E’ appena partita la tournée di Ultimo Teatro Produzioni Incivili, composto da Luca Privitera ed Elena Ferretti che fino a maggio percorreranno – partendo dalla Toscana – più di 4000 chilometri tra Calabria, Puglia e Campania. Un viaggio di 15 giorni e 23 repliche tra teatri, auditorium, circoli, scuole e spazi sociali.
Una vero e proprio “tour de force” che parla di loro, ma soprattutto, che parla di noi. Dell’Italia. Di questa nazione martoriata, di questa nazione dei diritti mancati, delle omissioni, dei calembour, delle dissennatezze. Di un senso della collettività che sembra aver perso la forza di capire il mondo e di vivere al suo interno. Insomma, un vero e proprio colpo di stato alle radici della nostra penisola e della nostra cultura. Una transumanza terapeutica tra ritmi comici e drammaturgie della crudeltà.
Perché tutto questo lavorio? Perché c’è un forte disagio in quello che viviamo tutti i giorni. Perché c’è un caos assordante in questa società dei malcapitati. Perché c’è della solitudine in questi rapporti umani che sempre più si rarefanno, divenendo: meccanici, ambigui, spietati. E allora? Perché non ripartire dal basso. Da quel basso che ci accomuna e che ci rende simili ad altri. Dal quel lato oscuro di “noi” che ci rende uguali di fronte a tutti. Ognuno, specchio dell’infinito o dell’indefinibile. Ognuno, in mano alle proprie mani. Ognuno, nelle mani altrui. Reali, come le proprie realtà.
Per questo gli autori attori non si distaccano mai dalle vicende che scelgono di interpretare e scrivere, anzi, ne sono immersi nella loro totalità. E mentre in scena – dopo sei anni di convivenza e progettazione – continuano a parlare di conflitti e di guerre attraverso le parole di Vittorio Arrigoni e di Mahmoud Darwish, allo stesso tempo, si cimentano in sperimentazioni di vario genere, raccogliendo testimonianze ed esperienze dirette – e di vario tipo – per raccontarci: di mafia e di mentalità mafiosa, di discriminazione e di odio diffuso, di violenza di genere e di pedofilia.
Appunto, quattro spettacoli teatrali ben delineati che girano – è hanno girato – lo stivale, come se il dialogo continuo tra i protagonisti di queste narrazioni ed il pubblico, fosse un modo per sfatare la catastrofe e trovare un punto di incontro tra chi porta l’azione e chi la recepisce. Operando all’interno della scatola scenica, per creare un confronto tra: osservatori, osservanti e osservati. Uno sguardo sull’oggi e su quello che siamo diventati, uno sguardo sul domani e su quello che diverremo. Perché nella loro follia, pensano che tacere li possa rendere complici, perché pensano che rifiutarsi di riprende le redini delle proprie responsabilità li possa trasformare in carnefici alla stregua dei più violenti e dei più meschini.
Non c’è amore senza coscienza, non c’è speranza senza coraggio, non c’è futuro senza onestà. Oggi, come ieri, ieri come sempre.
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