Afropolitan è il tentativo di tradurre in musica i nuovi linguaggi che da circa un decennio caratterizzano il rinascimento africano. Un termine coniato nel 2005 dalla scrittrice ghanese Taiye Selasi, reso poi celebre dal filosofo camerunense Achille Mbembe nel saggio “Afropolitanism”, in cui sostiene la multiculturalità come via africana alla cittadinanza globale. Un termine che fa riferimento a quella classe media “mobile, sociable and attractive” capace in questi anni di ritagliarsi spazi di assoluto rilievo nel campo dell’economia e delle arti e che ben si presta a descrivere questa nuova identità nera apolide. “Giovani, urbani e culturalmente consapevoli” come ha sagacemente titolato la CNN in uno speciale dedicato proprio alla nuova imprenditoria Afropolitan. Un’esplicita presa di distanza dal “disastro pornografico” con cui a lungo abbiamo descritto le apocalissi del continente nero; ma anche un passo in avanti rispetto alla nozione romanticizzata di Eden africano, tutta natura selvaggia, tribù e tradizioni. Gli Afropolitan sono ibridi per definizione, studiano a Parigi, espongono a New York, ma conservano in maniera gelosa ed originale le radici africane, specie quelle esoteriche. Sono sperimentatori indomiti, ricercatori per vocazione; narratori ipertestuali in grado d’interpretare i linguaggi della contemporaneità in maniera unica e spiazzante.
Benvenuti nell’Africa del secolo XXI, tra cosmopolitismo, magia nera e autostrade digitali.
Il Festival RomaEuropa ha selezionato alcune delle eccellenze di questa nuova generazione e li ha invitati a calcare i palchi romani dell’ex Mattatoio, a Testaccio. Tre serate da non perdere, dal 29 al 31 ottobre, che i lettori di Frontiere potranno gustare con una riduzione sul prezzo del biglietto di 2 euro (da 15 a 13) esibendo questo articolo, stampato o su display. Ogni sera, dopo i live, dj set di Raffaele Tarantino tematici, diversi ed originali in base all’ospite della serata, che seguiranno i live degli artisti in programma in un percorso progressivo, che va dalle radici ancestrali della musica Nera ai suoi più moderni e contaminati linguaggi, fino a far esplodere il dance floor.
Pat Thomas & Kwashibu Area Band
29 ottobre 2015, ore 22 – MACRO Testaccio, La Pelanda
Noto in patria col nome di Golden voice of Africa, Pat Thomas apre la nuova edizione di Afropolitan, per Romaeuropa Festival in collaborazione con Afrodisia. Thomas è una delle figure centrali di quella generazione di musicisti che negli anni ‘60 e ‘70, diedero nuova linfa all’highlife, genere musicale nato in Ghana agli inizi degli anni ‘50: caratterizzato da un connubio tra ritmi tradizionali, influssi caraibici e strumenti occidentali e associato, durante il periodo coloniale, all’aristocrazia africana, che attraverso quei suoni riprendeva a suo modo la grandeur delle orchestre da ballo anglo-americane. Fondamentale è, all’inizio della sua carriera, l’incontro con un’altra star dell’highlife, Ebo Taylor: «L’highlife era la nostra musica e quello che artisti come me ed Ebo volevamo fare era modernizzarla, renderla più aderente ai nostri giorni e più funky», afferma Pat Thomas. Ecco allora che i ritmi della musica tradizionale s’innestano in nuovi arrangiamenti per chitarra e voce e si contaminano con afrobeat e sonorità afro-disco. Prodotto dalla Strut, importante etichetta londinese, e realizzato insieme alla Kwashibu Area Band -composta da Kwame Yeboah (Cat Stevens) e Ben Abarbanel-Wolff (sassofinista di antica residenza berlinese già coinvolto con Ebo Taylor), con quartiere generale in Germania, il paese europeo che più di tutti ha avuto un forte impatto su questa formazione artistica- il nuovo disco di Pat Thomas ripercorre quasi cinquant’anni di musica, donando nuova luce a un importante percorso culturale, proiettandolo verso il futuro. A Roma una numerosissima formazione, in cui si incontrano nuove leve della musica africana e vecchi collaboratori di Thomas, presenta al pubblico e al mondo un percorso storico, sospeso tra innovazione e tradizione.
