di Riccardo Bottazzo
“Qui tra i monti del Cadore
oggi è un giorno un po’ speciale,
gli invitati sono in tanti
e tre coppie a festeggiare.
In paese le notizia ha stupito anche il prete,
Tre figlie con la mano con un giovane africano!”
Cinquemila persone sfilano tra le calli e i campi di Venezia. Cinquemila persone in marcia per l’umanità, dietro ad un grande striscione ricamato con la scritta Side by side, fianco a fianco. Sono ragazze e ragazzi degli spazi sociali del Veneto, sono migranti, sono “seconde generazioni”, sono cittadine e cittadine, sono profughi, richiedenti asilo, attivisti di associazioni umanitarie e di diritti umani.
Cinquemila persone che hanno risposto così all’appello del City Plaza di Atene e della campagna #overthefortress di Melting Pot, a scendere nelle piazze d’Europa – nei “campi” nel nostro caso lagunare – per dare corpo e parole a quanti non possono rassegnarsi ad accettare un presente di odio, barbarie e falsa informazione.
Cinquemila persone e una sola, ripeto, una sola!, fascia tricolore. Ed è stato così che, in una domenica 19 marzo accarezzata di primi zefiri primaverili, ho conosciuto Alessandra Buzzo, sindaca di Santo Stefano di Cadore.
Alessandra è una bella signora bionda dall’aspetto giovanile. Non mi sogno nemmeno di azzardarle una età. Veste in maniera semplice, come si conviene ad una manifestazione: jeans, scarpe da ginnastica e una giacca a vento imbottita gialla. Lassù, nella verdi vallate del Cadore, deve fare ancora freddo.
È venuta a Venezia come sindaca, con tanto di fascia tricolore, come abbiamo detto. Santo Stefano, tra tutti i 576 Comuni del Veneto, è quindi l’unico che ha ufficialmente aderito all’iniziativa per i diritti dei migranti.
E se la cosa non vi stupisce abbastanza è perché non conoscete il Veneto. L’aria che tira da queste parti, e soprattutto tra i Comuni di montagna, è quella delle barricate contro chi viene dal mare, dei Gonfaloni di San Marco usati a sproposito (la Serenissima era assai più accogliente, e guardava più al Mediterraneo che alle Alpi), degli albergatori che protestano perché i profughi danneggiano il turismo, dei sindaci che rifiutano di accogliere perché il loro Comune ha già troppi problemi per caricarsene di altri, dei cretini che hanno paura delle malattie portate dai migranti e magari poi rifiutano di far vaccinare il figlio, dei predicatori del “non possiamo accogliere tutti” per non accogliere nessuno.
Cantano ancora i Modena City Ramblers (spiegheremo in seguito perché abbiamo scelto questa canzone come colonna sonora dell’articolo):
C’è chi dice ” non so razzista
ma ci tengo alla mia valle” …
e chi storce pure il naso
e alle spalle va a colpire.
E riprendiamo a raccontare di Alessandra Buzzo. Quando mi si è presentata, nel bel mezzo del corteo, ho subito pensato che era un nome che avevo già sentito. Ma dove? E’ bastata una ricerca in rete per ricordare il fatto di cronaca che l’aveva resa famosa. E’ la sindaca del paese dove i fedeli avevano intimato al prete di non dare la comunione ai profughi!
Facciamo raccontare a lei come è andata la faccenda.
Siamo a Santo Stefano di Cadore, piccolo paese con poco più di 2600 abitanti sovrastato dal monte Col e posto alla confluenza del fiume Piave, sacro alla patria, col torrente Padola. La provincia quella di Belluno. Profondo Veneto. E’ venerdì 13 maggio dell’anno del signore 2011. Non nel medioevo. Nel 2011.
“La prefettura mi aveva telefonato alle 16 per dirmi che un pullman con 90 ragazzi in fuga dalla guerra e dalla fame sarebbe arrivato nel mio Comune verso le 20 di quella sera stessa. Lì per lì, mi venne da rispondergli che non se ne parlava neppure. Che, quantomeno, avrebbero dovuto avvisarmi con qualche giorno di anticipo. Ma poi ho pensato: e se ci fosse uno dei miei figli là in mezzo? E se io fossi una delle madri di questi ragazzi, come vorrei che fosse trattato mio figlio? Così non ci ho pensato più sù, e, grazie all’aiuto di un gruppo di volontari, ho sistemato 90 brande e preparato 90 pasti. Ci son cose per cui i calcoli politici non valgono nulla. Di fronte a qualcuno che ha bisogno, c’è una cosa sola che una sindaca può fare: darsi da fare ad aiutarlo. Certamente, i miei concittadini non l’hanno presa bene. Nei giorni successivi gruppi di genitori hanno picchettato la scuola dove lavoro come amministrativa. E la cosa più sconvolgente è successa la domenica, quando qualcuno di questi ragazzi in fuga, ha voluto andare a messa! Le mamme sono insorte contro il parroco chiedendogli di non dare la comunione ai loro figli con le stesse mani con le quali aveva toccato i profughi!”
Vien da chiedersi se Gesù Cristo si disinfettava le mani prima di moltiplicare pani e pesci, con tutti quei luridi palestinesi che toccava ogni giorno.
Ma a parte queste amenità, desta qualche perplessità il comportamento della Prefettura, che avvisa un Comune con solo 4 ore di anticipo sull’arrivo di 90 persone alle quali trovare una sistemazione.
