di Jessica Hellmann (direttrice dell’Institute on the Environment – University of Minnesota) e
o-direttore della Berkeley Initiative on Global Change Biology, University of California)Mentre fiumi di rifugiati entrano in un’Europa non pronta ad accoglierli, il mondo sta a guardare. Conflitti e disordini sociali – in parte causati da cambiamenti ambientali, tra cui l’indotta scarsità di cibo – hanno spinto i migranti a cercare nuove case e nuove opportunità. Per gli ecologisti, tuttavia, questa non è una sorpresa.
Quando guardiamo alla storia della vita sulla Terra, vediamo un ricorrente modello con cui gli esseri viventi rispondono ai cambiamenti climatici. Sia le piante che gli animali hanno una notevole capacità di migrazione in risposta al mutare delle condizioni. Nel corso di molte generazioni e di migliaia di anni, questo porta a massicci cambiamenti nella distribuzione geografica delle specie e nella composizione degli ecosistemi di tutto il mondo. Le specie possono adattarsi ai cambiamenti climatici e, talvolta, si estinguono, ma il movimento è una risposta quasi onnipresente.
Questa osservazione delle migrazioni del passato ci dà una finestra sul futuro, suggerendo quali percorsi può intraprendere la vita (tra cui quella umana), oggi sottoposta a un sensibile cambiamento climatico.
In particolare, data la portata dei cambiamenti climatici e ambientali che stanno avvenendo sulla Terra oggi, potremo essere sul punto di affrontare un’era senza precedenti di migrazione umana.
Una maggiore velocità di cambiamento
Come ecologisti, sappiamo che una cosa è certa: quando avvengono cambiamenti climatici, gli organismi si spostano.
Durante l’ultima era glaciale, un periodo in cui il mondo era di circa 10 gradi Fahrenheit più freddo, le foreste dominavano la Death Valley, in California, un luogo che è ora un deserto caldo. Che fine hanno fatto gli alberi? Si sono spostati. Nel corso di molte generazioni, i semi sono stati dispersi sempre più verso nuove posizioni – con condizioni più favorevoli – rendendo possibile la sopravvivenza.
Molti milioni di anni fa, in un’epoca in cui la Terra era molto più calda, “parenti” dell’alligatore vivevano ai poli. Perché erano lì? Perché il clima era adatto per gli alligatori e la loro prole.
Spostandosi, una specie riduce efficacemente la sua esposizione alla mutevolezza delle condizioni: se ogni generazione è in grado di trovare climi adatti, poi nel corso del tempo tutti finiscono per sperimentare condizioni simili.
I reperti fossili mostrano ondate su ondate di migrazione delle specie. Questo processo di riconfigurazione geografica è disorganizzato e disordinato, con strane combinazioni di organismi che coesistono durante specifiche ere geologiche.
Per quanto drammatici, i passati cambiamenti climatici sono avvenuti in periodi di tempo molto lunghi, per cui i tassi medi di migrazione erano piuttosto lenti.
Oggi la situazione è molto diversa, in quanto il tasso di cambiamenti climatici previsto per il prossimo secolo è di almeno 10 volte il tasso osservato alla fine dell’ultima era glaciale.
Gli ecologisti ritengono che alcune specie, di fronte ai cambiamenti climatici di oggi, avranno bisogno di muoversi molti chilometri all’anno, in media, per tenere il passo con il riscaldamento causato dalle emissioni attuali, il che porterebbe a 4-8 gradi Celsius di aumento della temperatura media in questo secolo. Per alcune specie, tuttavia, le migrazioni possono essere molto diverse: possono percorrere distanze più brevi ma spostarsi, ad esempio, dai piedi di una montagna alla cima o dalla costa verso l’interno.
Dipendenza dell’uomo da altre specie
Si sposteranno anche le persone, percorrendo lunghe distanze in un breve periodo di tempo? Le innovazioni sociali e tecnologiche della società umana hanno in molti modi svincolato le nostre vite dalla diretta dipendenza dal clima locale, almeno nelle società sviluppate. Regoliamo l’atmosfera nelle nostre case e automobili, e spostiamo cibo e acqua da dove è disponibile (o da dove può essere prodotta in abbondanza) a dove è necessario, percorrendo grandi distanze.
Eppure le altre specie da cui dipendiamo – soprattutto per il cibo e le fibre – hanno le loro esigenze di clima. I cambiamenti climatici stanno rapidamente spingendo agricoltori a piantare specie e varietà diverse, a spostare la produzione di particolari colture verso luoghi più freddi o umidi, e ad aumentare la pressione di forniture limitate di acqua per l’irrigazione.
Dove l’agricoltura diventa difficile, se non addirittura impossibile, o quando vengono oltrepassati altri limiti climatici, anche noi esseri umani potremmo prendere questa strada.
Nei reperti fossili, la migrazione è il segnale dominante di risposta ad un clima, ma oggi la tecnologia e l’innovazione socio-economica ci danno molti altri modi per adattarsi. E, allo stesso tempo, i mercati globali per i beni ci rendono liberi, in una certa misura, dalla dipendenza dalle condizioni locali.
Le tecnologie e mercati globali che ci permettono di adattarci alle mutevoli condizioni, d’altra parte, facilitano anche il movimento dell’essere umano e collegano le nostre economie, rendendo tutti noi vulnerabili agli impatti climatici percepiti in tutto il mondo.
Non vi è dubbio che il cambiamento climatico è uno dei fattori che esacerba disordini sociali e politici in tutto il mondo, e questi effetti possono intensificarsi rapidamente nei prossimi anni e decenni. Le migrazioni umane – proprio come le risposte di creature non umane – saranno difficili da prevedere, caotiche e casuali. Eppure, dando ascolto alle lezioni di ecologia e allo studio dei reperti fossili, faremmo bene a prepararci per il crescente numero dei rifugiati climatici e alle loro esigenze, che siano in fuga dall’innalzamento del livello del mare, dalle ondate di calore, da siccità e carestia, o dai conflitti sociali che derivano da tutto ciò.
Affrontare il cambiamento geografico
Gli ecologi incaricati della gestione delle risorse naturali non umane si stanno preparando in molti modi per le migrazioni di specie, tra cui:
- individuare le regioni con i cambiamenti climatici più veloci, da cui ci aspettiamo la più grande migrazione
- pianificare parchi e riserve che possano essere destinati per la migrazione delle specie, e preservare i corridoi che consentono alle piante e agli animali di muoversi attraverso paesaggi urbani e agricoli fortemente frammentati
- guardare alle regioni con climi più stabili per utilizzarle come rifugi dove le comunità e gli ecosistemi possano essere naturalmente resilienti. In alcuni casi, stanno cercando di facilitare la migrazione, perché sappiamo che il movimento permette alle specie di evitare il rischio di rimanere bloccato in un clima degradante.
L’analogia è imperfetta, ma dobbiamo pianificare anche la migrazione delle popolazioni umane. Ciò significa cercare di identificare e valorizzare le comunità resilienti che possono sostenere le comunità vibranti di fronte ai rapidi cambiamenti ambientali e sociali. E noi dobbiamo accogliere le persone alla ricerca di posti che oggi sono migliori e che saranno ancora più adatti nel futuro.
Se il passato biologico predice il futuro, i leader politici devono prepararsi ad un’epoca di profondo cambiamento geografico, un’epoca moderna della migrazione.
Traduzione di Valerio Evangelista. Su gentile concessione di:
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