Quattro anni fa Nour studiava legge a Damasco. Era il suo ultimo anno: altri quattro esami e poi la laurea. Dopo, la specializzazione in diritto penale e il sogno di diventare giudice o di lavorare alle Nazioni Unite. Era fidanzata e in procinto di sposarsi, un’intera vita di obiettivi da perseguire.
Cosa avrei fatto in futuro, sarei diventata un giudice? Per diffondere la giustizia nel mondo! Sono testarda su questo! Tutti devono prendersi i loro diritti, io voglio la giustizia. Io voglio diventare un giudice per portare giustizia nel mondo, sì!
Fino a quando i razzi hanno colpito la sua università. Ha visto i suoi amici venire disintegrati dalle schegge. La sua vita non è stata più la stessa. Un’infezione le ha colpito il sistema nervoso, per i medici la situazione era quasi irreversibile.
All’improvviso si è ritrovata sulla sedie a rotelle e con la necessità di lasciare la Siria, ormai in guerra. E così insieme alla madre e al fratello Amal, è andata in Libano e quindi in Turchia. L’obiettivo, disperato quanto comune: attraversare l’Egeo e approdare in Grecia, Europa.
Non ci sono molte alternative: la sua condizione medica non viene trattata in Turchia. S’imbarca tre volte, fallendo sempre. In uno dei tentativi il conducente fa schiantare la barca contro le rocce, facendola affondare. Nour perde tutto: passaporto, cartelle cliniche, i vestiti e gli effetti personali. Rimangono lei e un giubbotto di salvataggio.
La madre, rifugiata palestinese a Damasco, è anziana e ha la pressione alta; il fratello è debole e scosso per le bombe. Il papà è tornato in Siria molto malato, non può camminare.
Nour vive a Basmane, il quartiere multietnico di Izmir abitato da decine di migliaia di siriani che vogliono imbarcarsi per l’Europa. E che molto spesso si ritrovano bloccati lì, tra le viuzze del centro storico, a reinventarsi.
Un crogiolo di storie, un intreccio di destini. Ci sono siriani una volta ricchissimi e siriani dei villaggi che coltivavano l’orto. Curdi, cristiani, sunniti e sciiti. E rifugiati palestinesi. Come Nour, che prima della guerra viveva in un grande appartamento di Yarmouk (il villaggio dei palestinesi alle porte di Damasco), dove il padre aveva un negozio di lavaggio a secco.
Se dici Yarmouk pensi alle bombe, all’Isis, all’assedio assadiano, alla celebre e drammatica foto vincitrice del World Press Photo. Ma Yarmouk una volta era il tipico quartiere dove i bambini giocavano liberamente per strada. Nour era una di loro. Calcio, campana, e nascondino.
Frequentava la scuola dell’Onu per i rifugiati palestinesi. Poi, crescendo, si era appassionata alle lingue e agli altri: un corso di primo soccorso, attivismo politico durante la Seconda Intifada, ma anche lo studio del tedesco e dell’inglese. Continuando a sognare.
Ho un legame forte con la mia camera, ho molti ricordi. Guardavo i miei film preferiti, in camera mia; studiavo molto, in camera mia; sono cresciuta in camera mia; io stavo sempre in camera mia. Ero così felice quando in Siria ero in camera mia. Sognavo molto in camera mia, su chi sarei diventata in futuro.
Il futuro si è spezzato il giorno dell’esplosione. Doveva incontrarsi in università con i compagni, ma non c’erano. “Continuavo a chiedermi, ‘Dove sono? Dove sono?’ Allora li ho visti. Volavano. Poi mi sono svegliato in ospedale”.
In ospedale qualcosa non andava con i muscoli, si sentiva sempre più debole. I medici hanno provato ad operarla ma qualcosa è andata storta. Quando si è svegliata era incapace di muovere piedi, polsi e mani. Quando il fidanzato scopre della sua nuova realtà, l’ha lasciata.
In Libano, rifugiata tra i rifugiati, ha scoperto la realtà dei campi profughi e le discriminazioni. Poi attraverso un lungo giro di trafficanti è arrivata in Turchia. Izmir. Basmane.
E la determinazione di raggiungere l’Europa. La prima volta a gennaio. Sembrava che tutto stesse andando per il meglio. Ma a un certo punto lo scafista si è spaventato ed è fuggito, lasciando la barca in mezzo al mare.
La barca si è schiantata contro gli scogli e si è fermata. C’era un buco nella barca e ha iniziato a entrare acqua e la barca stava affondando. La polizia turca ci ha visti, sono arrivati e ci hanno portato alla stazione di polizia per 12 ore.
Secondo tentativo, copione simile. Dal bosco di Dikili è spuntata la polizia. Anche questa volta, il conducente fugge.
Siamo rimasti nel bosco per 12 ore e i lupi e i cani ci attaccavano, noi ci siamo nascosti e scappati. Faceva tanto freddo e io non potevo camminare.
LA terza volta il motore si è fermato in mezzo al mare. Questa volta la polizia li ha trattenuti due giorni in stazione, bagnati, seduti sul pavimento. E ora?
Ballare, io amo ballare. Un giorno camminerò di nuovo e ballerò di nuovo. Non in discoteca, (ride), perché la sharia dice che non è una cosa buona. Ma ballerò, con i miei parenti e con la mia famiglia, oppure da sola, ballerò quando nessuno mi vede. Nella mia testa io penso sempre che camminerò di nuovo, che finirò i miei studi, che lavorerò. Sono ottimista. Devi pensare che ce la farai, e sarà così. Quando pensi così, ce la farai. Anche se tutto intorno va davvero male, se tu pensi male, distruggerai te stesso.
La storia di Nour è raccontata da “Chasing the stars“, un web-doc in tre episodi oggetto di una campagna di crowd-funding che racconta le storie di chi è costretto ad affrontare il viaggio verso l’Europa. Il primo episodio è ambientato dove vive Nour, a Basmane. Qui scopri anche come poter sostenere gli abitanti di Basmane contribuendo all’artigianato e alle attività di startup dei migranti.
LE ALTRE STORIE DI CHASING THE STARS SU FRONTIERE:
- I migranti che inseguono le stelle
- Il piccolo laboratorio che sfida lo sfruttamento
- Basmane, dove i siriani costruiscono alternative di speranza
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