Mbongwana Star
30 ottobre 2015, ore 22 – MACRO Testaccio – La Pelanda
Loro sono i Mbongwana Star e arrivano da Kinshasa. Due di loro provengono da Staff Benda Bilili, una band composta da musicisti di strada (si è sciolta nel 2013), quasi tutti paraplegici a causa della poliomielite che avevano contratto da bambini. Avevano iniziato a suonare insieme perché nessun altro musicista voleva suonare con dei disabili. Si esercitavano all’interno dello zoo di Kinshasa, suonando con strumenti costruiti con materiali trovati tra i rifiuti. Spesso il loro unico pubblico era composto dalle scimmie dietro le gabbie. Dormivano agli angoli delle strade o in case alloggio per disabili, guadagnando da vivere vendendo sigarette di contrabbando. Nel 2009 un produttore belga li notò e iniziò così un grande successo che li portò a suonare nei festival più importanti del pianeta. Ma al culmine del successo, qualcosa si ruppe e il gruppo si sciolse. Due protagonisti di quell’incredibile esperienza (Coco “ Yakala” e Theo “ zonza”) si ritrovano insieme con la precisa volontà di “tirare fuori la magia dalla spazzatura”. Mbongwana, significa “cambiamento”. Il cambiamento in questione arriva direttamente dal produttore hip-hop irlandese Doctor L (Liam Farrell), che Coco e Theo avevano apprezzato tra i solchi di “Black Voices” di Tony Allen.
La maggior parte di loro vive ancora per strada. Ed è proprio la vita di strada a ispirare i testi e le sonorità delle loro canzoni. Il 18 giugno hanno pubblicato il loro primo disco, From Kinshasa, un eclettico mix di musica punk, elettronica, psichedelica e rumba congolese. Per il Guardian sono 5 stelle, così come l’Indipendent. “Sembra arrivare da un altro pianeta, e in effetti è davvero un miracolo che una musica del genere sia stata prodotta”.
BLK JKS
31 ottobre 2015, ore 22 – MACRO Testaccio, La Pelanda
Con un album e due EP prodotti tra il 2009 e il 2010 dalla Secretly Canadian, la band sudafricana BLK JKS -da pronunciare Black Jacks- ha letteralmente stregato la stampa internazionale, imponendosi tra le realtà più interessanti nel panorama della contaminazione musicale africana. “After Robots”, il loro unico disco, conquista in quegli anni Rolling Stone -con tanto di copertina dedicata- e si lascia etichettare dalla più snob Pitchfork come: «Un’opera estremamente ambiziosa, con incursioni in picchiata nel kwaito, nello ska, nelle atmosfere reggae, nel jazz e nel prog». Non a caso, il noto dj globe-trotter Diplo dopo averli scoperti decise di presentarli al mondo definendoli i TV On The Radio sudafricani. “Lakeside”, uno dei brani di questo disco, è parte della colonna sonora del videogame Fifa 2010, quasi a sottolineare l’anima pop e al contempo estremamente eclettica della band. Astraendosi dal territorio d’origine, ma solo per ricaderci dentro con una furia capace di far esplodere e rinnovare potentemente la tradizione, i BLK JKS costruiscono un universo musicale nuovissimo e, soprattutto, non incasellabile in nessun genere. Dopo ben cinque anni di silenzio interrotti da brevi collaborazioni -dalla release di mixtape come “Africa in your Earbuds” e, recentemente, dall’apertura del concerto nello stadio di Johannesburg dei Foo Fighters per volontà di Dave Grohl- la band formata da Mpumelelo Mcata -recentemente impegnato in veste di regista con il film “Black President”- Molefi Makananife, Tshepang Ramoba, Hlubi Vakalisa e Tebogo Seitei, arriva a Romaeuropa Festival nella line up di Afropolitans per presentare dal vivo il nuovissimo album. Un live che, ancora una volta, promette di sovvertire, attraverso quel mood di matrice africana, gli stilemi dell’alternative rock o, come presagiva nel 2010 Rolling Stone, di affermare i BLK JKS come la rock ‘n’ roll band che stavamo aspettando dopo gli Smiths, i Cure e il crollo dei Doors.
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