di Franca Dumano*
Una voce nuova attraversa le vie del centro storico di Frosinone – la voce dell’Africa- arriva come una tempesta di sabbia, come il vento del deserto della povertà e della siccità, che spazza via tutto e costringe a fuggire, migrare… Giovani uomini dal passo cauto e silenzioso- attenti a non suscitare sguardi – percorrono i vicoli, attraversano via Garibaldi molto presto al mattino, si riuniscono per andare a lavorare nei cantieri con pulmini stracarichi di operai e materiali; i più fortunati con il datore di lavoro gentile che gli dà un passaggio nelle umide albe frusinati, gli altri si radunano in Piazza Garibaldi e raggiungono con mezzi di fortuna il Canarino –distributore periferico in cui si incrociano domande e offerte di lavoro giornaliere; rapporti rapidi: si contratta all’alba e si paga al tramonto- niente diritti niente chiacchiere niente garanzie-.
Sono arrivati da soli, con viaggi avventurosi ed estenuanti: Tunisia, Marocco, Sicilia, Campania, Lazio; Libia, Algeria, Tunisia, Sicilia, Turchia, Grecia, Puglia – le rotte della disperazione; in mare per giorni, ore terribili, da tacere a madri, sorelle e fidanzate rimaste a casa. Viaggi che per molti finiscono tragicamente negli abissi marini e nell’oblio sociale. Percorsi estenuanti, senza documenti, con lunghi tratti a piedi e notti di silenzio sete e paura.
È l’inizio degli anni ’90: sono arrivate anche a Frosinone le voci dell’ingiustizia e della povertà. Lentamente hanno popolato i palazzi fatiscenti del centro storico; grandi spazi da ristrutturare-fascino antico e prezzi modici- pochi oggetti personali; alle pareti foto di familiari e marabutti, frasi del Corano incise, decorate o semplicemente scritte a matita.
La sera si riuniscono, pregano, fumano, mangiano, si organizzano… si incontrano in un gruppo, studiano l’italiano, cercano di districarsi fra norme e regolamenti per ricongiungimenti familiari e sogni di una vita decente. Nelle viuzze del centro, rari pedoni stranieri – tiranneggiati dalle auto- si fermano su ancora più rare panchine e incontrano sognatori italiani, frammenti dell’utopia di un mondo più giusto si ricompongono: a poco a poco prende forma un corso serale di italiano, nel cuore del centro storico della città, via XX settembre n. 2, in un locale vecchio e fumoso infiammato da utopie e sogni di cambiamento, rivoluzioni si chiamavano una volta … popolato da uomini e donne che cercano di capire e superare le difficoltà, che spiegano diritti, accompagnano in questura … su quest’esperienza nuova e appassionante aleggia un uomo alto e sorridente, che viaggia in moto, cataloga documenti e scala vette con la stessa passione con cui si fa portatore delle istanze sociali di ragazzi tunisini e marocchini, donne polacche e rumene, ragazze brasiliane.
La sera cercano parole per chiarificare i percorsi quotidiani del giorno successivo: l’autobus, il biglietto, il treno, il dottore, i mattoni, il cemento; poi prendono forma racconti lunghi, articolati ore trascorse nelle fornaci a tagliare mattoncini di cotto, in una lingua mista di francese ciociaro arabo raccontano …
Cous cous al melograno e spezie piccanti, studi interrotti in università invase da violenze militari e ideologiche, sogni di indipendenza … L’italiano diventa lingua comune di vita quotidiana, conquista quotidiana, crescita semantica ed umana da poche stentate parole derivate dal francese coloniale ad un progetto di costruzione della propria condizione di immigrati in una piccola città del centro Italia, realtà industriale in declino- progetto ambizioso e nuovo per gli anni ’90 che attira l’attenzione della sociologa americana Cheryl Brown.
Assabil, la voce degli immigrati, notiziario ciclostilato in proprio in arabo e italiano…
Le case dei migranti si aprono a sera invitano italiani e stranieri in cene e danze … discussioni sulla libertà …
Donne marocchine reduci da reclusioni domestiche romane raccontano storie di isolamenti metropolitani, mentre preparano tè alla menta e dolcetti al cocco.
Giovani di altri Paesi rianimano le vie del centro storico abbandonate dai ragazzi ciociari che prediligono la provincia, inconsapevolmente ripetono riti serali della passeggiata fra i vicoli di altre generazioni, popolano i negozietti di alimentari frequentato per lo più da anziani – il maresciallo, sempre aperto, senza orario, disponibile a chiacchierare, spiegare, raccontare; i vecchietti del bar con gelato artigianale buonissimo, si fermano a parlare, intersecare emarginazioni e solitudini; gruppetti di stranieri discutono intorno alla fontana accanto all’arco Campagiorni, giocano a scacchi nel bar dell’iraniano Bahrom.
Più voci si intersecano nel cuore antico della città; si sovrappongono, si scontrano: la voce suadente della Romania si mescola alle altre, nello scandire le tante consonanti vicine, racconti nostalgici di pianure sterminate come solitudini, montagne bellissime, stenti e miserie, palazzi del potere lastricati di marmi e stucchi, bambini privi di tutto, anche del cibo, chiusi in istituti grigi, pieni di topi.
Voci albanesi di poeti, rifugiati politici, magistrati, spiriti liberi perseguitati in cerca di espressione si diffondono fra dibattiti e incontri e finiscono con scontrarsi con la miseria e la disillusione.
Voci sudamericane sensuali e rabbiose denunciano gli abusi del mercato del sesso.
*L’articolo completo può essere letto su La macchina sognante, una rivista di scritture dal mondo. Ogni settimana Frontiere News pubblica un saggio selezionato dalla redazione de La macchina sognante.
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