Blake is the God-man. His drawings are so far the
profoundest things done in English – and his vision,
putting aside his drawings and his poems, is the most godly.
Kahlil Gibran in una lettera del 06 ottobre 1915 a Mary Haskell
di Sana Darghmouni per La Macchina Sognante*
Ispiratosi al modello europeo e soprattutto ai suoi grandi pionieri, il romanticismo nel mondo arabo nasce come un movimento di radicale opposizione al classicismo della letteratura e del pensiero precedenti. Così all’inizio del ventesimo secolo si sviluppa, fra vari scrittori arabi, una coscienza romantica alla ricerca di un nuovo linguaggio e di un’adeguata struttura di pensiero; tale coscienza comincia ad acquistare la sua maturità confrontandosi, da una parte, con le esigenze del contesto sociale in cui nasce e, dall’altra parte, aprendosi alla letteratura occidentale, soprattutto alla ricca e vasta tradizione ottocentesca. Una figura poetica di primo piano in questo percorso è senz’altro Gibran che, scoprendo il modello romantico, ne ha permesso l’introduzione, anche se in forma non subito ufficiale, nella letteratura del mondo arabo. In questo articolo mi soffermerò sulla più evidente influenza da egli subita, cioè quella del modello poetico di William Blake.
Di origine libanese, vissuto e morto in America a cavallo fra fine 800 e inizio 900, adottando sia la lingua araba nei primi anni della sua carriera letteraria che quella inglese nelle opere della maturità fino alla morte, lo scrittore del movimento Mahjar Gibran Kahlil Gibran si trova sin dall’inizio del suo percorso dinanzi ad una contraddizione lacerante tra due mondi diversi, Oriente e Occidente, che egli da scrittore immigrato risolve solo con l’arte, specialmente la poesia, nella sua veste di riconciliatrice degli opposti. A distanza di quasi un secolo dalla grande stagione del romanticismo europeo, lo scrittore libanese viene, appunto, definito da A. Rodin nel 1908 “le William Blake du vingtième siècle”, per la sua poesia visionaria, per il suo tentativo di trovare una sintesi alle contraddizioni più rilevanti e per la consapevolezza stessa che egli aveva delle proprie doti profetiche, come scrive in una lettera del 1930 a May Ziadeh:
I was born to live and to write a book –only one small book- I was born to live and suffer and to say one living and winged word and I cannot remain silent until life utters that word through my lips.
Gibran incarna, prometeicamente, il simbolo del genio romantico in lotta contro la realtà mediocre con la quale si scontra costantemente nel suo itinerario verso l’infinito, ma che proferirà la sua parola per la quale è venuto al mondo, una parola profetica che lo ha sempre infiammato finché non si è finalmente concretizzata nella produzione artistica. Il suo “living and winged word” di cui parla nella lettera citata si è tradotto infatti in un messaggio di amore e di libertà, in una poesia di unione che cercherà di abbracciare gli opposti, di riconciliare le contraddizioni e di stringere le distanze, fino a fonderle in un incontro ideale, ispirandosi ai precedenti ideali ottocenteschi di cui si è nutrito il pensiero romantico europeo, e, in particolare, al poeta inglese William Blake, “the God-man”, secondo le parole di Gibran stesso. La scoperta di Blake, avvenuta proprio grazie a Rodin nei primi anni di contatto del giovane scrittore arabo con la cultura occidentale durante un viaggio-studio a Parigi, è stata molto decisiva e importante per la sua formazione futura, e Gibran ricorda così l’incanto duraturo di questo momento straordinario:
How strange, that fates should led me to-day to Rodin who led me to Blake. Truly do they say that things do not happen except in their due time. There is a due time for everything. I always thought me a stranger in this world. Now comes Blake to keep me company. I thought me a lonely wanderer; now is Blake with his torch lighting my path. What kinship is there between me and that man? Has his soul come back to this earth to dwell in my body? (…) I shall be happy when men shall say about me what they said of Blake: ‘He is a madman.’ Madness in art is creation. Madness in poetry is wisdom. Madness in the search for God is the highest form of worship.
