di Alessandro Pagano Dritto
(Twitter: @paganodritto)
Passata senza esito favorevole o sfavorevole la data fatidica del 20 ottobre, la Libia entra in un nuovo «limbo» a tempo dove nulla sembra né definito né definibile. Contestate per motivi e con accenti diversi dagli esecutivi sia di Tripoli che di Tobruk, le Nazioni Unite provano a far leva sui rispettivi parlamenti per creare il consenso al governo Sarraj di accordo nazionale. Nel frattempo il futuro possibile Primo Ministro, privo ancora di qualsiasi approvazione interna, tenta i primi collegamenti con la comunità internazionale e si rivolge alla Nazione.
La domanda che infondo angustiava l’osservatore di cose libiche alla vigilia del 20 ottobre era sostanzialmente una: cosa sarebbe successo se a quella data né il parlamento riconosciuto di Tobruk né quello non riconosciuto di Tripoli avessero concesso la propria fiducia al governo proposto dalle Nazioni Unite l’8 ottobre 2015?
La questione del dopo: un interrogativo eluso.
Ad oggi non è ancora possibile rispondere compiutamente a questo interrogativo, per una serie di ragioni pragmatiche.
La prima è che entro il 20 ottobre nè il General National Council (Consiglio Generale Nazionale, GNC) della Capitale nè la House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR) di Tobruk si sono espresse, mandando così a vuoto l’ennesima data fatidica imposta senza esito dalle Nazioni Unite. E dire che non si sono espresse è naturalmente cosa ben diversa dal dire che hanno espresso parere negativo sulla questione: né dall’una né dall’altra parte si è semplicemente giunti a una votazione finale, così che nessuno ha corso il rischio di porsi in una posizione di diretto scontro con la comunità internazionale.
Questa ambiguità di fondo ha d’altro canto permesso alle Nazioni Unite di annunciare il proseguimento del dialogo, come il vertice massimo della United Nations Support Mission In Libya (Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL) ha pubblicamente riferito a Tunisi il 21 ottobre: visto che nessuna delle due realtà politiche libiche ha nettamente rifiutato il dialogo, c’è stato il margine utile per portare ancora avanti i negoziati. Difficile dire adesso, però, fino a quando. Appare abbastanza certo che la comunità internazionale abbia urgenza di concludere il prima possibile la questione, quindi i tempi non dovrebbero essere eccessivamente lunghi, ma una data precisa – anche considerata l’ormai palese inutilità delle date fissate in anticipo in questo scenario – non è possibile individuarla. Intervenendo il 22 ottobre, di fronte alle Commissioni riunite della Difesa e degli Esteri, il Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha riferito che Bernardino Leon dovrebbe rimanere in carica ancora per alcune settimane e starebbe lavorando per una conclusione dei negoziati che avvenga in Marocco o addirittura, se sarà confermato un sufficiente livello di sicurezza, nella stessa Tripoli.
Governo Sarraj: la comunità internazionale tesse il consenso interno e pensa al dopo.
Non di meno il 20 ottobre è una data che ha cambato effettivamente qualcosa in Libia. È per esempio un dato
oggettivo la conclusione del mandato della HOR, di recente rinnovato dallo stesso parlamento orientale. La questione non è di poco conto se si pensa alla legittimità che le istituzioni riconosciute hanno, in modo univoco, agli occhi delle Nazioni Unite e della comunità internazionale: non è un caso se lo stesso Leon, sempre parlando a Tunisi, ha definito «una specie di limbo» l’attuale situazione libica. Alcuni osservatori hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale del prolungamento, sostenendo dunque l’incostituzionalità dello stesso. Dal canto suo la comunità internazionale, che tempo prima era sembrata dare alle sole istituzioni unitarie la legittimità dopo il 20 ottobre, sembra adesso congelare la situazione e continuare a riconoscerla per com’é: se infatti la HOR perdesse ufficialmente la propria legittimità, tutte le sue rappresentanze in giro per il mondo non sarebbero più valide e ciò – deduce chi scrive queste righe – porterebbe a una confusione diplomatica del tutto evitabile, dal punto di vista internazionale, nel periodo di tempo presumibilmente breve che dovrebbe separare il paese dall’approvazione di strutture unitarie.
La retorica dei vari paesi interessati alla Libia è che il governo unitario lo decideranno i libici e c’è senz’altro del vero in quello che dice il Ministro Gentiloni, che cioé se le Nazioni Unite avessero voluto imporre una propria scelta l’avrebbero già imposta senza attendere i mille rinvii; non di meno, però, è altrettanto palese che la comunità internazionale si stia comportando scavalcando nei fatti il parere delle parti libiche, come se lo ritenesse una pura formalità da adempiere in tempi più o meno vicini. Pur ancora privo di approvazione parlamentare, il Primo Ministro proposto Fayez Sarraj ha infatti già avuto alcuni contatti internazionali almeno con l’Italia – lo ammette ancora Gentiloni – e l’Unione Europea e ha persino tenuto un discorso alla Nazione il 22 ottobre: significativamente, si può presumere, dopo il termine del mandato originario della HOR. Questo parrebbe sottolineare che la comunità internazionale avrebbe già trovato un proprio referente e che stia ora lavorando esclusivamente per vestirlo anche della legittimità interna al proprio paese. Secondo un articolo del Libya Herald – che, si ricordi però, è su posizioni opposte a quelle di Tripoli – sarebbe proprio uno dei componenti del Consiglio Presidenziale proposti da Leon per il governo Serraj, Ahmed Maetig, a lavorare all’interno del suo parlamento di riferimento, il GNC, perché la proposta venga accettata. Appare quindi ben possibile, non che prevedibile, che dall’esterno si stia lavorando attraverso dei mediatori locali per tessere un più ampio consenso interno: presumibilmente, per quanto possibile, in entrambe le realtà politiche del Paese.
