di Clelia Pinto – Il Resto del Carlinho – Utopia
Nessun allarme. Nessuna sirena. È stato con una telefonata della Samarco, compagnia mineraria di proprietà delle multinazionali Vale e Bph, che gli abitanti della zona coinvolta dal crollo delle due dighe sono stati avvertiti del disastro incombente, a Mariana, Minas Gerais, sudest del Brasile.
Dopo il crollo, uno tsunami di rifiuti minerari ha spazzato via il villaggio di Bento Rodrigues. Presi di sorpresa, tecnici della compagnia e abitanti si sono trovati sommersi dal fango.
Il bilancio, ancora parziale, è di 11 vittime accertate (ufficiali) e 12 dispersi (numero che varia quotidianamente), ma si tratta di numeri che potrebbero essere molto lontani dalla realtà e un danno incalcolabile all’ambiente.
La Procura della Repubblica rileva l’assenza sia di un piano di prevenzione adeguato che di uno d’emergenza. Non c’era neanche, perché scaduta nel 2013, la licenza ambientale. Non c’era, inutile dirlo, un sistema di barriere – le stesse da utilizzarsi nel caso di spargimento di petrolio – per impedire che il fiume di fango tossico raggiungesse, a 300 km da lì, il mare, nello stato di Espirito Santo.
Rio Doce, è il suo nome. Il fiume dolce.
I rilievi effettuati dalla Saae (servizio idrico e fognario) parlano di un indice di ferro 1.366.666% superiore a quello consentito. I livelli di manganese, metallo tossico, superano quello tollerabile del 118000% e quelli dell’alluminio del 645000%.
Secondo l’Ibama (Istituto Brasiliano per l’Ambiente e le Risorse) sono stati 50 milioni i metri cubi di fango che si sono riversati nell’ecosistema. La multa che l’ente ha “inferto” alla Samarco è stata di 250 milioni di reais, con possibilità di uno sconto del 30% se pagati entro venti giorni. La cifra, anche se pagata per intero, non sarebbe sufficiente neppure a iniziare a risolvere il problema di decontaminazione e ritiro del fango.
In una conferenza stampa, il presidente della Samarco, ha affermato che i residui sono inerti e non dannosi per gli esseri umani e che la causa del crollo sarebbe stata una scossa sismica, inferiore ai tre gradi (Richter). La scossa, quindi, avrebbe coinvolto, solo le dighe e non le altre strutture della compagnia o le costruzioni dei dintorni.
“Isolatamente, una scossa di questa entità non può provocare il crollo delle strutture”, valuta André Zingano, a capo del Dipartimento d’Ingegneria Minieraria dell’Università Federale di Rio Grande do Sul. “Sotto i tre gradi, è quasi impercettibile. Potrebbe provocare danni solo se la struttura fosse già instabile”. Lo stesso effetto di una forte pioggia. Secondo gli specialisti, le possibilità sono varie: possono esserci state mancanze nel progetto o nella costruzione, problema nei lavori di sollevamento delle barriere, mancanza di manutenzione o anche negligenza nell’operazione.
Il maggior disastro ecologico brasiliano poteva essere evitato. È accaduto quando il governo brasiliano ha deciso di abbassare i parametri necessari alle concessioni ambientali per la realizzazione di “opere strategiche”.
Il progetto “Agenda Brasile”, che sarà discusso a breve al Congresso che definisce un insieme di proposte teoricamente destinate a far uscire il paese dalla crisi, include anche progetti di legge destinati a alterare la legislazione ambientale, soprattutto per semplificare le autorizzazioni. In quest’ottica, la protezione e la sicurezza nell’ambiente e delle popolazioni coinvolte sono viste come ostacoli allo sviluppo portato dalle multinazionali.
In particolare, secondo quanto proposto dal senatore Romero Jucá (Partito Democratico Brasiliano), “la costruzione di infrastrutture strategiche per lo sviluppo nazionale (strade, ferrovie, porti, aeroporti, strutture legate allo sfruttamento delle risorse energetiche e di ogni altro tipo) devono essere regolamentate facilitando le licenze ambientali.
In Portogallo, il gruppo che si prepara a partecipare alla Conferenza sul Clima a Parigi, manifesta la sua solidarietà alla popolazione coinvolta nel disastro del Rio Doce e ha scritto nel suo comunicato che non è stato un incidente.
Il Brasile possiede una delle maggiori riserve di terre rare nel mondo (17 elementi chimici in 40 milioni di tonnellate cubiche usate nella produzione di alte tecnologie) però non esiste una legislazione specifica per lo sfruttamento dell’insieme minerario. Questo dimostra quanto gli stati brasiliani siano sottomessi all’interesse delle compagnie minerarie. In Brasile si svolge lo sfruttamento della maggior miniera d’oro al mondo, a Paracatu (Minas Gerais). Studi del Centro di Tecnologia Mineraria del 2014 provano la contaminazione legata agli alti livelli di arsenico, un metallo pesante che provoca vari tipi di cancro. I lavoratori della compagnia presentano livelli di arsenico 25 volte superiori a quelli sopportabili, mentre quelli della popolazione sono superiori di “solo” cinque/dieci volte. In campo economico, ci sono vari casi di irregolarità commesse dalle compagnie minerarie: evasione fiscale, mancanza di informazione sui prodotti e sulle quantità estratte e commercializzate. Questi crimini contro lo stato brasiliano sono commessi mentre il settore riceve incentivi fiscali per le nuove imprese e esenzione fiscale per l’esportazione.
La Vale do Rio Doce è stata privatizzata (e svenduta) nel 1997 dall’allora presidente Fernando Henrique Cardoso per 3 milioni di reais, quando era valutata 100 milioni. Dopo aver privatizzato il settore, Cardoso ha deregolamentato il pagamento delle tasse di circolazione di merci e servizi.
La Samarco è la 10ª maggiore esportatrice del Brasile. Nel 2014 ha fatto profitti per 2,8 miliardi di reais.
La Vale è stata una delle maggiori finanziatrici delle campagne elettorali del 2014, contribuendo con circa 26 miliardi di reais a diverse candidature e finanziamenti ai partiti. Ha guadagnato, solo tra aprile e giugno del 2015, 5 milioni di reais, contro i 6 guadagnati, nello stesso periodo dalla BPH. Stiamo quindi parlando di due tra le imprese maggiori al mondo, che, nonostante simili guadagni, non hanno ritenuto opportuno investire il minimo nella sicurezza necessaria per evitare una catastrofe di simili dimensioni.
Non solo partiti e mezzi d’informazione brasiliani devono molto alla Vale, per cui tacciono o minimizzano l’entità del danno, ma “il gigante buono”, come ama definirsi la multinazionale, finanzia anche progetti di sostenibilità ambientale. Tra questi, Genesis, dell’Istituto Terra, di Sebastião Salgado, che, con il racconto della fazenda rinata proprio nel Minas Gerais, nell’ultimo documentario di Wim Wenders (Il sale della terra) aveva commosso il pubblico con il suo impegno ambientalista.
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La distanza tra la diga e il mare è di quasi 800 km, non 400.
per le multinazionali la vita non vale niente..il soldi maledetti sono quelli che contano..è una vita che si denuncia questo pero nessuno ascolta..
Tutti i governi sembrano nati dalla stessa madre ,che vergogna !