A che cosa servono gli studi di genere?

Analisi di Luca Ortello. Foto in copertina di Tim Mossholder


Lo scorso 4 novembre 2020 la Camera dei deputati ha approvato, con 265 voti favorevoli, 193 contrari e un’astensione, il DDL Zan in contrasto alle discriminazioni per motivi legati all’omolesbobitransfobia, alla misoginia e alla disabilità. La maggioranza della Camera, oltre ad aver respinto le pregiudiziali di costituzionalità presentate dalle opposizioni in riferimento al disegno di legge, ha anche votato per estendere le stesse tutele alle persone disabili.

Questa volta, persino Lega e Fratelli d’Italia hanno votato a favore per estendere le previsioni degli articoli 604 bis e ter del codice penale anche ai delitti commessi per ragioni legate alla disabilità della vittima. Il voto favorevole all’estensione delle tutele rivolto alle persone disabili e non alle minoranze LGBTI appare come una preoccupante incoerenza da parte di FdI e Lega, unicamente dettata da ideologie discriminatorie, come dichiarato dalla deputata Lisa Noja di Italia Viva.

A scaldare gli animi di Lega e Fratelli d’Italia, ci sarebbe soprattutto l’articolo 6 del disegno di legge, che prevederebbe iniziative educative scolastiche contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, nell’ambito della giornata nazionale contro l’omotransfobia (17 maggio). Nello specifico, le iniziative educative di contrasto al bullismo omofobico e di educazione alla diversità partirebbero dalla scuola primaria.

Iniziative educative, peraltro, già previste nelle Linee guida della legge 107/2015 (la “Buona Scuola”), articolo 1, comma 16: “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione”.

Sull’ideologia del gender

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha scritto questo tweet: “Mentre la scuola è nel caos, mancano i professori e i docenti di sostegno, gli spazi sono insufficienti, la didattica a distanza è un disastro, cosa fa la maggioranza nel Palazzo? Parla di temi surreali e oggi con il ddl Zan istituisce addirittura la Giornata dell’indottrinamento gender, anche alle elementari. La furia ideologica del Pd e del M5S non ha limiti”.

La fantomatica teoria dell’ideologia del gender ha radici antiche, essendo stata coniata e diffusa a partire dai primi anni 2000 in ambienti cattolici (in particolare, si legga il documento “Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto’” del Pontificio Consiglio per la famiglia del 26 luglio 2000) per delegittimare i gender studies.

L’Associazione italiana di psicologia (AIP) si è espressa a tal riguardo per “rasserenare il dibattito nazionale sui temi della diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane e per chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di ‘ideologia del gender’”:

“Esistono, al contrario, studi scientifici di genere, meglio noti come gender studies che, insieme ai gay and lesbian studies, hanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari (dalla medicina alla psicologia, all’economia, alla giurisprudenza, alle scienze sociali) e alla riduzione, a livello individuale e sociale, dei pregiudizi e delle discriminazioni basati sul genere e l’orientamento sessuale.

Le evidenze empiriche raggiunte da questi studi mostrano che il sessismo, l’omofobia, il pregiudizio e gli stereotipi di genere sono appresi sin dai primi anni di vita e sono trasmessi attraverso la socializzazione, le pratiche educative, il linguaggio, la comunicazione mediatica, le norme sociali. Il contributo scientifico di questi studi si affianca a quanto già riconosciuto, da ormai più di quarant’anni, da tutte le associazioni internazionali, scientifiche e professionali, che promuovono la salute mentale (tra queste, l’American Psychological Association, l’American Psychiatric Association, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ecc.), le quali, derubricando l’omosessualità dal novero delle malattie, hanno ribadito una concezione dell’omosessualità come variante normale non patologica della sessualità umana”.

