In nome della conservazione delle tigri, diversi popoli tribali dell’India vengono sfrattati illegalmente dalle loro terre ancestrali. Una delle terre colpite da questo fenomeno è proprio la Riserva delle tigri di Kanha, che ha ispirato il Libro della giungla di Rudyard Kipling
In nome della conservazione delle tigri, diversi popoli tribali dell’India vengono sfrattati illegalmente dalle loro terre ancestrali con la promessa di terre alternative, case e denaro. Ma spesso ricevono poco o nulla, e si riducono a vivere nello squallore dei margini del loro stesso territorio.
In realtà non ci sono correlazioni evidenti tra la presenza dei popoli tribali e lo spopolamento delle tigri. “I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale”, scrive l’Ong Survival. “Dovrebbero essere in prima linea nella conservazione della tigre ma, al contrario, ne vengono esclusi”.
“VOGLIONO DARCI DENARO. NOI NON LO VOGLIAMO – HA detto un INDIGENO SFRATTATO DAL VILLAGGIO DI JHOLAR, A KANHA – VOGLIAMO LA TERRA. IL DENARO PER NOI NON SIGNIFICA NULLA, PERCHÉ VA E VIENE”
Questi sfratti sono illegali sia secondo la legge indiana sia secondo quella internazionale. Esiste inoltre un rapporto particolare tra molti di questi popoli e le tigri, considerate spesso sacre. Le folle di turisti paganti possono invece causare stress e tensione negli animali, ma loro non recano alcun fastidio – ovviamente – al governo indiano.
Il video che segue è stato girato nel 2012. Gli abitanti ritratti sono stati successivamente sfrattati dal loro villaggio.
Una delle terre colpite da questo fenomeno è proprio la Riserva delle tigri di Kanha, che ha ispirato il Libro della giungla di Rudyard Kipling. Da essa, nel solo 2014, sono stati sfrattati illegalmente centinaia di indigeni Baiga e Gond, incoraggiando contemporaneamente il turismo di massa sostenendo che “non c’è altro posto in cui si possono vedere (le tigri, ndr) così spesso”. Ma quello che i visitatori paganti non vedono è l’alto prezzo che i popoli indigeni devono pagare, un prezzo fatto di intimidazioni e minacce.
Bardan Singh ad esempio, un anziano Baiga, racconta di aver subito abusi da parte dei guardaparco nella riserva delle tigri di Kanha: “Le guardie forestali mi hanno picchiato finché non sono caduto giù dall’albero. Mi sono rotto l’anca e non riuscivo più a stare in piedi. Camminando carponi ho raggiunto il confine del parco. Le guardie mi hanno abbandonato e sono andate via”.
Stando a quanto dichiarato dal Dipartimento alle Foreste, le tribù accettano “il trasferimento volontario”. In realtà, come ampiamente documentato da Survival.it, sono costrette ad “accettare” lo sfratto tramite corruzione e minacce di violenza. Alcune tribù sono trasferite in campi di reinsediamento governativi, mentre altre vengono semplicemente cacciate via e costrette a vivere in condizioni di povertà ai confini del loro territorio.
“Siamo stati una delle ultime famiglie a resistere. Ma le persone della riserva ci hanno costretto ad andarcene” ha dichiarato un uomo Baiga dopo essere stato sfrattato con la forza da Kanha nel 2014. “Ci hanno detto che avrebbero avuto cura di noi per tre anni, ma non hanno fatto nulla. Non è venuto nessuno ad aiutarci nemmeno quando mio fratello è stato ucciso”.
Secondo il Forest Rights Act indiano, le comunità indigene detengono il diritto a rimanere nella propria terra e di raccoglierne i frutti. Non soltanto tali diritti vengono continuamente violati, ma addirittura molti indigeni non sanno nemmeno che esistono.
“Speriamo che questo film aiuti a richiamare attenzione sulle sofferenze che i popoli indigeni di tutta l’India devono subire nel nome della conservazione della tigre” ha commentato Stephen Corry, Direttore generale di Survival International. “Il crollo della popolazione delle tigri registrato nel secolo scorso non ha avuto nulla a che fare con le tribù. Era dovuto alla rapida industrializzazione, e ai massacri operati dai cacciatori coloniali e dalle élite indiane. Eppure, in tutta l’India, le tribù ne stanno ancora pagando il prezzo: vengono cacciate dalla loro terra ancestrale per essere rimpiazzate da migliaia di turisti”.
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