di Sidita Kushi – Northeastern University
Le terre montuose che fungono da barriere tra le “civiltà” hanno subito ondate di orribili abusi. Guerre mondiali, massacri, bombardamenti nazionali e internazionali e, di recente, una crisi dei rifugiati ancora in corso, hanno messo in discussione il tessuto delle nazioni dei Balcani occidentali, creando nuove vittime dell’oppressione. Media, analisti politici e molte ONG raccontano giustamente le numerose violazioni commesse dai governi balcanici ed europei verso i profughi che tentano di fuggire dalla guerra siriana verso la sicurezza. Questa attenzione non deve vacillare e dovrebbe anzi essere maggiore.
Eppure, involontariamente, riflettori puntati esclusivamente sull’acutizzarsi della recente crisi umanitaria a volte possono disattivare altre persistenti forme di oppressione normalizzate nella regione. Le donne dei Balcani, per esempio, sono vittime costanti di strutture sociali e percezioni oppressive. Subiscono violenze domestiche, delitti d’onore, barriere socio-economiche – solo per citarne alcune.
Il sesso può essere un fattore sociale abbastanza paralizzante. Basta essere donne per essere vulnerabili ad una vasta gamma di violazioni dei diritti umani. E che dire se vi capita di essere una donna che vive ai bordi della cultura dominante “accettata”? Che cosa succede se le tue fonti di oppressione si intersecano nel più complesso dei modi? Le donne rom dei Balcani occidentali devono affrontare ingiustizie che derivano dal sesso, dal colore della pelle, dalla classe socio-economica e dal proprio stile di vita. Una donna rom deve combattere contro un labirinto di oppressioni sociali su base giornaliera – è stato così per secoli e continua a esserlo oggi mentre nuove crisi umanitarie vanno e vengono.
Chi è lei?
L’identità rom si riferisce generalmente ad un gruppo etnico tradizionalmente nomade, con vari dialetti linguistici e molti sottogruppi, che vive per lo più in Europa dove giunse dall’India del Nord più di mille anni fa. Nel XIV secolo, parallelamente alle conquiste ottomane, i rom si stabilirono in gran numero in tutti i Balcani. Attualmente, dei 10-12 milioni stimati in tutta Europa, circa sei milioni vivono nell’Unione europea e un milione nei paesi dei Balcani occidentali. La maggior parte dei rom parlano due o tre lingue, tra cui un dialetto Romani e le lingue ufficiali dei loro paesi. Ovunque essi risiedano, tuttavia, a causa della mancanza di una base territoriale vengono segnati come estranei: sono il perfetto “altro”.
Un bambino che cresce in Albania, per esempio, non è mai immune dall’indottrinamento culturale contro la popolazione rom – “gli zingari”. Non importa quanto progressiva una famiglia possa essere, implicitamente o direttamente i figli vengono introdotti a molti stereotipi negativi che la cultura dominante riversa sui rom. Già da piccola, venivo invitata dalla società a non aprire la porta a uno zingaro. Gli zingari rubano i bambini piccoli e si dilettano nella magia nera, mi dicevano in maniera convincente i miei vicini. Ma il mio sé di otto anni adorava il modo in cui una “zingara” locale si vestiva, e avrei disperatamente voluto essere come lei.
Questo accadeva molto prima che iniziassi a capire l’intricata rete sociale di limitazioni, tabù e aspettative contro le quali le donne rom devono lottare. Tuttora non capisco né sarò mai in grado di cogliere la piena portata e la natura di questa oppressione, in quanto è diversa e più profondamente permeante di quello che ho potuto mai sperimentare in quanto donna albanese-americana bianca. L’argomentazione che cerco di sostenere, tuttavia, è che l’intersezione di genere, razza, cultura e classe crea nei Balcani un potente ciclo perpetuo di oppressione e mentre i sistemi politici, i leader, le ideologie e le economie vanno e vengono, la donna rom rimane bloccata nel crocevia della sua identità emarginata.
Essere rom e donna
Al di là dell’onnicomprensiva emarginazione razziale e culturale, le donne e i loro bambini sono diventati simboli centrali della lotta rom all’interno dei Balcani. “C’è solo una cosa peggiore dell’essere una donna in Serbia, ed è essere una donna rom” ha detto all’IPS un membro del un membro del Roma Women’s Centre Bibija. “Quasi tutte le donne rom si sposano molto giovani e vivono per prendersi cura dei loro tanti figli. I genitori non investono nella loro formazione, visto che devono sposarsi e unirsi a un’altra famiglia, e ad aspettarle c’è quasi sempre violenza familiare e il dover preoccuparsi all’infinito degli altri”.
In quanto vittime visibili delle loro società e penalizzate dal genere, molte donne rom sono delegate all’elemosina negli angoli di strade polverose, spesso con figli piccoli, nel caldo afoso dell’estate o durante i venti amari dell’inverno. Alcune donne rom dei Balcani sono “visibili” anche perché vengono assunte per fare lavori domestici – dopo aver lavorato con uomini non-rom come lavoratrici stagionali agricole, operaie e venditrici ambulanti per oltre un secolo. Più di recente, abbiamo visto le donne rom lavorare come addette alle pulizie in case private e nelle scuole, come cuoche, e meno frequentemente, come insegnanti, commercialiste e giornalisti. Ma il loro contributo ai lavoro pubblici avviene sempre nel contesto di una rete multiforme di discriminazione e limitazioni sociali.
Inoltre, le donne devono affrontare pesanti limitazioni nell’assistenza sanitaria e nell’istruzione. Anche nella sfera privata, le donne rom non sono in grado di sfuggire all’oppressione e spesso sono vittime di abusi domestici. A peggiorare le cose, a causa delle barriere linguistiche, culturali ed educative, queste donne raramente conoscono i percorsi legali da intraprendere contro i propri oppressori pubblici e privati.
I paesi balcanici hanno già sviluppato strategie nazionali per le popolazioni rom, nel quadro del “Decennio di inclusione dei rom” (2005-2015) e del processo di adesione all’UE. Eppure, recenti ricerche indicano che queste politiche si sono rilevate sterili, non adattandosi all’oppressione delle donne rom, che sono emarginate non solo nell’ambito delle società nazionali ma anche all’interno delle comunità rom.
Per la donna rom, tre principali fonti di oppressione si intersecano tra razza, classe e genere: 1) traffico di esseri umani e prostituzione; 2) carenze educative; 3) mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria in ambito sessuale. Le loro origini si trovano tra la sfera privata e quella pubblica, tra le violenze domestiche e uno status familiare più debole a causa di fattori contestuali esistenti per le donne rom e le donne non rom.
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