A che cosa servono i gender studies

Secondo Vanda Vitone, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi Puglia, “è ormai da qualche tempo che in Italia sta prendendo sempre più piede una vera e propria propaganda contro gli studi sul ‘genere’, considerati privi di valore scientifico e devianti, volti a negare la distinzione biologica tra i sessi e diretti a guidare i bambini e i ragazzi verso l’omosessualità e la transessualità”. Eppure, secondo l’AIP “la seria e appropriata diffusione di tali studi attraverso corrette metodologie didattico-educative può offrire occasioni di crescita personale e culturale ad allievi e personale scolastico e a contrastare le discriminazioni basate sul genere e l’orientamento sessuale nei contesti scolastici, valorizzando una cultura dello scambio, della relazione, dell’amicizia e della nonviolenza”. 

Esistono da anni gli studi di genere, effettuati da parte delle maggiori università internazionali secondo i crismi della scientificità, i quali affermano l’esistenza di un sesso biologico, che però da solo non basta a determinare la nostra identità, che è una realtà dinamica ed estremamente complessa, costituita dall’interazione tra sesso, genere, orientamento sessuale e ruolo di genere. Nello specifico, il sesso è determinato alla nascita (organi genitali); il genere invece è un costrutto socio-culturale e cioè varia a seconda dell’epoca e della cultura in cui viviamo e delle regole sociali. Le società hanno costruito nel tempo ruoli per l’uomo e ruoli per la donna: il genere pertanto è acquisito attraverso modelli appresi di differenziazione tra maschio e femmina. L’identità di genere è la percezione che l’individuo ha di sé come uomo o donna; a volte non coincide con il sesso, in tal caso si parla di ‘disforia di genere’. Infine l’orientamento sessuale è l’attrazione sessuale e sentimentale che un individuo prova verso l’altro da sé: per esempio dell’altro sesso, dello stesso o di entrambi. Pertanto è fondamentale educare al genere e cioè sostenere lo sviluppo psico-fisico, sessuale e relazionale affinché i bambini e i ragazzi possano sviluppare una personalità armonica, al di là delle aspettative sulla propria mascolinità e femminilità e nel rispetto reciproco tra sessi e orientamenti diversi. L’attività di prevenzione nella scuola può essere un anello della catena indispensabile al superamento di stereotipi di genere, ancora troppo radicati nella nostra società”.

Scuola e identità di genere

Tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento nelle scuole italiane è “improcrastinabile attuare sia la promozione del rispetto delle identità di genere, sia il superamento di stereotipi sessisti attraverso la diffusione dell’educazione affettiva e sessuale, rispondendo altresì all’esigenza di attuare i principi di pari dignità e non discriminazione sanciti dalla Costituzione”.

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Il relatore della legge, nonché primo firmatario, il deputato PD Alessandro Zan, ha ribattuto più volte alle fake news dell’“indottrinamento gender” tanto caro alle destre populiste per montare odio e sospetto verso il disegno di legge, ribadendo che le iniziative previste dall’articolo 6 del DDL non trattano né dell’educazione sessuale, né dell’educazione all’affettività, ma favoriscono solo ed esclusivamente iniziative finalizzate a promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione.

Una perdita di libertà?

Nella giornata del voto del disegno di legge, i deputati di Fratelli d’Italia si sono imbavagliati in segno di protesta, mentre i loro colleghi della Lega hanno intonato il coro: “Libertà, liberta!”, mostrando cartelli con la stessa scritta. Qual è questa “libertà” che Lega e Fratelli d’Italia temono così tanto di perdere?

Se per il leghista Alessandro Pagano “genere, orientamento sessuale, identità di genere sono tutti termini che da un punto di vista scientifico non esistono”, per Galeazzo Bignami (FdI) con la nuova legge “un’affermazione secondo cui l’unica famiglia è quella naturale, fondata sull’unione di un uomo e di una donna, diventerebbe reato!”

Addirittura per Domenico Furgiuele (Lega) questa proposta “potrebbe essere approvata solo in un contesto come quello della Corea del Nord” mentre il suo compagno di partito Manfredi Potenti ritiene cbe la maggioranza degli italiani vorrebbe rimanere ancorata “alle millenarie radici della civiltà occidentale” e l’odio “è uno stato soggettivo, assolutamente indiscernibile da una legge”. E se Vittorio Sgarbi considera l’identità di genere qualcosa “che è capriccio, che è costume, che è moda, che è finzione”, Giovanni Donzelli (FdI) liquida la legge come “razzista”.

