di Sana Darghmouni*
E ci siamo liberati dal peso della terra dell’identità.
Cosa faremo…cosa faremo senza esilio
e senza una lunga notte
che scruta l’acqua?
(Chi sono senza esilio – il letto della straniera)
Il 13 marzo è oramai una data che si è consolidata nella memoria della storia letteraria mondiale, in quanto da 8 anni si commemora puntualmente la nascita di un grande nome che ha lasciato la sua impronta nella poesia: Mahmud Darwish. Un poeta nato 75 anni fa, ovvero il 13 marzo del 1941, in un villaggio palestinese chiamato al Birwah, situato in Galilea, ma raso al suolo dall’esercito israeliano in seguito all’occupazione del ’48 e quindi scomparso dalla carta da allora. Come gran parte degli abitanti del villaggio arabo che pensavano ad un ritorno dopo un conflitto momentaneo, i genitori di Mahmud decisero di rifugiarsi temporaneamente in Libano, per evitare il massacro organizzato ma riuscirono a rientrare in Palestina clandestinamente dopo un anno. Così fin dalla sua tenera età, Mahmud Darwish si trova nello stato di alieno nel suo paese natale, esiliato nella propria terra. Questo mito dell’esilio si radicalizza subito nel suo pensiero fino ad arrivare ad identificarsi con esso “chi sono senza esilio?” dice il poeta nella poesia sopra citata. Privato della patria prima e ultima, l’esilio diventa quindi una condizione essenziale.
LEGGI LA POESIA: “Non scrivete la storia come poesia“, di Mahmoud Darwish
“Tornare nel luogo dove sei cresciuto e non trovarlo più o trovarlo stravolto ti dà una sensazione di grande perdita e di delusione per la memoria. Ti fa capire che non vi potrà più essere un ritorno a ciò che è stato. Non ritrovando più quei luoghi, ho fatto fatica a ritrovare me stesso. Il tempo si prende burla delle tu emozioni. I luoghi in genere sono più persistenti del tempo. Il tempo scorre, ma il luogo resta fermo e immobile. Nel mio caso si sono spezzati sia il tempo sia il luogo. Quello che faccio è ricostruirli continuamente con la poesia”.
Così si esprime Darwish in un’intervista, colmando questo vuoto provocato dalla perdita del luogo con la poesia, unica portatrice di armonia in un mondo devastato dalla guerra. Il poeta ricorre all’arma della parola per ricostruire la perdita e risanare la ferita; afferma la potenza dei versi nel far regredire l’esilio creando uno spazio poetico interno che nessuno può varcare.
Darwish conosce un secondo esilio, quando nel 1970, dopo aver subito umiliazioni, arresti e condanne continue da parte degli israeliani a causa del suo impegno e attivismo o spesso solo per aver recitato una poesia in pubblico, decide di abbandonare definitivamente la Palestina, trascorrendo così la sua vita in periodi diversi tra città e capitali sia arabe che europee.
Pertanto quando si parla di Mahmud Darwish non si può di sicuro prescindere dal contesto storico in cui nasce la sua produzione letteraria. Di conseguenza, il suo impegno umano, politico ed etico si sviluppa all’interno di un’esperienza tragica, vissuta in prima persona, fatta di guerra e di esilio. Formato e segnato da tale esperienza, Darwish si fa carico della catastrofe di un intero popolo e diventa voce della causa degli oppressi. Nella sua poesia è costante, quasi come un’ossessione, il tema della terra; questa terra è amata, adorata, ardentemente desiderata e inseguita perché incarna l’identità strappata. Fatta di elementi primordiali, come l’erba, le pietre e le stagioni, essa diventa la metafora dell’Eden perduto.
LEGGI LA POESIA: “Ora, quando ti svegli, ricorda“, di Mahmoud Darwish
Hanno diritto su questa terra alla vita: il dubbio d’aprile, il profumo del pane all’alba, le idee di una donna sugli uomini, le opere di Eschilo, il dischiudersi dell’amore, un’erba su una pietra, madri in piedi sul filo di un flauto, la paura di ricordare negli invasori.
Su questa terra ha diritto alla vita, su questa terra, signora alla terra, la madre dei principi, la madre delle fini. Si chiamava Palestina si chiama Palestina. Mia signora ho diritto, che sei mia signora, ho diritto alla vita.
(Su questa terra- Meno rose)
La Palestina diventa un luogo della storia più che della geografia, perde ogni connotazione spaziale per assumere molteplici significati spirituali. È terra di rinascita e di risurrezione, è terra fatta di ricordi, di miti, di storie e di parole, per usare le stesse parole di Darwish che tutto il verbo ha imparato e frantumato per comporre una sola parola, la patria:
Ogni discorso degno del tribunale del sangue ho imparato per infrangere le regole.
Tutto il verbo ho imparato, e poi frantumato a comporre una sola parola, la patria.
(Io sono di là – Meno rose)
Ma anche quando la sua poesia non si riduce solo al tema della Palestina, essa è sempre stata identificata con la causa palestinese e con le problematiche dell’esilio. Darwish scrive anche di amore, come dimostra la raccolta poetica intitolata “Il letto della straniera”, che è un dialogo intimo tra il poeta e la sua amata. Darwish racconta in “Murale”, un lunghissimo poema della maturità, la sua esperienza con la morte, dialogando con lei e sfidandola usando un linguaggio filosofico e riflessioni metafisiche. Queste scelte sono state criticate dai suoi lettori fedeli, in quanto considerate come tradimento alla causa alla quale il poeta palestinese si era interamente dedicato. Ma anche in queste raccolte, le parole che più ricorrono sono quelle legate all’assenza, al viaggio, alla perdita e al distacco.
Leggi altre poesie di Darwish QUI
Mahmud Darwish è stato senz’altro un poeta che ha saputo rappresentare un’intera generazione. È stato portavoce della tragedia del suo popolo anche quando non voleva essere esclusivamente identificato con la causa. Egli ripeteva spesso che sarebbe stato libero dall’etichetta di poeta della Palestina solo quando quest’ultima si sarebbe liberata. Darwish aspirava ad affrontare la storia della lotta del suo popolo da una prospettiva puramente estetica, libera da connotazioni politiche. Voleva che la sua poetica si alzasse dal personale per abbracciare l’universale. Voleva essere un uomo libero, un poeta, ma sapeva che questo sarebbe stato possibile solo con la libertà della sua terra:
diventerò un giorno un’idea
diventerò un giorno un poeta,
diventerò un giorno ciò che ho voluto diventare.
(Murale)
Darwish voleva essere solo un poeta e noi oggi lo ricordiamo e lo commemoriamo come tale. Un poeta che ha fatto della poesia suo mestiere e ha innalzato ogni discorso al di là del personale o del privato per rappresentare l’umano e l’universale.
Buon compleanno Mahmud!
Questo articolo è frutto di una collaborazione tra Frontiere News e La macchina sognante, una rivista di scritture dal mondo.
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