Nel documentario “Bodies for sale”, la giornalista investigativa Mahi Ramakrishnan racconta gli abusi (sessuali e non) che uomini e donne rohingya subiscono per mano dei trafficanti nel viaggio dalla persecuzione in Birmania alla speranza della Malesia, passando per la Tailandia. Mahi Ramakrishnan è una documentarista indipendente di base a Kuala Lumpur, in Malesia. Giornalista da oltre vent’anni, si occupa preminentemente di traffico umano e rifugiati.
Ma la sua connessione con i rohingya non è dovuta soltanto alla professione che svolge: anche sua nonna appartiene a questo popolo. E proprio scoprendo le proprie radici Mahi è venuta a conoscere la sofferenza di questa minoranza.
“È stata una vera storia d’amore. Mia nonna, rohingya, in Birmania conobbe mio nonno, all’epoca arruolato nell’esercito coloniale anglo-indiano. Si sono innamorati subito e si sono trasferiti in Malesia. Mia madre è nata qui”, ha commentato Mahi Ramakrishnan.
La persecuzione dei rohingya in Birmania si è inasprita dal colpo di stato del 1962. Il governo militare impose loro restrizioni sul movimento, sulla proprietà e sul matrimonio, arrivando al divieto di avere più di due figli. Nel 1982 è stata loro revocata la cittadinanza, ed ora vivono da apolidi nel loro paese.
In molti cercano di fuggire da queste sofferenze affrontando i pericoli del mare nella speranza di raggiungere i paesi vicini, tra cui Malesia e Tailandia. I trafficanti chiedono fino a 2000 dollari, e chi non può pagare viene violentato o reso schiavo.
In Malesia vivono circa 40mila rohingya, molti dei quali non possono cercare lavoro perché richiedenti asilo o rifugiati . E questo li espone a sfruttatori vari, disposti ad assumerli in nero.
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