Quanti fotografi sarebbero disposti a “prestare” la propria reflex a un neofita della fotografia, per giunta sconosciuto?
Partecipare a Photo Tandem vuol dire, prima di tutto, superare la diffidenza. Non a parole, non come concetto astratto farcito di buone intenzioni politically correct.
Nell’epoca di muri, porti chiusi e xenofobia, così come della sovraesposizione dei migranti e del loro utilizzo a mo’ di trofeo da parte di politici e narratori in senso lato (fotografi inclusi), il progetto Photo Tandem è una vera e propria boccata d’aria fresca.
Nato nel gennaio 2017 da un’idea del fotografo Stefano Corso e con il patrocinio dell’Associazione Baobab Experience, il progetto mira ad ottenere un racconto nuovo e genuino della città, in questo caso Roma. Gli occhi sono, è scontato dirlo, quello dei migranti.
“Photo Tandem, vuole mostrare la nostra quotidianità con i loro occhi, per aiutarci a comprendere il nostro mondo, le loro difficoltà e la nostra apparente normalità e per creare momenti di socialità, fiducia reciproca e umanità tra fotografi e migranti”, si legge nel sito del progetto.
Il concept è semplice: periodicamente vengono organizzate delle uscite in cui ogni fotografo professionista che decide di partecipare al progetto adotta un migrante affidandogli la propria reflex digitale e in pellicola. Dandogli ovviamente consigli e primi rudimenti tecnici e di composizione fotografica, ma soprattutto cercando di dare libertà alla sensibilità visiva e artistica del migrante e piena autonomia nella scelta dei soggetti da riprendere.
“Ciò che più ci ha colpito fino ad ora è stata la capacità di ogni tandem di comunicare attraverso il linguaggio degli occhi e della fotografia, reciprocità creata tra persone che spesso non si esprimevano nella stessa lingua”.
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