Kahlil Gibran, Hands, Female, Nude, Baby, 1919 (Brooklyn Museum)(1919)
A sostegno dell’affermazione profetica di Rodin, la prima affinità palese che lega Gibran a Blake è senz’altro quella dell’uso contemporaneo di due arti espressive, ovvero la poesia e la pittura, non sempre indipendenti l’una dall’altra, specialmente nel loro caso. Infatti, unendo la parola al disegno, in un quadro armonico, i due artisti danno piena espressione al loro pensiero scegliendo, pertanto, una scrittura simbolica, basata sulla realizzazione di una mitologia in cui convergono, in un modo coerente, il verbale e il visivo. E così, nasce, nelle loro opere e in modo particolare nella loro poesia, il mondo mitologico come una specie di controsistema in cui il concettuale e il visivo convivono, traducendosi in un genere visionario e di unificazione. Blake tenta la riscrittura della realtà e la ridefinizione del processo vitale in chiave simbolica, ermetica a volte, ma la fonte ispiratrice della narrazione blakiana rimane comunque la Bibbia, in quanto la sua mitologia si accosta al mito della caduta e alla figura salvifica, identificata con Cristo o con il “Genio Poetico”, che riscatta l’umanità dal peccato originale. La mitologia gibraniana percorre lo stesso itinerario, perché comincia partendo da un mondo popolato da dei e abitato da angeli e demoni, per poi fluire anche essa in una sintesi di chiave cristiana, che coincide sia con la figura di Gesù, tanto amata dallo scrittore libanese fino all’ossessione, che con il messaggio della salvezza finale e dell’amore, sfondo quasi costante della sua produzione artistica.
Comunque quella dei due artisti, anche se ispirata al messaggio biblico, rimane una mitologia piuttosto personale creata per fungere da maschera dietro la quale nascondere, a volte, le proprie delusioni del mondo e, altre volte, la propria consapevolezza di una realtà contradittoria nella quale si trovano a dover vivere; è la consapevolezza dello spirito romantico, dissidente e ribelle, che, una volta rigettato il mondo reale del suo tempo, ha bisogno di creare e di dipingere un mondo nuovo, il proprio. Tuttavia, nonostante il suo carattere personale, questa mitologia è anche un ordine in cui convergono passato e presente, in cui il destino individuale si estende ed abbraccia quello universale, in cui visione e storia si sposano. Spesso il ricorso a trame mitologiche potrebbe essere l’espressione velata di un desiderio profondo di cambiare l’ordine attuale e di un richiamo esplicito alla rivoluzione. Nell’impotenza di attuarla, si cerca di sconvolgere la struttura del reale creando un mondo fantasioso e irrazionale sul quale proiettare le proprie frustrazioni e aspettative mancate, e quindi si può affermare che la mitologia dei due artisti, intesa come alternativa, non è soltanto un rifugio idealistico, ma ha anche alcune implicazioni di tipo politico, perché usando un genere di tipo apparentemente irreale, i poeti lasciano intravvedere le loro critiche e disapprovazioni. Consapevole della reazione forte che i suoi scritti spesso suscitano nel mondo arabo dell’epoca, per le proprie posizioni politiche e letterarie in genere troppo audaci e provocatorie per lo spirito di allora, Gibran confessa in una lettera all’amica Mary:
I am an Absolutist, Mary, and Absolutism has no country –but my heart burns for Syria. Fate has been cruel to her – much more than cruel. Her gods are dead, her children abandoned her to seek bread in faraway lands, her daughters are dumb and blind, and yet She is still alive –alive –and that is the most painful thing. She is alive in the midst of her miseries. I am writing something which may turn the whole Arabic world against me. But –I am prepared for it! I am getting used to being nailed on the cross.
Quasi tutti i poemi di Blake, soprattutto quelli del periodo della maturità, ruotano attorno al tema della caduta che il poeta romantico personalizza e percepisce come il mito della divisione che avviene all’interno dell’io. Nonostante questo suo carattere conflittuale, essa è tuttavia, secondo la concezione di Blake, un processo obbligatorio determinato dalla scissione dell’unità originaria, ovvero dal passaggio dallo stato dell’innocenza a quello dell’esperienza.
