Il fact checking sulle frasi di Trump contro i messicani

di David Cook Martín, professore associato di Sociologia e direttore del Center for International Studies, Grinnell College

Durante il dibattito repubblicano più recente, Donald Trump ha dichiarato che “le persone si stanno riversando verso il confine meridionale”. Se Trump ha ragione nel dire che gli Stati Uniti sono stati una delle principali destinazioni dei migranti dal 1960, si sbaglia se si riferisce ai flussi di messicani di oggi.

Secondo i sociologi Frank Bean e Gillian Stevens, il flusso migratorio messicano verso gli Stati Uniti è stato “il più grande del mondo contemporaneo“, e il Messico il paese dal quale provengono più migranti giunti negli Stati Uniti dal 1965.

Ma ecco quello che ignora Trump: un recente rapporto di Pew dimostra che sono più i messicani che lasciano gli Stati Uniti di quelli che entrano, invertendo una tendenza decennale. La ragione principale di questa tendenza è il ricongiungimento familiare, ma questa migrazione al contrario verso il Messico non è guidata dalla nostalgia per i parenti. Le ragioni sono molto più complesse.

Realtà dura. Le famiglie messicane devono fare i conti con realtà economiche e giuridiche dure e spesso arrivano alla conclusione che il ritorno in Messico è l’opzione migliore. Il rapporto Pew esamina gli anni tra il 2009 e il 2014 e incrocia i dati dei messicani sulle entrate nel paese centramericano di messicani – tra cui i figli con cittadinanza statunitense – con i dati USA sui messicani che entrano negli Stati Uniti. Il report è stato progettato per oltrepassare le limitazioni delle statistiche nazionali, che in genere ignorano le partenze.

Lo studio mostra una perdita netta di 140.000 immigrati messicani provenienti dagli Stati Uniti. Un milione di migranti messicani e figli hanno lasciato gli Stati Uniti per il Messico, mentre poco più di 860.000 hanno fanno il viaggio opposto.

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Anche se questo può sembrare un risultato auspicabile dal punto di vista del controllo dell’immigrazione, è un segnalare dei problemi dell’economia statunitense. Tra le altre cose, vuol dire che i figli dei rimpatriati messicani – bambini di cittadinanza statunitense – stanno lasciando il paese. Perdite per gli Stati Uniti che possono diventare guadagno per il Messico, in un mercato mondiale che premia i lavoratori multilingue. E allora cosa sta portando a questa migrazione di ritorno?

Tornare a casa. Gli intervistati di uno dei sondaggi del rapporto Pew potevano spuntare una casella con la scritta “riunirsi alla famiglia” in risposta alla domanda: “la ragione del ritorno di [NOME]”. Sei messicani intervistati su dieci, che vivevano negli Stati Uniti nel 2009 e che entro il 2014 sono tornati in Messico, hanno detto che si sono trasferiti per riunirsi alla famiglia o per crearne una. Ma questo non ci dice nulla su ciò che comporta il ricongiungimento con la propria famiglia.

La ricerca di Wayne Cornelius concorda con il rapporto Pew sul fatto che il ricongiungimento familiare è un motivo importante per il ritorno, ma suggerisce anche che i messicani che vivono negli Stati Uniti hanno più probabilità di rimanere quando hanno un buon lavoro.

La prova di questa affermazione è una tendenza al rialzo delle rimesse dagli Stati Uniti al Messico tra il 2014 e il 2015. Cornelius dimostra che i fattori economici contano molto, anche se non sono gli unici ad influire nella decisione di migrare.

Dopo tutto, la spinta della famiglia è stata una costante storica. La maggior parte dei migranti, interni o internazionali, soffrono per i loro parenti a casa. Il blues, il tango yiddish e le lettere degli immigrati polacchi e italiani ai parenti lasciati sono espressioni culturali di questa verità lapalissiana.

Eppure nel passato la mancanza di casa non ha portato a flussi migratori di ritorno nei modi che stiamo vedendo ora con i messicani. A scaturirli sono condizioni economiche, politiche e demografiche.

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Mentre il “ricongiungimento familiare” può sembrare una logica decisamente non economica per la migrazione di ritorno, in realtà lo è. Sociologi ed economisti hanno da tempo notato che le persone migrano soprattutto alla ricerca di opportunità economiche e per diversificare i rischi e fonti di reddito da un punto di vista familiare, piuttosto che individuale.

Da questo punto di vista, non è sorprendente che gli effetti ritardati della recessione del 2009 entrano nel progresso decisionale di individui e famiglie che devono decidere se migrare.

Qui, lì e nel frattempo. Gli Stati Uniti tendono a concentrarsi sui fattori che attirano gli immigrati nel paese, come posti di lavoro e salari più alti. O ai deterrenti, come le politiche restrittive. Se questi sono fattori critici nelle decisioni delle famiglie sulla migrazione, il ritorno a casa dei messicani potrebbe essere riconducibile più ai fallimenti della politica sul ​​ricongiungimento familiare degli Stati Uniti che a deterrenti intenzionali.

I visti per motivi famigliari sono stati emessi con un ritardo di due decenni. Immaginate una famiglia messicana che, durante l’amministrazione Clinton, prevede di trasferirsi negli Stati Uniti per proteggersi dai rischi del mercato del lavoro e ottenere l’accesso ai mercati del credito. Un ritardo decennale per ottenere il visto, insieme a una grave recessione negli Stati Uniti e ai miglioramenti economici del Messico, può portare ad una riconsiderazione di questi piani.

L’economia messicana è migliorata notevolmente negli ultimi dieci anni. Questo miglioramento si è tradotto in nuove opportunità di lavoro all’interno del paese. I tassi di fertilità sono diminuiti e la popolazione è invecchiata. Ciò significa che ci sono meno persone nella fascia di età più soggetta al migrare, quella tra i 18 e i 35 anni.

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Inoltre, i controlli alle frontiere e le dinamiche tra Stati Uniti e Messico hanno creato condizioni di attraversamento pericolose – e un mercato remunerativo per i contrabbandieri – che rende più difficile per i familiari andare e tornare, e visitare l’un l’altro. Che cosa significa questo per il futuro delle politiche migratorie?

Implicazioni politiche. Se vogliamo creare politiche empiriche basate su realtà economiche e demografiche, i nostri leader hanno bisogno di mettere in discussione le prescrizioni basate su dati non aggiornati. Nonostante le urla della campagna elettorale, gli immigrati messicani non si stanno “riversando” oltre il confine.

Un legislatore responsabile deve riflettere sulla nuove realtà. Altrimenti, si spendono miliardi per costruire muri e distribuire tecnologie di sorveglianza per allontanare persone che in realtà non stanno arrivando. Per non parlare del fatto che queste strategie hanno funzionato raramente.

I soldi delle nostre tasse sarebbero investiti meglio sull’integrazione degli immigrati che sono già qui, gestendo la situazione dei rifugiati, annullando la carenza di lavoratori non qualificati e competendo per il talento su un palcoscenico globale.

Su gentile concessione di:

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