Il bosco della droga di Rogoredo, oggi

Milano. A poche fermate di metro dal Duomo, c’è l’ormai famosissimo bosco di Rogoredo, una volta la zona di spaccio a cielo aperto più grande d’Italia. Micaela Palmieri, conduttrice del TG1, ci racconta una notte vissuta dentro il bosco dove la vita vale poco o niente. Intervista di Tatjana Đorđević Simic

 

“In ‘sto mondo parallelo fa tutto schifo, giornalista. Viaggia vicino a quello normale, al vostro, al tuo, ma questo è avvelenato. Qui non c’è la notte, non esiste il giorno. È tutto confuso. Non ci sono le ore che passano, non esiste la pioggia né il sole. C’è solo la sostanza, l’eroina, la cosa più importante della nostra vita. Nostra madre, nostro padre. La nostra amante. L’amico migliore che abbiamo. Ti dà euforia allo stato puro, all’inizio, ma l’estasi non ti basta mai, finché non ti è sufficiente più niente, vuoi solo lei, per stare ancora più male”.

La citazione è di Carlo, un ragazzo del bosco di Rogoredo, che ha fatto da guida alla giornalista Micaela Palmieri durante una notte passata nel bosco della droga, che si trovava a poche fermate di metropolitana dal Duomo di Milano e che è stata la più grande zona di spaccio a cielo aperto d’Italia.

Una notte d’inferno, vissuta dalla giornalista in prima persona, a contatto con una realtà piena di vite che valgono poco o niente. La realtà della droga, di cui spesso non si parla, che viene nascosta. Ma molto facilmente quella stessa realtà travolge tanti giovani ragazzi, che una volta intrappolati dall’eroina, molto difficilmente ne escono.

Il risultato della sua indagine è il libro Next Stop Rogoredo: Storia di chi è uscito dal bosco della droga, pubblicato da Baldini+Castoldi lo scorso giugno. Un’inchiesta dura e necessaria che racconta la storia di Carlo, ma anche delle altre persone che hanno vissuto l’inferno di Rogoredo. Ma oltre all’abisso della dipendenza e della violenza queste pagine parlano anche della voglia di dire basta e di ricominciare. Purtroppo Carlo, il protagonista del libro, non ci è riuscito e non c’è più.

Da quando il reportage del bosco di Rogoredo è andato in onda sul Tg1, due anni fa, la zona è migliorata un po’. Ma non il traffico di droga a Milano: molti spacciatori si sono semplicemente spostati in altre zone della città.

LEGGI ANCHE:   La sfida di Corvetto: un giardino solidale per chi vive la periferia

Micaela, com’è cambiato l’approccio rispetto al consumo di droga, negli ultimi anni?

Io credo che sia più facile provare le droghe oggi. Anzitutto si trovano più facilmente e costano anche molto meno rispetto al passato, in più si ha la sensazione che non sia così definitivo provare uno stupefacente, persino i più pesanti. Ho conosciuto molti ragazzi che hanno provato a fumare l’eroina perché, mi hanno detto, all’inizio gli era sembrato che fosse come fumare marijuana, non iniettarsela dà tutta un’altra percezione e questo è deleterio per i ragazzi che ne sottovalutano la pericolosità.

Chi sono i giovani di oggi che scelgono questa strada verso il “non ritorno”?

Sono giovani di tutti i tipi. Non c’è distinzione di sesso, età, ceto sociale. E non c’è neppure un denominatore comune nei giovani che cadono nella trappola della droga. Molti lo fanno per debolezza, fragilità, famiglie distrutte, assenti, noncuranti. Altri invece provano per noia, per sballo, per essere accettati dal gruppo e poi non riescono più a uscirne. Si ha l’idea semplicistica che la droga, soprattutto l’eroina, sia monopolio dei disperati, dei disadattati sociali ma non è così, ci sono molti giovani di famiglie normali, benestanti che ne sono vittime.

Per un giovane quanto è facile oggi cadere nella trappola della droga?

È facile, purtroppo. Nel bosco di Rogoredo ho parlato con ragazzi ancora increduli di esserci caduti dentro. In alcuni momenti di lucidità mi dicevano di aver seguito paradossalmente il percorso più banale di tutti. “Provo una o due volte e poi smetto”, si ripetevano. E invece dopo la prima volta c’erano già dentro.

Dopo la tua inchiesta la situazione è migliorata. Ma dove si sono trasferiti gli spacciatori e i tossicodipendenti?