Infatti nella prospettiva gnostica la caduta interviene non solo a spiegare la scissione ma anche a preparare, come destino provvidenziale o atto della divina misericordia, ciò che concilia e salda e restituisce a sé l’unità disintegrata. E in questo senso, veramente, la caduta esprime il momento della mediazione.
The Four Zoas, ad esempio, si apre con il canto delle figlie di Beulah che introduce l’evento della caduta di Albione e, sin dal principio, si nota il carattere salvifico e positivo che Blake attribuisce ad un fenomeno come quello della caduta che diventa strumento di rinascita: l’io compie una discesa verso il mondo della finitezza fino ad arrivare al regno della degradazione, o addirittura alla morte, per poi rinascere in eterno. Prima della scissione, i quattro eterni partecipavano all’unità originaria con la quale erano in assoluta armonia, ma dopo la caduta e dopo che Albione si è trovato nella condizione degradata di un uomo caduto, l’armonia iniziale viene spezzata e, di conseguenza, subentrano sentimenti di conflitto e di contrasto tra gli stessi Zoa. In principio, cioè nello stato originario, questi esseri rappresentavano quattro elementi fondamentali nella natura umana, Urizen, la ragione; Urthona, l’immaginazione; Tharmas, il corpo; Luvah, l’emotività. E con la caduta e con il conseguente capovolgimento degli ordini, invece, la situazione si rovescia: gli Zoa continuano a rappresentare gli stessi elementi ma nella loro negatività, cioè nel loro stato degradato. In seguito all’allontanarsi dalla fonte primaria, essi entrano in conflitto tra di loro e si combattono, nelle prime sette notti del poema, e così all’armonia originale si sovrappone la volontà di predominio sull’uomo: con la caduta, passaggio necessario e inevitabile per recuperare l’integrità perduta, diventano strumenti di restrizione e di annientamento e fonti di fratture continue. Il finale del racconto, tuttavia, esalta la rinascita e il trionfo che passano attraverso la scena apocalittica:
The Sun arises from his dewy bed, and the fresh airs
Play in his smiling beams giving the seeds of life to grow,
And the fresh Earth beams forth ten thousand thousand springs of life.
Urthona is arisen in his strength, no longer now
Divided from Enitharnom, no longer the Spectre Los.
Nella sua opera The Earth Gods, anche Gibran tratta il tema della caduta e del conflitto che affligge l’anima umana prima della risoluzione finale, quella della divinizzazione dell’io, the god-self. Il poema, imperniato sul destino dell’uomo, è scritto in forma di dialogo fra tre dei, che rappresentano tre grandi tendenze del cuore umano, mentre l’uomo, oggetto di questo dibattito titanico, sembra un campo aperto sottoposto alle influenze di un conflitto invisibile ma infinito. In questa lotta, i due destini, quello divino e quello umano, devono intrecciarsi per giungere ad un’unica meta finale, poiché, nella mitologia gibraniana, gli dei non sono altro che il simbolo stesso di tre desideri, non manifestati, della natura umana che, a sua volta, non è altro che il prolungamento dell’io divino. L’apparizione dei tre dei, the Master Titans of life, anche qui avviene di notte, quando entrano in scena e iniziano i loro dialoghi in un’elevata atmosfera notturna che aleggia sulle colline. Il primo è un vecchio dio pessimista, dallo sguardo spento, disgustato dalla vita e stanco delle sue faccende che desidera il proprio annientamento; i valori, per costui, non sono che delle vanità e la sua unica brama è quella di svanire e di annientarsi dalla memoria del tempo per passare al nulla:
Weary is my spirit of all there is.
I would not move a hand to create a world
Nor to erase one. (…)
Could I but lose the primal aim
And vanish like a wasted sun; (…)
Could I but be consumed and pass from time’s memory
Into the emptiness of nowhere!
L’articolo completo può essere letto su La macchina sognante, una rivista di scritture dal mondo. Ogni settimana Frontiere News pubblica un saggio selezionato dalla redazione de La macchina sognante. In copertina: Adamo ed Eva trovano il corpo di Abele, di William Blake.
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