L’ora più buia: un resoconto in prima persona degli ultimi avvenimenti in Afghanistan

Il mio nome è Basir. Sono un giornalista italo-hazara e questo è il resoconto in prima persona degli avvenimenti storico-politici che si stanno attualmente verificando in Afghanistan. La mia etnia è stata storicamente perseguitata dai talebani, ma oggi l’intero popolo si trova ad affrontare la minaccia di un gruppo che ha da sempre utilizzato la violenza e il terrore per raggiungere i propri scopi politici.

Credo che tali gruppi abbiano un nome, eppure così di rado è stato utilizzato per descriverli. Anche in questa nebulosità, ottusità e relativismo vanno ricercati i semi della nostra disfatta. Per anni infatti, nei media e nei salotti degli avventurieri occidentali di tutto il mondo, i talebani sono stati ritratti di volta in volta come un’opposizione armata, un gruppo militante antimperialista e così via.

Verrebbe da chiedersi quale aspetto dell’imperialismo stessero combattendo i talebani quando nel 2015 decapitarono Shukria, una bambina hazara di nove anni che stava viaggiando con la sua famiglia da Ghazni a Kandahar. O quale impero del male stessero affrontando quando hanno preso di mira le donne, le minoranze etniche e religiose. I talebani sono composti da gruppi diversi, e ancora oggi non è dato sapere se tali gruppi rispondano o meno ad un’unica leadership. Credo che lo scopriremo presto. Ciò che li accomuna è la brutalità e un estremismo religioso utilizzato a fini politici.

Il ministro dell’Interno ad interim Abdul Sattar Mirzakwal ha appena annunciato che l’attuale presidente dell’Afghanistan, Ashraf Ghani, ha deciso di fare un passo indietro e dimettersi per permettere la creazione di un governo transitorio. Non è escluso che la caduta repentina di molti distretti e città sia dovuta a qualche accordo avvenuto sottobanco tra Ghani e i talebani.

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Eppure difficilmente i talebani accetteranno ora di condividere il potere. Perché dovrebbero, dopotutto? Intervistato ieri da una radio indiana, il portavoce dei talebani ha affermato: “Molti ci considerano un governo ombra, ma si sbagliano. Noi siamo un governo in attesa”.

L’esercito afghano è demoralizzato, costretto a ritirate strategiche da parte del governo centrale (il presidente è anche capo di tutte le forze armate) e gravato dalla mancanza di una ragione per combattere. Il paese infatti è un mosaico multietnico che manca di un’identità nazionale e il presidente stesso ha spesso fatto leva su sentimenti e rivalità etniche per marginalizzare i suoi rivali.

Questa marginalizzazione ha contribuito in modo significativo alla situazione odierna. Servirebbe un libro per spiegare le ragioni di questo fallimento e forse un giorno ne affronterò le cause in qualche scritto.

Ora, dopo intrighi e tradimenti interni al governo che hanno permesso loro di ottenere il controllo di molte regioni senza dover nemmeno combattere, i talebani sono alle porte della capitale. Sembra che gli Stati Uniti, infatti, abbiano concluso un accordo che garantisce loro la libera entrata a Kabul in cambio della concessione di terminare l’evacuazione dei pochi fortunati che sono riusciti ad ottenere un passaggio sicuro.

I talebani sono già entrati a Bamiyan, capitale culturale hazara, ed hanno issato la loro bandiera. Nel 2001, quando entrarono a Bamiyan, i talebani fecero saltare in aria parte della storia hazara – gli antichissimi Buddha – e bloccarono il rifornimento di viveri sottoponendo la popolazione locale ad una carestia.

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I talebani, composti prevalentemente da pashtun sunniti, sono una realtà completamente aliena agli hazara, i quali nonostante la discriminazione e l’oppressione hanno in questi ultimi decenni contribuito in modo significato alla vita culturale e democratica del paese.

A Herat invece le donne sono già state mandate a casa dai loro luoghi di lavoro e i professori stanno salutando per un’ultima volta le loro studentesse. Alle donne non sarà più permesso studiare. Alcune ragazze sono state uccise solo per aver indossato dei jeans.

Tra poche ore, i talebani otterranno il controllo totale di un paese che è stato offerto loro su un piatto d’argento da gran parte della comunità internazionale. Una comunità che si è illusa di poter fare accordi con un gruppo che non crede nei più basilari elementi della democrazia, della dignità e dei diritti umani.

Tredici anni fa arrivai in Italia a seguito di alcune minacce di morte ricevute dai talebani a causa della mia attività giornalistica, oggi mi trovo a rivivere lo stesso orrore e preoccupazione per la mia famiglia in Afghanistan.

Oggi ho contattato le mie sorelle a Kabul, abbiamo cercato vie d’uscita che sembrano non esistere più. Mio padre è ancora in Malistan, il mio distretto di nascita, che si trova ora sotto il controllo dei talebani.

Non ho più contatti con lui da più di una settimana. Amici giornalisti mi chiamano sospirando da Kabul: è finita mi dicono. Siamo stati traditi.

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Profilo dell'autore

Basir Ahang
Basir Ahang è nato in Afghanistan a Kabul ma dal 2008 vive e lavora in Italia. Giornalista di professione si occupa prevalentemente di Afghanistan e diritti umani con un’attenzione particolare alla situazione dei rifugiati e delle donne. Ha collaborato con diversi giornali e agenzie internazionali. Alcuni suoi articoli sono stati pubblicati su BBC persian, Al Jazeera e Deutsche Welle. Basir Ahang si occupa anche di poesia e di cinema. Molte delle sue poesie sono state tradotte in italiano e in inglese. Attualmente collabora con diversi siti di informazione come frontierenews.it, kabulpress.org e hazarapeople.com
di cui è anche direttore.

Sito personale di Basir Ahang : http://www.basirahang.com
Twitter: @Basirahang

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