Una squadra di giuristi da tutto il mondo ha formulato la prima definizione legale di ecocidio, primo passo per un’introduzione del reato da parte della Corte penale internazionale. Se riconosciuto, si tratterà del primo crimine internazionale volto a proteggere la natura partendo da una prospettiva ecocentrica, in cui il danno agli esseri umani non è un prerequisito per il reato.
L’idea di criminalizzare i danni di massa e la distruzione degli ecosistemi a livello globale ha cominciato a catturare l’interesse internazionale da quando i piccoli stati insulari di Vanuatu e delle Maldive, minacciati gravemente dall’innalzamento del livello del mare, ne hanno chiesto una “seria considerazione” all’assemblea annuale della Corte penale internazionale degli Stati nel dicembre 2019.
Il passaggio storico è avvenuto a giugno grazie al gruppo di esperti legali indipendenti convocato dalla Fondazione Stop Ecocide che dopo sei mesi di lavoro ha concluso i lavori per una definizione legale del reato. La proposta, elaborata da dodici avvocati provenienti da tutto il mondo con competenze in diritto penale, ambientale e climatico, auspicabilmente servirà come base di considerazione per una serie di emendamenti allo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (ICC).
Secondo il progetto di legge, l’ecocidio consiste in tutti quegli “atti illeciti o sconsiderati commessi con la consapevolezza che esiste una sostanziale probabilità di danni gravi e diffusi o a lungo termine all’ambiente causati da quegli atti”.
L’iter legislativo potrebbe durare anni, se non decenni
Per modificare lo Statuto di Roma, il capo di uno Stato che fa parte della Corte penale internazionale dovrà presentare un emendamento formale all’Assemblea degli Stati Parte (ASP), prevista quest’anno dal 6 all’11 dicembre, e la maggioranza dei paesi presenti e votanti dovrà accettare di accogliere la proposta affinché questa possa procedere alla discussione e alla negoziazione. Si potrebbe trattare di un dibattito che durerà anni, se non decenni, così come è successo per Il crimine di aggressione entrato in vigore nel 2018 dopo una fase di negoziazione iniziata nel 1998. Inoltre, una volta che la legge verrà ratificata dai singoli paesi seguirà un processo di adeguamento delle legislazioni nazionali e la Corte penale internazionale entrerà in gioco solo se gli stati nazionali non potranno o non avranno la volontà di perseguire tali crimini.
Ad oggi ancora non è stato rivelato quale sarà lo stato che presenterà formalmente l’emendamento all’assemblea. Uno degli Stati contendenti potrebbe essere senz’altro il Belgio che – oltre ad esser stato l’unico paese europeo ad essersi schierato in prima linea per criminalizzazione dell’ecocidio presso la Corte penale internazionale – si è fatto promotore all’Unione Interparlamentare (UIP) della risoluzione, largamente approvata, che invita tutti i parlamenti membri dell’UIP a rafforzare il diritto penale per prevenire e punire i danni diffusi, durevoli e gravi all’ambiente e per riconoscere il crimine di ecocidio.
Gli effetti del reato di ecocidio, verso una prospettiva ecocentrica
Il reato di ecocidio segnerà un punto di svolta fondamentale a livello internazionale. Se la nuova legge sarà approvata alla CPI sarà finalmente possibile perseguire le persone “in cima alla catena di comando” dei reati di ecocidio come ministri di stato o amministratori delegati/alti funzionari di società o altri organismi responsabili. Il riconoscimento internazionale del reato, inoltre, avrà effetto anche sui paesi che non fanno parte della CPI (come USA, Cina, India) poiché a tutte le imprese che si trovano ad operare oltre frontiera non sarà più permesso di attuare pratiche ecocide in nessuna giurisdizione che abbia incorporato la legge così come in tutte quelle aree sotto giurisdizione internazionale.
Di assoluta rilevanza risulta il fatto che se il reato di ecocidio verrà riconosciuto si tratterà del primo crimine internazionale volto a proteggere la natura partendo da una prospettiva ecocentrica. Secondo la legge proposta, infatti, il danno agli esseri umani non è un prerequisito per il reato, l’obiettivo chiave quindi sarà proteggere la natura stessa, oltre agli esseri umani.
Questo passaggio di prospettiva significherebbe altresì riflettere sulla nostra realtà ammettendo che i diritti umani e i diritti della natura non sono separati, bensì essenzialmente complementari. Ed è proprio questa l’idea che i movimenti per il reato di ecocidio e per i diritti della natura difendono: non è possibile decontestualizzare gli umani dal resto del mondo vivente e non è possibile separare la nostra esistenza da quella dagli ecosistemi che ci sostengono.
Il cambiamento climatico non è altro che l’aver totalmente ignorato e oltrepassato le leggi naturali: per troppo tempo abbiamo vissuto un illusorio “mondo umano” completamente separato dal vero universo, dove i nostri ego hanno potuto crescere a dismisura gonfiati dalla presunzione di essere padroni e dando un prezzo a qualsiasi cosa al di fuori del corpo umano.
Non sorprende il fatto che l’80% della biodiversità sia presente nei territori abitati dalle comunità indigene dove la cosmovisione si presenta come un modello alternativo, se non opposto, allo sviluppo delle società occidentali. Ad oggi sono 37 i paesi nel mondo che in diverse forme hanno riconosciuto i diritti della natura e 9 paesi hanno leggi nazionali in materia di ecocidio. Proibire il danno e la distruzione di massa criminalizzando l’ecocidio è un grande passo in avanti ma ancor più importante sarà il passo mentale necessario che farà equivalere la tutela legale per la natura con la tutela dell’intera comunità terrestre.
Profilo dell'autore
- Appassionata di Balcani, sono attivista per i diritti umani con Amnesty International e seguo i movimenti dal basso. Dopo essermi laureata in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo a Perugia, mi sono specializzata in Democrazia e Diritti Umani nel Sud Est Europa a Sarajevo. Credo fermamente nella possibilità e nella necessità di immaginare e realizzare un sistema diverso da quello attuale che ha generato una ricchezza enorme per pochi a discapito dei molti e a danno del pianeta. Su questa linea, mi sono interessata alle lotte per il bene comune, o commons, per il potere trasformativo che queste lotte possono avere, non solo nel rimodellare la nostra relazione con la natura, ma anche all'interno delle comunità stesse innescando nuove forme alternative di cooperazione e solidarietà. Attualmente mi occupo principalmente di tematiche legate all’ambiente, ed in particolare ai conflitti ambientali nei Balcani, perché un ambiente salubre è parte integrante e fondamentale per il pieno godimento dei diritti umani. Sono convinta che tutti gli esseri viventi sulla terra debbano avere gli stessi diritti e le stesse possibilità per difenderli, per questo motivo mi definisco anche un'attivista per i diritti della natura.
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