di Tom Inglis, docente di sociologia dell’Università di Dublino
L’Irlanda sta per dare luogo al primo voto popolare al mondo per decidere se gay e lesbiche abbiano o meno il permesso di sposarsi. Secondo un recente sondaggio dell’Irish Times il 58% degli intervistati voterebbe a favore, il 25% contro, il 17% invece è ancora indeciso o non voterebbe. Tralasciando quest’ultimo dato, si potrebbe presumere che il 70% voterebbe Sì al diritto di contrarre matrimonio a prescindere dall’orientamento sessuale.
Donne, single e abitanti delle città sarebbero maggiormente favorevoli a votare a favore, ma la principale discriminante è data dall’età. Solo un terzo degli over-65 hanno detto che voteranno Sì, contro un 70% degli under-34.
I sondaggi degli ultimi anni hanno indicato che la massa dei Sì è in declino, seppur lentamente – a dicembre coloro a favore raggiungevano l’80%. Le domande da porsi sono, quindi, sulle (timide) ragioni dei No e sulla partecipazione attiva della popolazione più giovane.
Quali sono le tesi?
Il referendum copre numerosi aspetti. Per i favorevoli si tratterebbe semplicemente di estendere a gay e lesbiche gli stessi diritti costituzionali delle coppie omosessuali. Le normative approvate nel 2010 hanno concesso simili – ma non uguali – diritti e responsabilità alle coppie gay e lesbiche. Un voto per il Sì renderebbero effettivi gli stessi diritti a tutte le coppie sposate, a prescindere da genere ed orientamento.
La campagna del No ha messo enfasi sul fatto che una vittoria del Sì cambierebbe la definizione di matrimonio con delle conseguenze sulle adozioni e sulla genitorialità surrogata. Questi cambiamenti minerebbero, secondo la tesi del No, alle basi della famiglia.
Accettazione dell’amore omosessuale
Questo referendum ci fa comprendere fino a che punto l’Irlanda è diventata una società moderna, liberale e cosmopolita. Fino a che punto si avvicina al resto dell’Occidente, o fino a che punto è una società conservativa, rurale e cattolica. La votazione è sui diritti, ma è certamente anche un test inevitabile per capire se il popolo irlandese riconosce e accetta l’omosessualità. Se riconosce e accetta che due uomini o due donne possano amarsi a vicenda con la stessa intensità e passione di una coppia eterosessuale. E, ovviamente, se lo stato dovrebbe o meno “benedire” il loro amore.
Su un livello più profondo, il referendum serve anche a capire se il popolo irlandese è o meno pronto ad accettare che coppie omosessuali facciano sesso, che questo sia piacevole e soddisfacente come lo è per le coppie etero e che nel caso in cui coppie omosessuali abbiano dei figli, questi non siano danneggiati dall’avere genitori dello stesso genere.
Il ruolo della Chiesa
Con questo referendum si capirà anche fino a che punto la Chiesa cattolica agisca ancora da coscienza morale della società irlandese. Una volta la Chiesa aveva il monopolio su quello che il popolo irlandese potesse considerare giusto o sbagliato e su come vivere una vita buona. La maggioranza dei cattolici – che a loro volta formavano la maggioranza della popolazione – seguivano regole e indicazioni della Chiesa.
Nell’ultima metà del 20esimo secolo, comunque, questa situazione è cambiata drasticamente. Una volta il 90% dei cattolici andava a messa una volta a settimana. Ora circa il 35%.
A parte questo calo nella frequentazione, una statistica del 2011 ha mostrato che l’84% della popolazione ha dichiarato di essere di fede cattolica romana. Ma essere cattolici non significa più quello che significava un tempo. Sembrerebbe che circa un terzo dei cattolici irlandesi segua ancora una fede rigida e tradizionale, soprattutto nella popolazione anziana che vive nelle aree rurali.
Cambio culturale
Sembrerebbe che la maggior parte dei cattolici irlandesi sia diventata “culturalmente” cattolica. E a loro volta questi cattolici culturali vedono, nella maggior parte dei casi, il cattolicesimo come parte della loro eredità. Sono propensi a mandare i propri figli in scuole cattoliche: il 90% delle scuole primarie è di proprietà della Chiesa.
I cattolici culturali sono propensi a battezzare i propri figli, a partecipare alle Prime comunioni, a sposarsi e a essere seppelliti da cattolici. L’essere cattolici potrebbe non rappresentare una forte identità personale, ma resta centrale nella vita della famiglia e della società.
La domanda di venerdì sarà: fino a che punto questa identità culturale è conciliabile con l’atteggiamento liberale di chi riconosce e accetta l’essere gay?
Tom Inglis insegna sociologia all’Università di Dublino. Ha concentrato le sue analisi sulle trasformazioni della cultura irlandese, soprattutto in relazione alla Chiesa Cattolica, alla sessualità, ai media e alla globalizzazione. È autore di numerosi libri su queste aree tematiche.
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