Si è svolto l’8 maggio scorso a Roma l’incontro di presentazione del progetto di cooperazione internazionale “A special life: special care for special needs” tramite il quale l’associazione Psy+ Onlus sostiene le attività del centro diurno Naša Kuća a Belgrado. Nel contesto del generale processo di deistituzionalizzazione avviato in Serbia da una decina di anni lo scopo del progetto è quello di “potenziare le pratiche di inclusione sociale che le organizzazioni territoriali autonome serbe hanno avviato, al fine di ottenere una migliore qualità della vita delle famiglie e delle persone con bisogni speciali. Psy+ Onlus ha deciso di fornire a Naša Kuća un supporto che preveda l’invio di volontari sia per aiutare concretamente l’esistenza e la sopravvivenza del progetto, sia per generare uno scambio di competenze con chi lavora all’interno del centro”.
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In occasione dell’incontro l’antropologa e fotografa Monica Ranieri e lo psicologo Paolo Azzolini, attivi come volontari a Naša Kuća dall’ottobre 2015, hanno deciso di realizzare un video nel quale offrire un contributo personale rispetto alla propria esperienza di volontariato.
Ripensando al video che abbiamo realizzato e alla nostra esperienza mi sono tornate in mente le famose parole di Lilla Watson, attivista per i diritti degli aborigeni australiani.
“If you are coming to help me, you are wasting your time. But if you are coming because your liberation is bound up with mine, then let us work together”.
Al di là dei molti punti di interesse che rendono Naša Kuća un luogo stimolante e un esperimento degno di essere analizzato in maniera approfondita nel suo sforzo di creare degli spazi di indipendenza ed autonomia per gli adulti con disabilità mentale, in un contesto politico e sociale in graduale e costante via di trasformazione, lavorare con le persone con disabilità mentale rappresenta una sfida quotidiana.
L’incontro con la disabilità è incontro con la differenza per eccellenza, ed anche incontro con pratiche di oppressione e di esercizio del potere che vengono costantemente attuate e messe in pratica a livello sociale e normativo per ricondurre il “diverso” (e ciò che risulta difficile comprendere) entro un quadro di relazioni socialmente e cognitivamente rassicurante che non consente la piena attuazione dei diritti umani e il pieno sviluppo delle potenzialità delle persone con disabilità mentale.
Il lavoro sociale, volontario o meno, con persone con disabilità mentale dovrebbe presupporre una riconfigurazione del proprio modo di conoscere, di intendere la disabilità, di considerare l’individuo oltre la disabilità, e se stessi come parte del processo di conoscenza. Si tratta di mettere in discussione costantemente paradigmi sociali e teorici attraverso un processo interattivo di comprensione, in cui l’ “oggetto della cura” agisce e reagisce trasformando la percezione della disabilità, e spingendoti a guardare sempre oltre, ad ascoltare e rispettare la libertà dell’altro senza volerne ricondurre l’ essenza a qualcosa che deve essere adattato alla nostra visione e modalità di esistenza.
In questo senso non siamo venuti per aiutare: la nostra libertà come volontari, lavoratori, esseri umani, è strettamente connessa alla libertà di Dule, Bata, Milos. Il processo di deistituzionalizzazione, di decostruzione del pregiudizio, di costruzione di alternative sulla strada dell’inclusione sociale, in definitiva di costruzione di un modello sociale e di convivenza che assicuri pari dignità a tutti i suoi membri, è quindi un lavoro che dobbiamo fare sempre insieme a loro.
Monica Ranieri
A special life è un progetto di Psy+
Per sostenere le sue attività in Serbia potete cliccare qui.
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