di Sophia Dingli, docente di Relazioni internazionali presso l’Università di Hull
Nell’estate del 2014 i nostri schermi sono stati inondati dai video della carneficina in atto tra le strade di Gaza. I media europei si sono indignati e il senso di urgenza morale è stato amplificato attraverso i social. Un indignazione simile a quella scaturita dalla distruzione dei siti patrimonio dell’umanità di Iraq e Siria, con la condanna della barbarie dello Stato islamico che ha raggiunto l’apice quando è toccato alla maestosa città siriana di Palmyra.
Confrontate questa copertura al silenzio quasi universale sulla guerra in corso nello Yemen. Una guerra in gran parte assente dai nostri schermi televisivi, dai trend di Facebook e Twitter e dalle prime pagine dei quotidiani “a lenzuolo”.
Certo, il conflitto in Yemen è una questione complicata, dove i sauditi, “cattivi” nel nord del paese, sono visti come potenziali salvatori nella parte meridionale. La guerra comprende una serie di fazioni, e non fornisce narrazioni facili per chi è un fruitore occasionale di informazione.
Certo, né il conflitto israelo-palestinese, né l’assalto dello Stato islamico sono questioni semplici, ma i media occidentali hanno un sacco di racconti semplificati e stereotipi a propria disposizione per strutturare una copertura mediatica. E soprattutto, in entrambi i casi la copertura mediatica è forte e chiara nella condanna del costo umano, sia per numero di civili che per perdita culturale.
Quindi ci si potrebbe sorprendere nel sapere che il danno inflitto a Yemen e yemeniti dal marzo 2015, quando la marcia dei ribelli Houthi verso Aden è stata accolta da una massiccia controffensiva saudita, ha già comportato un numero di vittime maggiore rispetto all’ultima offensiva israeliana a Gaza e distrutto parte di un sito patrimonio mondiale dell’UNESCO. Peggio ancora, tutto ciò non mostra segni di arresto.
Tributo pesante
Confrontare la sofferenza umana attraverso i numeri è sempre un gioco rischioso, dal momento che tali confronti sono facilmente utilizzati per far avanzare la propaganda. Ma in questo caso c’è un dato di fatto indiscutibile: il nostro silenzio sullo Yemen è un grave fallimento politico. E uno sguardo alla scala del conflitto ci deve costringere a porci domande difficili sulle sue cause profonde e sulle sue conseguenze.
Non si tratta di qualche scontro passeggero. Mentre l’offensiva israeliana contro Gaza è durata poco più di un mese, l’offensiva saudita nello Yemen sugli obiettivi Houthi dura da più di tre mesi. In questo periodo la coalizione guidata dai sauditi ha bombardato le strade, le case, le linee elettriche e di approvvigionamento idrico; ha appiattito un’intera città, la roccaforte Houthi di Saada. Allo stesso tempo, gli Houthi hanno continuato la loro marcia verso sud, commettendo atrocità contro i civili lungo la strada.
Nel frattempo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le vittime civili hanno raggiunto le 2.584 unità il 7 giugno, mentre i feriti sarebbero 11.065. Rapporti più recenti della BBC portano le vittime a 2.800. Numeri che quasi coincidono con quelli di Gaza, dove il bilancio delle vittime è di 2.191 morti e i feriti sono stati 10.895.
Diversi rapporti delle organizzazioni per i diritti umani affermano che nello Yemen ci sono state consistenti violazioni del diritto internazionale: l’uso, da parte dei sauditi, di bombe a grappolo fabbricate negli Stati Uniti, il bombardamento indiscriminato di Saada, attacchi vendicativi e punitivi contro i civili e le loro proprietà ad Aden da parte degli Houthi, l’uso di bambini soldato.
La BBC riporta che gli ospedali del Paese non sono in grado di far fronte alle urgenze in quanto mancano le medicine, mentre la vita si è più o meno fermata, in assenza di energia elettrica e acqua, così come il blocco saudita del paese ha portato i prezzi ad aumentare almeno del 400%.
Infine, i maldestri bombardamenti sauditi hanno già colpito la città vecchia di Sanaa, un sito patrimonio dell’Unesco architettonicamente unico, che è stata abitata per più di 2.500 anni e che è culturalmente significativa non solo per gli yemeniti, ma per i musulmani di tutto il mondo.
Queste cifre terribili sono in grado di trasmettere solo un assaggio delle sofferenze subite dagli yemeniti su base giornaliera. Il punto del mettere tutto ciò insieme, come detto sopra, è quello di evidenziare il relativo silenzio che ha accolto questa guerra rispetto ad altri conflitti simili.
Scala di innocenza
Forse ciò è frutto della distanza tra lo Yemen e l’Occidente, sia reale che suggestivo. Lo Yemen è più lontana dall’Europa di Gaza in entrambi i sensi, e “noi” semplicemente ne sappiamo molto meno.
Ancora più importante, le news sullo Yemen sono state finora basate sulla falsa identificazione dello stato e dei suoi cittadini con le tribù “incivili” e arrabbiate e con i musulmani affiliati ad al-Qaeda. La maggior parte delle storie dallo Yemen, fino all’inizio della guerra, ruotava intorno al terrorismo e agli attacchi dei droni. Di conseguenza, la vita degli yemeniti ha forse perso posizioni nella “scala di innocenza”, sulla quale si valutano gli altri e le loro sofferenze.
Anche gli aspetti pratici sono significativi, naturalmente. Nello Yemen sembrano esserci molti meno giornalisti di agenzie di stampa occidentali rispetto alla guerra di Gaza, con alcune eccezioni di alto profilo che intraprendono il viaggio per riferire ciò che sta accadendo. Questo sta fortunatamente cambiando con l’arrivo di Jeremy Bowen, Linda Sinjab e Orla Guerin a Sanaa e Aden nelle ultime settimane.
Poi c’è la questione della geopolitica. Questa guerra è semplicemente meno di una crisi per i governi occidentali, almeno rispetto all’offensiva dello Stato islamico e al conflitto israelo-palestinese – ma non è certo trascurabile. C’è di mezzo uno dei più importanti alleati degli Stati Uniti nella regione e uno dei più importanti fornitori mondiali di petrolio.
Può sembrare che i rischi per i governi occidentali coinvolti in Yemen sono meno pressanti rispetto alla minaccia rappresentata dallo Stato islamico – ma le ripercussioni di questo conflitto rischiano di creare il caos anche oltre la penisola arabica.
La differenza politica più evidente è che, mentre Gaza e la situazione dei palestinesi sono stati adottati come una causa celebre dalla sinistra del Parlamento europeo (e in una certa misura, di quella americana), lo Yemen è stato largamente ignorato. In assenza di un impegno simile da parte della politica di sinistra, l’informazione sullo Yemen rimane scarsa, e non provocherà mai abbastanza indignazione per influenzare il corso degli eventi.
Dato l’enorme volume di cattive notizie provenienti dal Medio Oriente, affrontare questa disparità è un enorme e quasi impossibile compito – e quelli coinvolti e i loro cari, vicini e lontani, rimarranno in gran parte fuori radar del mondo.
su gentile concessione di:
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