#Libya‘s 3 Govs: An internationally recognised one in East, a non-recognised in Capital, A quasi-recognised in…TBC https://t.co/apOaCoBHqp
— Rana Jawad (@Rana_J01) 22 Ottobre 2015
Intanto, soprattutto da parte europea e italiana, si lavora al dopo approvazione: Gentiloni riferisce che la HOR
avrebbe negato la disponibilità di concedere le acque territoriali per la terza fase, ancora quindi da venire, della missione navale europea antitrafficanti EUNAVFOR MED, nonostante un tentativo operato in tal senso da Italia, Unione Europea e Regno Unito; e siccome anche le Nazioni Unite non sarebbero propense a imporsi in tal senso come potrebbero fare applicando il celebre Capitolo 7 del proprio statuto, non rimane altra scelta che aspettare un governo unitario. Difficile a questo punto pensare che l’appoggio internazionale allo stesso Primo Ministro proposto Sarraj non sia condizionato a un’intesa richiesta di intervento. Tra l’altro Gentiloni adombra anche la possibilità di un intervento terrestre della missione antitrafficanti, ma sempre dopo l’espressione del consenso libico affinché ciò accada. A tal proposito l’agenzia britannica Reuters dichiara di aver potuto visionare un documento non pubblico, inviato alle cancellerie del continente il 19 ottobre scorso, in cui l’Unione Europea programmava misure di sicurezza da attuare in Libia sia in caso di approvazione del governo di accordo nazionale sia in caso di fallimento della stessa.
Esecutivi differentemente critici nei confronti delle Nazioni Unite.
Bisogna in ultimo notare che le recenti votazioni finite in un nulla di fatto sia a Tripoli che a Tobruk potrebbero aver manifestato, nel loro complesso, non solo la normale varietà di posizioni presenti, ma anche un più o meno pronunciato scollamento tra gli esecutivi e i rispettivi parlamenti e soprattutto tra gli esecutivi e le Nazioni Unite. Nel possibile affievolirsi della loro importanza effettiva, in vista appunto dell’eventuale esecutivo Sarraj, questi ultimi hanno infatti cominciato da ambo le parti una, seppur differente nei contenuti, critica verso il Palazzo di Vetro.
La questione potrebbe forse essere più pronunciata a Tripoli, dove l’esecutivo presieduto da Khalifa al Ghweil ha dato segno di rifiutare la mediazione delle Nazioni Unite, proponendo invece un dialogo esclusivamente libico senza mediazioni esterne. La più alta voce ufficiale espressasi sulla questione dall’interno del parlamento, cioè quella della sua Commissione Politica, ha al contrario espresso la propria adesione al processo di pace mediato dal Palazzo di Vetro e ha persino citato a proposito una risoluzione del Consiglio di Sicurezza: questo pur senza lesinare critiche alla specifica conduzione di Bernardino Leon. Ma è una cosa ben diversa rifiutare il ruolo delle Nazioni Unite dal criticare semplicemente l’operato del mediatore che personalmente e temporaneamente le rappresenta.
Pur non mettendo in discussione, per ovvi motivi, la propria adesione al processo delle Nazioni Unite, invece, anche le autorità riconosciute di Tobruk hanno negli ultimi tempi manifestato delle insofferenze verso questa entità sovranazionale. Dalla persona del Primo Ministro Abdallah al Thanni sono infatti arrivate critiche sull’atteggiamento di sostanziale inattività nei confronti del terrorismo libico contro cui l’arma orientale sta combattendo: recentissimo il caso dei colpi di mortaio lanciati all’indirizzo di una folla che a Bengasi stava protestando contro la proposta governativa di Bernardino Leon. Alcuni osservatori sostengono che la mancanza di operatività da parte delle Nazioni Unite, impegnate ora principalmente ad operare a livello politico tra i due parlamenti, potrebbe ottenere il risultato di stringere l’opinione pubblica attorno al Generale Khalifa Hafter e alla sua guerra ormai più che annuale contro le milizie ribelli dell’est. Dal momento che sembra che l’ultima proposta di accordo aggiornata dalle Nazioni Unite e risalente all’11 ottobre potrebbe influire pesantemente, se non differirà esplicitamente in questo dalla precedente versione, sui vertici militari all’indomani della creazione di un governo unitario, si capisce che tutto questo potrebbe rafforzare anche a oriente il fronte contrario a un governo di accordo nazionale.
#Libya-n Govs & Intl Community failure to deal with terrosim in #Libya reinforces the idea that Haftar’s solution is the only solution.
— Mohamed Eljarh (@Eljarh) 24 Ottobre 2015
Profilo dell'autore
- Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.
Dello stesso autore
- Africa23 Dicembre 2016Libia, il gheddafismo dopo il 2011
- Blog8 Dicembre 2016Libia, chi ha attaccato i terminali petroliferi?
- Blog16 Ottobre 2016Libia, Tobruk tra nuova visibilità internazionale e controllo del territorio
- Africa18 Settembre 2016Libia, la lotta interna per i terminali petroliferi e la missione italiana