La situazione oggi è molto cambiata ma è da illusi pensare che il problema sia risolto. Il bosco di Rogoredo non è che l’emblema di situazioni drammatiche in cui ragazzini poco più che bambini comprano dosi di eroina per tre, quattro, cinque euro e si sono rovinati la vita, distruggendo anche quella di chi li amava. I più fortunati sono riusciti a uscirne, altri stanno ancora lottando, molti sono ancora tossicodipendenti, altri ancora non ce l’hanno fatta. La verità è che il bosco di Rogoredo è ovunque, ogni città italiana ne ha uno o più di uno. Adesso a Milano, ad esempio, c’è una situazione complicata al parco delle Groane, a nord della città, le forze dell’ordine mi hanno detto che molti dal bosco di Rogoredo si sono spostati lì.

LEGGI ANCHE:   Una storia svedese di amicizia, bombe e sangue

Nel bosco c’erano regole da rispettare. Ci sono gli spacciatori e i tossici. Hai visto scene di aggressione, scene in cui i ragazzi sono pronti a fare qualsiasi cosa per avere la loro dose di eroina. Quanto vale la vita per un tossicodipendente?

Nel bosco, la vita di un tossicodipendente valeva meno di zero. I ragazzi erano trattati dagli spacciatori come feccia, considerati meno di niente. Per i tossicodipendenti esiste solo l’eroina, hanno un rapporto esclusivo e malsano con la sostanza e sono pronti a tutto per averla, perdono ogni dignità e gli spacciatori ne approfittano come possono, in tutti i modi, anche i più atroci. Nel bosco della droga ho visto forse uno dei punti più bassi dell’umanità, lasciare che persone si distruggano come quelle che ho visto, è la sconfitta dell’essere umano.

Cosa ti ha spinto a raccontare questa storia?

Mi ha paralizzato l’indifferenza verso un bosco della droga di circa 60 ettari (più o meno 60 campi da calcio di estensione, per dare un’idea), a pochi passi da una stazione ferroviaria importante di Milano come Rogoredo. Mi ha colpito nel profondo la noncuranza delle persone che ci passavano accanto e non si indignavano nemmeno più, avevano soltanto una grande paura e un immenso fastidio. Anche io ero tra quelle e non ho potuto accettarlo, credo che a volte dovremmo lottare contro i nostri limiti e io ci ho provato. Ho pensato fosse giusto raccontare il dolore di persone che non sono problemi da risolvere, sono ragazzi, donne e uomini che hanno solo bisogno di aiuto, di essere ascoltati, capiti, spinti a vedere un’alternativa alla morte.

Pensi che ci sia poca attenzione dei media, della società, delle autorità locali rispetto alle persone che hanno problemi con la droga?

Penso che tutti noi dovremmo fare di più. Della droga si parla soltanto quando c’è un caso eclatante di cronaca. Prendete la morte assurda di poche settimane fa di Maria Chiara Previtali ad Amelia, in provincia di Terni, la ragazza che a 18 anni è morta di overdose per il primo buco di eroina fatale dal suo fidanzato. C’è stato un momento di sdegno, se n’è parlato per qualche giorno e poi è tornato tutto esattamente come prima.

LEGGI ANCHE:   Una storia svedese di amicizia, bombe e sangue

Penso che si debba partire dalle scuole per educare i ragazzi alla cultura della vita e poi credo che un ruolo fondamentale ce l’abbiano le famiglie che devono ascoltare i loro ragazzi, parlarci, non giudicarli. La droga è infida, ti blandisce, ti avvelena e poi non ti permette più di essere te stesso. Chi ci è dentro non lo capisce, non può comprenderlo, sta a noi essere persone degne di questo ruolo.


Da sapere:

  • Secondo l’Emcdda (l’osservatorio dell’Unione europea sulle droghe e la tossicodipendenze) nel 2017 un terzo della popolazione italiana (di età compresa tra i 15 e i 64 anni) ha fatto uso di droga almeno una volta nella sua vita e che un decimo ne ha fatto uso nell’ultimo anno (va detto che questi dati non fanno distinzione tra droghe pesanti e cannabinoidi).
  • In Italia (dati aggiornati al 2015) ci sono circa 235 mila consumatori di eroina ad alto rischio.
  • Nel 2018 in Italia sono morte 334 persone per overdose; nel 2017 erano 294

Profilo dell'autore

Tatjana Đorđević Simic

Tatjana Đorđević Simic
Corrispondente dall'Italia per vari media della Serbia degli altri paesi dell'ex Jugoslavia, vive in Italia dal 2006 e da allora ha collaborato con molte riviste di geopolitica italiane e internazionali. Attualmente scrive per Al Jazeera Balkans e per la versione in serbo della BBC. È membro dell'International Federation of Journalist e dal marzo 2020 è il Consigliere Delegato dell'Associazione Stampa Estera Milano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potresti apprezzare anche

No widgets found. Go to Widget page and add the widget in Offcanvas Sidebar Widget Area.