Capoeira, la ‘danza’ che preparava gli schiavi alla libertà

Calci fulminei, movimenti ipnotici, canti ritmati e il suono inconfondibile del berimbau. Osservare una “roda de capoeira” (il cerchio in cui si pratica) è come essere trasportati in un rituale antico, un misto di danza e lotta, di sfida e complicità. Ma dietro la spettacolarità dei movimenti e l’energia contagiosa c’è una storia di oppressione, resistenza e libertà. Nata tra gli schiavi africani portati in Brasile, la capoeira è molto più di una semplice arte marziale: è una forma di ribellione mascherata, un linguaggio di libertà che, come il samba o il jazz, ha attraversato i secoli trasformandosi in simbolo di identità culturale e orgoglio collettivo.

Le radici africane della capoeira

La storia della capoeira inizia nei secoli bui della tratta degli schiavi. Dal XVI secolo, milioni di africani vennero deportati dall’Angola, dal Congo e da altre regioni dell’Africa occidentale verso il Brasile coloniale, dove vennero costretti a lavorare nelle piantagioni di zucchero, caffè e cotone. Strappati dalle loro terre, questi uomini e donne portarono con sé tradizioni, lingue, religioni e anche tecniche di combattimento.

Per gli schiavisti portoghesi, qualsiasi forma di aggregazione tra gli schiavi rappresentava un rischio di ribellione. Per questo, le riunioni collettive vennero vietate, se non per eventi di preghiera o celebrazioni. Fu qui che l’ingegno degli schiavi prese forma: decisero di trasformare le tecniche di combattimento in danza mascherata, utilizzando la musica e il ritmo per camuffare i loro allenamenti.

Nasce così la “roda”, il cerchio sacro della capoeira. All’interno di questo spazio delimitato dai corpi dei compagni, i capoeiristi si sfidavano in quello che sembrava un gioco danzante, ma che in realtà era un addestramento segreto al combattimento. Il suono del berimbau – uno strumento musicale a corda unico nel suo genere – serviva da segnale d’allarme: se un sorvegliante bianco si avvicinava, il ritmo cambiava e i movimenti si facevano più lenti e gioviali, trasformando il combattimento in una danza innocua.

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Strumento di lotta e libertà

L’inganno strategico alla base della capoeira dimostra come l’arte della guerra possa assumere forme inaspettate. I calci rotanti (come il celebre “meia-lua de compasso”) non erano solo movimenti spettacolari, ma strumenti di autodifesa. In caso di fuga o ribellione, uno schiavo capoeirista poteva stendere a terra un soldato o un sorvegliante con un solo calcio.

Questi movimenti richiedevano un’estrema fluidità e coordinazione. La base della capoeira è la ginga, un movimento costante del corpo avanti e indietro che tiene l’avversario in allerta e il capoeirista sempre in movimento, pronto a scattare in qualsiasi direzione. La ginga non è solo una tecnica, ma un simbolo della mentalità del capoeirista: mai fermarsi, mai restare fermi in un punto, sempre pronti a cambiare ritmo e strategia.

Ma la capoeira non era solo difesa. Era anche un grido di identità e di resistenza culturale. Ogni canzone cantata nella roda raccontava le sofferenze e le speranze di un popolo in cerca di libertà. I testi parlavano di eroi ribelli, di fughe coraggiose e di sfide al potere. Il canto non era solo un elemento di accompagnamento, ma un atto politico.

La criminalizzazione della capoeira e il suo ritorno in superficie

Con l’abolizione della schiavitù in Brasile nel 1888, la capoeira non scomparve. Anzi, continuò a prosperare nei quartieri più poveri, specialmente a Salvador de Bahia e Rio de Janeiro, diventando una forma di lotta contro la nuova oppressione sociale. Ma questa volta, la lotta non era più nascosta. I governi brasiliani iniziarono a vedere la capoeira come una minaccia sociale.

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Nel 1890, la capoeira venne criminalizzata. Praticare la capoeira divenne reato. I praticanti venivano arrestati e imprigionati, spesso marchiati a fuoco come criminali. Le leggende raccontano di maestri di capoeira che usavano pseudonimi e soprannomi per proteggere la loro identità e continuare a insegnare l’arte clandestinamente. Nasce così la tradizione di assegnare nomi simbolici ai capoeiristi, pratica che esiste ancora oggi.

Il XX secolo vide la rinascita della capoeira. Due maestri divennero i simboli della sua risurrezione:

  • Mestre Bimba (Manoel dos Reis Machado) fondò la prima scuola ufficiale di capoeira nel 1932, a Salvador de Bahia. Bimba creò uno stile più dinamico e combattivo, chiamato Capoeira Regional, che enfatizzava i colpi di gamba alti e gli schemi di allenamento formale.
  • Mestre Pastinha (Vicente Ferreira Pastinha) divenne il più grande difensore della Capoeira Angola, la forma più tradizionale, lenta e vicina ai movimenti originari degli schiavi africani. Con lui, la capoeira tornò ad essere riconosciuta come patrimonio culturale e spirituale.

Le loro scuole segnarono la legittimazione della capoeira agli occhi della società brasiliana, trasformandola da “arte dei criminali” a simbolo di orgoglio nazionale.

Oggi la capoeira non è solo brasiliana: è un’arte globale. Da New York a Tokyo, da Londra a Johannesburg, scuole di capoeira (chiamate “academias”) insegnano questa forma di lotta-danza a milioni di praticanti. I “mestres” viaggiano per il mondo, organizzano eventi e competizioni, diffondendo la cultura afro-brasiliana ovunque.

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Ma la capoeira è ancora più di questo. È uno strumento educativo. In molte scuole e progetti sociali, la capoeira viene insegnata ai giovani per sviluppare disciplina, forza mentale e fiducia in se stessi. La pratica regolare migliora la forza fisica, la flessibilità e la concentrazione mentale, trasformandosi in un’esperienza olistica.

Dai campi di lavoro forzato ai quartieri di Salvador de Bahia, fino ai moderni palchi internazionali, la capoeira ha trasformato il dolore in arte, la paura in forza, la sottomissione in libertà. Insegna a muoversi costantemente, a essere sempre pronti a cambiare passo e ad affrontare gli imprevisti con grazia e agilità. Nella ginga, non c’è staticità, c’è sempre dinamismo.

Perché chi impara a muoversi in una roda, impara a muoversi nel mondo, insegnano i mestres.


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