Favela Tours: turismo sostenibile o zoo umano?

di Rachel Gepp – traduzione di Laura Recanatini per il Resto del Carlinho Utopia

Il Rapporto Global Trends per il Turismo del World Travel Market, una delle più grandi fiere del settore turistico, che si svolge a Londra, ha evidenziato il cosiddetto “turismo della realtà” come una delle tendenze maggiormente in crescita del settore a livello mondiale.

Il “turismo della realtà” è motivato da situazioni di estrema povertà e catastrofi. Le persone cercano questi luoghi per vivere un’esperienza interattiva con la realtà nuda e cruda di miseria e sofferenza. Una nuova esperienza, che fugge dal turismo contemplativo.

In Sudafrica è stato creato un albergo che imita la povertà. L’hotel di lusso si propone di ampliare nei turisti la coscienza della povertà in questo piccolo rifugio, che dispone di acqua calda, wi-fi e energia elettrica.

Questa tendenza è la più recente moda del turista occidentale. Siccome gran parte del settore turistico tratta il cosiddetto “terzo mondo” come un vero e proprio zoo umano, le favelas sono diventate il giardino zoologico della pietà in Brasile. Adesso i turisti stranieri “annoiati” stanno arrivando a frotte e programmano le loro ferie con itinerari che includono visite alle favelas, scenari di crimini, orrore e inferno come propagandato dal film “Truppa d’Elite“.

Ho osservato da vicino lo stesso fenomeno in Cambogia, un paese che vive sotto lo stigma della guerra e dove ho vissuto nel 2011. Là il “volonturismo” (turismo del volontariato) è importante per l’economia del paese e le ONG internazionali sfruttano questa situazione. Il “marketing della pietá” porta turisti “volontari” a fare tutto il possibile per aiutare poveri e bambini innocenti che incontrano nei loro viaggi, e per sentirsi Angelina Jolie almeno per un giorno.

Curiosamente il governo, dopo anni di abbandono, di mancanza di servizi e infrastrutture, ora lancia il turismo come la salvezza delle favelas! Un’attività stagionale e soggetta alle variazioni di marketing. Questo sta davvero aiutando a riempire il vuoto lasciato dallo Stato? Questi luoghi hanno davvero bisogno di turisti a “breve termine”?

Nella favela Santa Marta, a Rio de Janeiro, gli unici segnali stradali esistenti sono stati improvvisati dagli stessi residenti, senza alcun aiuto da parte del governo. Qui non viene recapitata neanche la posta in quanto non esiste il codice di avviamento postale. Ma il governo dello Stato di Rio de Janeiro ha installato targhe bilingue per i turisti.

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Si stanno ingannando gli abitanti delle favelas, che pensano che saranno i protagonisti di un’attività con alto potenziale di guadagno attraverso la quale potranno progredire. In realtà, è l’abitante della favela stesso a essere la “commodity” (merce di scambio) di questa industria.

Le propagande pubblicitarie dei vari “Favela Tour” sono fatte molto bene. Il “maquillage” valorizza eccessivamente gli effetti positivi ed i benefici e nasconde le conseguenze indesiderabili. A partire dagli agenti ideatori che sfruttano questo business, gruppi di professionisti e di imprenditori che vengono da fuori e hanno lanciato un prodotto diverso per le orde di turisti: visitare le favelas.

Il “favelado” (l’abitante della favela, ndt) è il prodotto turistico. Per il turista, la possibilità di entrare nella favela e conoscere il modo di vivere degli abitanti dei favelados è il fattore fondamentale nella composizione del pacchetto.

Gli investimenti per soddisfare la domanda di questa nuova grande tendenza turistica sono realizzati con falsi interventi infrastrutturali. Come le opere del PAC (ndt. “Programma di Accelerazione della Crescita”, un programma del governo che promuove investimenti in opere e ristrutturazioni) con un forte richiamo turistico, come ad esempio la funivia nella favela “do Alemão”, che venne annunciato come un investimento sulla mobilità, ma che in realtà è un’attrazione per i turisti in “contemplazione” della povertà, con offerte promosse addirittura sui siti commerciali.

E, siccome il mondo postmoderno è scritto e firmato dal giornalismo e dalla pubblicità, i telegiornali eseguono regolarmente il loro compito promozionale in supporto alle UPP (Unitá di Polizia Pacificatrice): “I turisti cambiano hotel del lungomare per alberghi dentro le favelas”. C’è sempre un “favelado” imprenditore, determinato e titolare di una propria attività che serve da personaggio. Ma ciò che vediamo sul campo é quello che questo tipo di pubblicità ingannevole camuffa: una crescente invasione di attività commerciali amministrate da stranieri.

Non possiamo non fare un’attenta riflessione sulle strategie della UPP, la nuova entità che gestisce questi territori, prima dominati dal traffico. Osservare gli sviluppi della UPP è come rivivere la struttura brutale e razzista del colonialismo: occupare per sfruttare. La politica di pacificazione è a capo di questa tecnologia di espansione capitalistica.

