmine. Negli ultimi tempi abbiamo visto a Santo Domingo persone marciare contro gli “illegali” della prima generazione di immigrati haitiani e a Santiago, la seconda città domenicana, hanno persino bruciato una bandiera.

Sebbene queste manifestazioni anti-haitiani vedano la partecipazione di una piccola parte della popolazione, questo è il contesto in cui si svolge il dibattito legislativo. Il governo dominicano vuole che ci si concentri sulle tensioni del paese con Haiti perché così può offuscare il fatto che sta ritirando la cittadinanza ai propri cittadini. Quelli spogliati della loro identità sono stati anche accusati di frode verso lo stato per averlo indotto a credere che che la loro nazionalità è domenicana.

Invocando la loro “natura segreta haitiana” e definendoli “prima generazione di immigrati haitiani”, i dominicani neri sono diventati il ​​foraggio politico ideale per una elite di governo desideroso di stimolare voti accelerando le tensioni razziali.

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Lo stato dominicano sembra avere creato un gruppo di cittadini di seconda classe, segregato amministrativamente rispetto ai concittadini, costretti a fare salti mortali burocratici per ottenere la cittadinanza. Non sono in grado di contribuire. Non possono lavorare legalmente. I loro figli non possono andare a scuola.

Si trovano ad affrontare l’espulsione in un paese che molti non conoscono, dove non hanno legami familiari e la cui lingua è sconosciuta. E se fanno parte di quelli non deportati, avranno comunque formalmente perso il loro status all’interno della Repubblica Domenicana. Molti dominicani di origine haitiana stanno scoprendo che sono stranieri nel loro paese di nascita.

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