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Eppure, l’intervento che considero più significativo fra tutti, è quello del deputato di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli, ex ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, il quale, durante uno degli interventi volti a contrastare il disegno di legge, ha affermato: “Potete dire quello che volete, ma l’istigazione alla discriminazione e gli atti di discriminazione, per quanto odiosi, per quanto deprecabili, rientrano nell’ambito dell’opinione”.

Cirielli, a differenza dei suoi colleghi, rinuncia ad arrampicarsi sugli specchi con improbabili e contorsionistici ragionamenti, dischi rotti sulla “deriva liberticida” della legge, ed esterna un pensiero sincero e schietto: discriminare – ovvero “assumere atteggiamenti, comportamenti, provvedimenti che, all’interno di un gruppo o di una società, ne isolano o danneggiano una parte” (Garzanti) – è legittimo; pertanto, danneggiare, denigrare, non rispettare il prossimo (in questo caso stiamo parlando di una minoranza sessuale) sarebbe considerata una condotta lecita. Con buona pace per la democrazia, intesa “come concezione politico-sociale e come ideale etico, che si fonda sul principio della sovranità popolare, sulla garanzia della libertà e dell’uguaglianza di tutti i cittadini” (Treccani).

In parole povere, si sta affermando la legittimità alla discriminazione, al pregiudizio e a tutte le loro inevitabili conseguenze: sopraffazione, umiliazione, insulto, odio, violenza verbale e fisica.

Tutto ciò, ovviamente, non può trovare posto in uno stato democratico, che, come abbiamo visto, dovrebbe garantire libertà ed uguaglianza a tutti i cittadini.

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È proprio questo che il disegno di legge Zan tenta di arginare: un libero pensiero che possa istigare all’odio dell’altro da me, del diverso, di chi non vede il mondo come lo vedo io; ed è qui che, certe idee esternate da Fratelli di Italia e Lega, abbandonano il territorio della democrazia per addentrarsi nelle terre selvagge e incolte dell’autoritarismo di stampo fascista, in cui il “diverso” dalla maggioranza non può trovare posto né tanto meno diritti o tutele.   

#zansiamosicuri

Il 26 ottobre 2020, Giorgia Meloni, attaccando la maggioranza alla Camera, poneva una domanda retorica alla comunità LGBTI italiana: “Ma siete sicuri che gli omosessuali di questa nazione non avrebbero voluto vedervi al lavoro per difendere le loro attività, piuttosto che su questa roba qui?” (il ddl Zan). La domanda della Meloni ha ottenuto una valanga di risposte, condivise e diffuse sui social network con l’hashtag #zansiamosicuri: la risposta – unanime – è stata: “Sì, siamo sicuri che ‘questa roba qui’ serva”: perché non si possono difendere le attività se non si tutelano prima i diritti fondamentali delle persone, dei cittadini e cittadine, specie se appartenenti a gruppi di minoranza; non è accettabile che in Italia, nel 2020, esistano ancora cittadini di serie A e di serie B; non è possibile ascoltare deputati di uno stato democratico affermare che la discriminazione è legittima poiché è pur sempre un’opinione.

Per questo la legge Zan serve: non solo per tutelare le vittime di omotransfobia, le donne vittime di misoginia e le persone disabili vittime di vessazioni, atti di bullismo e discriminazioni, ma anche per costruire un’Italia più inclusiva, accogliente e mentalmente aperta, pronta a dialogare e a convivere con le differenze. Questo percorso virtuoso di cambiamento, però, non può che partire dalle istituzioni scolastiche. E i bambini della scuola primaria, così come hanno assorbito dai loro genitori e dalla società in cui vivono ruoli di genere conformistici, stereotipi e una mentalità eterocentrista ed eteronormativa, possono essere educati al rispetto dell’altro da sé, senza che vi sia alcun indottrinamento.


Profilo dell'autore

Luca Ortello

Luca Ortello
Laureato in Lettere e in Scienze dell'Educazione, ho vissuto e lavorato in Irlanda e in Tanzania. Lavoro come educatore sociale in una casa-famiglia per minori e donne vittime di violenza. Sostenitore dei diritti civili delle minoranze.
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