Ayotzinapa, 24 mesi senza giustizia

“Se Lei avesse un figlio desaparecido rimarrebbe lì seduto o andrebbe fuori a cercarlo per anni?”, questa la domanda di Mario C. González, padre di César, uno dei 43 studenti scomparsi il 26 settembre 2014 a Iguala, Messico.

A due anni da quella che è stata battezzata “la notte di Iguala”, in cui la polizia cittadina uccise 6 persone e ne ferì decine, sequestrò 43 studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa, nel meridionale stato messicano del Guerrero, e li consegnò a un gruppo della criminalità organizzata, vi sono poche certezze: lo Stato messicano non ha potuto offrire versioni plausibili dell’accaduto, ha fabbricato verità di comodo per far passare questo crimine enorme come un “fatto locale”, ha coperto l’operato turpe delle forze armate e della polizia federale, che dipendono dall’esecutivo e dalla presidenza, e non ha saputo né voluto ritrovare i 43 desaparecidos.


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Nelle giornate mondiali per Ayotzinapa collettivi e organizzazioni di oltre 100 città del Messico e del mondo realizzano azioni per chiedere verità e giustizia e sostenere l’instancabile lotta dei genitori dei ragazzi, dei difensori dei diritti umani che li accompagnano e della società civile messicana organizzata per non dimenticare ed esigere al governo dei risultati concreti.

Può lo Stato, che è coinvolto a molti livelli nel crimine di Iguala e in centinaia di altri casi meno noti all’estero, processare e riformare se stesso? Per ora non ne è stato capace e, come hanno recentemente dichiarato l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) e il CNI (Consiglio nazionale indigeno), è più probabile che “il castigo ai colpevoli verrà dalla lotta dal basso”.

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Secondo le ricerche realizzate dal GIEI (Grupo Interdisciplinario di Esperti Internazionali della Commissione Interamericana per i Diritti Umani) e da periti e giornalisti indipendenti, che hanno smentito i risultati delle indagini governative e della procura negli ultimi due anni, a Iguala vi fu una vera e propria operazione di contro-insurrezione, un’azione orchestrata come una cacciagione o persecuzione, messa in atto da polizie di tutti i livelli con la partecipazione dell’esercito oltre che del crimine organizzato.

Inoltre la “verità storica” generata e diffusa dall’ex procuratore generale della repubblica, Jesús Murillo Karam, il 27 gennaio 2015 è fallace e costruita soprattutto su testimonianze ottenute con la tortura di presunti delinquenti che oggi sono in attesa di giudizio in prigione, catturati ma non processati né condannati. S’è dimostrato come sia impossibile incenerire 43 corpi in una discarica come quella di Cocula, dove secondo la procura sarebbero stati bruciati gli studenti.

La versione ufficiale fa quindi acqua da tutte le parti. Inoltre risulta da atti ufficiali del fascicolo che al normalista ucciso e scorticato la notte del 26 settembre, Julio César Mondragón, venne preso il cellulare e da questo apparecchio sono state fatte chiamate:  “Abbiamo scoperto che nel fascicolo qualcuno sa che mesi dopo, fino all’aprile 2015, il telefono stava funzionando perfettamente e le tracce di quel telefono portano da una parte a un ufficio del CISEN (Servizi Segreti e di Sicurezza del Messico) a Città del Messico e, dall’altra, a un campo da golf nella zona militare numero 1, questo 6 mesi dopo la morte”, hanno rivelato gli autori del libro “La guerra che ci nascondono” (“La guerra que nos ocultan”). E la guerra che ci nascondono ha a che vedere senza dubbio con la cosiddetta “guerra alle droghe”, che ha contribuito a innalzare la violenza nel Paese e a provocare oltre 170mila morti e 30mila desaparecidos in 10 anni, con la militarizzazione dei territori e il ruolo dell’esercito e infine con il business delle compagnie minerarie e lo sfruttamento delle risorse naturali.

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L’ONU insiste per avere risposte e dichiara che il caso “non è chiuso”, come vorrebbe il governo di Enrique Peña Nieto, “né può restare impune”. Anche per questo, e dopo che il governo non aveva rinnovato il mandato agli esperti del GIEI l’aprile scorso, la Corte Interamericana per i Diritti Umani ha insistito affinché si apra e completi almeno il meccanismo di supervisione sull’applicazione delle raccomandazioni del CIDH alle autorità messicane. E la lotta per la verità e la giustizia continua anche grazie alla poesia. 


Profilo dell'autore

Fabrizio Lorusso
Giornalista freelance, docente e ricercatore in Messico.
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