I poliziotti di stato oggi, come i “capitães do mato” un tempo (milizie che nell’epoca coloniale erano incaricate di dare la caccia agli schiavi fuggitivi e di riconsegnarli ai loro “padroni”, ndt), stanno nelle favelas per garantire lo sfruttamento di questi territori e del patrimonio di chi li abita: l’artigianato, la gastronomia, la danza del “passinho” e ogni sorta di cosa che possa trasformarsi in merce “made in favela”. I territori “riconquistati” da parte dello Stato – come se questo non ci fosse mai stato prima in forma di tariffe, pedaggi, appropriazioni indebite e lavaggio di denaro – costituiscono la cintura turistica della città che ospiterà i grandi eventi.

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Turisti fotografano da un tetto l'intimità degli abitanti di una favelas - Foto di Rachel Geep
Turisti fotografano da un tetto l’intimità degli abitanti di una favelas – Foto di Rachel Geep

Un residente della favela di Santa Marta e guida turistica di un progetto comunitario, si sfoga: “Qui gli agenti UPP stanno scortando i turisti che arrivano per il tour in jeep ed è sempre più comune vederli impegnati come “guide turistiche”. Già abbiamo denunciato e criticato questa situazione, ma dicono che continueranno a fare lo stesso. Quindi, oltre che ad opprimerci, la UPP è qui anche per prenderci la nostra fonte di guadagno“.

Le favelas sono luoghi di residenza di soggetti emarginati. Gli abitanti delle favelas non sono attrazioni turistiche. Visitare la favela come fosse uno zoo è come naturalizzare la discriminazione. È come ridimensionare il razzismo e ridurre questi gruppi di emarginati a “cose”.

Questo cambiamento economico-sociale sta realmente dando la possibilità al favelado di elevarsi materialmente e intellettualmente? Si tratta di vera emancipazione? Sappiamo che il denaro non rimane nella favela. Chi trae profitto da questa attività sono le agenzie di viaggio di fuori. Per il residente locale rimane solo un lento progresso a scapito dell’artigianato e della servitù.

Tali attività non sono rivolte all’emancipazione di questi individui o alla promozione di una maggiore comprensione di se stessi per raggiungere livelli di libertà politiche. Peggio ancora, evidenziano le distanze sociali, i gradi di potere e gli status sociali e aumentano le stigmate delle ingiustizie di cui essi sono vittime.

Guide locali della favela Santa Marta stimano che i turisti spendano meno di 5 Reais (1 euro circa, ndt) durante la loro visita alla favela. Sono già istruiti dalle agenzie a non consumare nulla negli esercizi commerciali locali, sostenendo che gli abitanti delle favelas sono “persone sporche”.

Per tutti questi motivi, prima di appoggiare così rapidamente questa politica di sviluppo cosiddetta “sostenibile”, bisogna chiedersi se davvero sta aiutando o se invece sta incentivando lo sviluppo di un settore che sfrutta i più vulnerabili. E inoltre, se sta contribuendo al processo di gentrificazione delle favelas.

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Nella favela “Babilonia”, uno straniero ha prima acquistato un bar e poi trasformato un’area pubblica lì accanto, nota come “Mirante” (belvedere, ndt), in un ritrovo di tendenza dove si svolgono feste per stranieri e cariocas radical-chic (il termine carioca indica l’abitante di Rio de Janeiro, ndt) che salgono la collina attratti dai ritrovi alla moda. Attualmente è in atto un contenzioso sull’utilizzo dell’area tra lo straniero e gli abitanti del posto, dal quale sono già stati espulsi.

Una signora, Dona Marta, che ha una bancarella di hot dog al “Mirante”, dice di essere già stata attaccata dal nuovo proprietario del bar, che l’ha chiamata spregiativamente “favelada” e accusata di sfruttare il posto a sue spese, visto che il pubblico che ora frequenta il locale è il suo.

Chi abita a “Babilonia” ha capito il significato di gentrificazione quando ha assistito con sorpresa all’ennesimo aumento del prezzo della birra in vendita nel bar. Quando gli abitanti della favela hanno chiesto il motivo dell’aumento si sono sentiti rispondere: “la nostra clientela è un’ altra, abbiamo aumentato il prezzo della birra per scoraggiare gli abitanti della favela a frequentare questo posto.”

Ma se l’idea è quella di non mescolarsi al favelado, perché i turisti e la classe media “cult” e politicizzata che ha scoperto la favela e scrive su Facebook #cadeoamarildo cerca questi luoghi? Non capiscono che venire nella favela per espellere i residenti originali e imporre il proprio modo di vita è anche questo un modo di uccidere?


Articoli, reportage e video dal Brasile che non si racconta li trovate su Carlinho UtopiaIn copertina: la funivia del Complexo do Alemao (Buda Mendes/LatinContent)


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