“Come venni a sapere dopo, fu una sorta di punizione. Nel 2011 assistevamo ai primi arrivi di migranti e già tutti gli altri sindaci dei Comuni del Cadore, tutti leghisti o di quanto meno di destra, avevano alzato muri, minacciando di sbarrare l’ingresso del loro paese con le barricate. Io ero l’unica che diceva che accogliere era un obbligo e che un amministratore non può negare il proprio aiuto di fronte a certe terribili situazioni. Che noi non siamo stati eletti solo per sistemare i buchi delle strade. Noi abbiamo il dovere morale di trasmettere valori ai nostri concittadini e di testimoniarli con le nostre azioni! Facevamo di quelle litigate… Così, quando sono arrivati i primi profughi, li hanno scaricati tutti a me invece di dividerli per Comune, come sarebbe stato più logico, più giusto e anche più funzionale. Devono aver pensato: ‘Vediamo come se la cava, quella, con tutte le sue teorie sull’accoglienza'”
Eran magri e spaventati quando qui sono arrivati,
quando qui sono arrivati,
Clandestini sulla nave,
poi il destino gli ha portati
dove il mare è un miraggio
e la neve invece e nera,
con magliette e infradito a scalare un sogno ardito.
“Quando sono arrivati, ero piena di paura di non riuscire a gestire la situazione. Ho delle precise responsabilità anche nei confronti dei miei concittadini. Così, ho detto loro: ‘Guardiamoci negli occhi. Io farò di tutto per aiutarvi. Voi fate di tutto per non crearmi problemi’. Non me ne hanno creati. Né dopo, né mai”.
C’è chi vince il pregiudizio
e rincorre un po’ d’amore
“Avevano la paura dipinta negli occhi. Ho chiesto loro di cosa avessero bisogno e mi hanno risposti tutti che volevano telefonare a casa, per dire alle loro famiglia che stavano bene e che erano arrivati in Europa. Nessuno aveva ancora dato loro un telefono o una scheda. Così ho messo a loro disposizione il mio. Ancora oggi, qualcuno mi chiama per sbaglio dall’Africa perché ha memorizzato il mio numero”
A creare problemi ad Alessandra non sono stati i migranti ma pregiudizio, ignoranza ed intolleranza. Terreno fertile per l’opposizione leghista che, alle amministrative del maggio del 2014, han provato a scalzarla dalla carica di sindaca. Eppure Alessandra è stata rieletta. Forse che è riuscita a far cambiare idea ai suoi concittadini sui profughi?
“A qualcuno, forse. Ma diciamo meglio che il lavoro di una sindaca non si misura solo con un metro. Io non ho mai delegato e mi sono sempre assunta le mie responsabilità. Sono sempre stata in prima linea, con coerenza, nella battaglie per la sanità, l’ambiente e la viabilità. I cittadini hanno riconosciuto il lavoro che ho fatto a vantaggio di tutta la comunità. Certo, se fossero nati problemi con i migranti l’avrei pagata cara, ma il fatto che tutto sia andato bene, anzi, benissimo, mi ha aiutata. Questa è una prova che, se il problema viene gestito bene, alla fine è una risorsa in più. Abbiamo affidato loro dei lavori, come la tinteggiatura del municipio e dell’anagrafe, per cui non trovavamo manodopera. Affittando le case di alcune signore anziane, permettono loro di pagare la retta della casa di riposo… Senza contare che la nostra valle ha il problema dello spopolamento. Alcuni di questi ragazzi si sono fermati ed ora fanno parte della comunità. Tre hanno sposato ragazze locali, una delle quali è mia figlia, e ora sono nonna. I Modena City Ramblers ci hanno scritto pure una canzone”.
I confetti sono pronti mandorla e cioccolato,
ebano ed avorio insieme,
una promessa e un bacio.
brillano le fedi
e il bouquet volan suol Piav
La canzone, che è quella che citiamo sin dall’inizio dell’articolo, è intitolata “Fiori d’arancio e chicchi di caffè” e fa parte del loro album “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.
Oggi, la sindaca Alessandra del Cadore che sfila senza paura accanto ai “violenti dei centri sociali” di Venezia, oltre ad un nipote in più, ha anche un figlio in più. E con la pelle tutta nera. Uno di questi 90 ragazzi, con il quale si era creato un legame speciale, si è fermato a casa sua, è stato adottato e ora la chiama mamma.
“In realtà, sono in tanti, tra quei primi 90 arrivati a Santo Stefano a chiamarmi mamma. Di tutti loro so dove sono e come se la passano, siamo amici sui social e li seguo con affetto. E poi c’è quel ragazzo bangladese che prima di partire mi ha chiesto quando è il mio compleanno. Ora lavora a Roma in una agenzia turistica ma ogni anno, quel giorno per me speciale, sale in Cadore a portare un regalo per me e uno per il mio compagno”.
Uomo nero la strada ti chiama, infradito e polsi del tuo cielo nero.
Fratello dalla pelle di tabarro è la paura che ti veste ad ogni ballo,
il ballo della gente che non sa dire niente,
il ballo di chi è povero ma diversamente da te che non sei di pelle uguale a noi,
da te che non hai qui cresciuto i tuoi figli. Ci saranno corvi in volo sopra questi monti,
nuvole maligne a nascondere i tramonti tra le strade di montagne confidano nei ponti,
quindi adesso lancia il riso e balla!
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