A dieci anni dall’inizio delle rivolte in Siria, lo scrittore e dissidente politico siriano Yassin al-Haj Saleh parla delle speranze della rivoluzione, della tragedia della guerra e delle lezioni di una vita di lotta.
Il ciclo di proteste che collettivamente è diventato noto come “primavera araba” è stato innescato da un evento disperato di fronte a un edificio governativo nella piccola città tunisina di Sidi Bouzid alla fine di dicembre 2010, quando Mohamad Bouazizi si diede fuoco in un atto di protesta. Seguirono manifestazioni di massa in Tunisia, che si propagarono rapidamente in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa: giovani e anziani, uomini e donne, stavano rivendicando il loro diritto a una vita dignitosa.
All’inizio del mese di febbraio, enormi mobilitazioni costrinsero alle dimissioni Zine El-Abidine Ben Ali e Hosni Mubarak, rispettivamente dittatori della Tunisia e dell’Egitto. Tuttavia, la strada che porta dal cambio di regime alla trasformazione sociale è lunga, come sarebbe diventato chiaro negli anni successivi. E anche una tale vittoria preliminare si sarebbe rivelata sfuggente per altri paesi della regione.
Nel marzo 2011, le proteste avevano preso il via anche in Siria, in risposta all’arresto e alla tortura di giovani che avevano scritto degli slogan contro il regime sui muri di Dara’a. Quello fu il punto di partenza di un movimento per rovesciare il regime assadista.
La composizione delle proteste che si sono rapidamente diffuse in tutto il paese non era affatto meno complicata in Siria che altrove, e per un po’ ha costituito una sfida radicale a un regime dipendente da rigide divisioni settarie e dall’impoverimento di ampie parti della popolazione.
Nel decimo anniversario dell’inizio delle rivolte in Siria, pubblichiamo questa intervista allo scrittore siriano Yassin al-Haj Saleh.
Yassin al-Haj Saleh è l’autore del libro The Impossible Revolution: Making Sense of the Syrian Tragedy (Pluto Press, 2017), oltre a sette libri in arabo e centinaia di articoli. È anche co-fondatore della rivista online al-Jumhuriya, dove si possono trovare i suoi scritti sulla Siria e la crisi globale.
Ha vissuto in esilio negli ultimi otto anni – attualmente a Berlino e prima ancora a Istanbul. Nato nel 1961 in un villaggio vicino alla città di Raqqa, Yassin al-Haj Saleh ha studiato medicina ad Aleppo, dove è stato coinvolto nell’ufficio politico del partito comunista. In una ondata di repressione del regime, fu imprigionato per le sue attività nel 1980 e rimase in prigione per i successivi 16 anni.
Poco dopo il suo rilascio incontrò Samira al-Khalil, anche lei ex prigioniera politica, e più tardi i due si sposarono. Entrambi sono stati attivi in circoli dissidenti marginali in Siria per tutti gli anni 2000, cercando di sviluppare e diffondere nuove idee critiche sulla società siriana e di andare oltre i quadri limitanti delle precedenti lotte di opposizione. Dal suo inizio nel 2011, entrambi sono stati immersi nelle attività della rivoluzione siriana.
Il lavoro di Yassin al-Haj Saleh come parte della resistenza siriana ha continuato a mettere in primo piano quella richiesta di dignità che era centrale nelle rivolte di dieci anni fa. Ha persistentemente posto la questione di come comprendere i problemi globali che affrontiamo in un mondo “sirianizzato” e come essere solidali responsabilmente alla luce delle intersezioni di classe, nazionalità e religione.
L’intervista è stata condotta via e-mail da Liam Hough per il magazine ROAR. Per Frontiere, Valerio Evangelista ne ha curato la traduzione in italiano, suddividendola in tre sezioni così da facilitarne la lettura:
1. La vita sotto il regime del clan Assad
Le differenze e le continuità tra le epoche di Hafez al-Assad e di suo figlio Bashar hanno svolto un ruolo cruciale nello scatenare la rivolta civile. Lo scrittore siriano Yassin al-Haj Saleh descrive alcuni aspetti della vita in Siria durante i decenni precedenti la guerra, mostrando in che modo il clan Assad strutturò e organizzò l’economia siriana per garantire la sopravvivenza del regime. [Leggi tutto]
2. La rivoluzione tradita e la cecità delle sinistre occidentali
Mostrandosi come unica alternativa alle fazioni islamiste, il regime di Assad è riuscito ad attirare il supporto di gruppi fascisti così come di movimenti di sinistra. Ai primi ha venduto la questione della lotta all’islamismo, e con i secondi ha giocato la carta del suo presunto anti-imperialismo. Lo scrittore siriano Yassin al-Haj Saleh destruttura alcuni dei preconcetti più comuni sulle dinamiche politiche e sociali che hanno portato al tradimento della rivoluzione siriana, criticando la solidarietà selettiva di certa sinistra internazionale e mostrando le radici della prospettiva eurocentrica di chi ha negato le rivendicazioni del popolo siriano. [Leggi tutto]
3. Il futuro dei siriani dopo dieci anni di guerra
A dieci anni dalle prime rivolte, c’è bisogno assoluto di un pensiero più critico riguardo alla Siria e alla politica globale di oggi. Per lo scrittore siriano Yassin al-Haj Saleh, il futuro dei siriani in Siria e nel mondo non può infatti prescindere da un cambiamento di prospettiva verso i fattori sociali e geopolitici che hanno plasmato gli equilibri tra superpotenze. [Leggi tutto]
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[…] Dieci anni di conflitto in Siria hanno provocato oltre 500 mila vittime, 6 milioni di sfollati interni e 5,6 milioni di rifugiati oltre confine. Un po’ per prossimità geografica e culturale, un po’ per la concreta impossibilità di raggiungere posti più sicuri come l’Europa, la maggior parte dei profughi che hanno lasciato la Siria ha trovato rifugio in Turchia. Di conseguenza, la Turchia è diventato il paese che ospita il più alto numero di rifugiati al mondo, oltre 4 milioni registrati, di cui 3.6 milioni di nazionalità siriana. Il paese si è impegnato nell’implementazione di nuove leggi e regolamenti sulla migrazione, ha istituito un nuovo sistema di asilo – la “protezione temporanea” – un documento identificativo conosciuto come Kimlik, ha costruito campi lungo il suo confine meridionale, successivamente dismessi, e ha aperto ai siriani l’accesso a scuole e ospedali. Nel frattempo, la Turchia si è ritrovata ad affrontare una grave recessione economica con un’inflazione che ha raggiunto il 12%, mentre si stima che abbia speso, dal 2011 ad ora, circa 40 miliardi di dollari (36 miliardi di euro) per la gestione del flusso di profughi. […]