Riccardo Bottazzo

Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews. Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume. Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.
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Pamir, la guerra civile che mina la dittatura in Tajikistan

Pamir, la guerra civile che mina la dittatura in Tajikistan

di Riccardo Bottazzo Nel leggere i comunicati diffusi dal ministero della guerra tajiko, nel Pamir sarebbero in atto solo delle “scaramucce tra l’esercito regolare e bande di trafficanti di droga”. Sempre secondo questi comunicati, che la maggior parte dei media occidentali ha ripreso pari pari e senza nessuna verifica - a dimostrazione dell’interesse praticamente nullo che tanto l’Europa che gli Usa nutrono per questo angolo di mondo -, si sarebbero registrati non più di venti morti dall’inizio di agosto ad oggi, equamente divisi tra militari e narcotrafficanti. Fatto sta che queste cosiddette “scaramucce” sono tuttora in atto e, anzi, si…
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Le morti dei profughi afgani che non interessano ai media

Le morti dei profughi afgani che non interessano ai media

di Riccardo Bottazzo Venezia - E’ successo ancora. E anche questa volta era un profugo fuggito dall’Afghanistan. Lo ha trovato un camionista bulgaro. Il cadavere era rannicchiato dentro il portellone posteriore del suo autoarticolato, in fondo alla stiva del traghetto greco Kriti II salpato da Igoumenitsa. Aveva 23 anni. E anche lui, secondo il referto del medico del porto di Venezia, è morto per soffocamento. Proprio come Alì, poco più di un mese fa. Anche lui morto asfissiato in fondo alla stiva, dentro il cassone del tir dove si era nascosto. Aveva la testa infilata in un sacchetto di plastica.…
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Uganda, i rinoceronti scappati al massacro del tiranno

Uganda, i rinoceronti scappati al massacro del tiranno

testo e foto di Riccardo Bottazzo Kampala - L’ultimo rinoceronte dell’Uganda fu abbattuto nell’estate del ’78. Non fu un safari ad ucciderlo e neppure dei cacciatori tribali. Non furono neppure quei bracconieri che hanno contribuito non poco alla quasi scomparsa della specie. Non toccò a loro sparare l’ultimo colpo. Furono i soldati dell’esercito ugandese a mitragliarlo dopo averlo scovato e rincorso a bordo di un elicottero militare. Chi crede, o finge di credere, che la caccia sia uno sport, magari inorridirà pure nel leggere che in Uganda i rinoceronti venivano cacciati dall’esercito regolare come se si trattasse di azioni di…
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Rwanda, 18 anni dopo il genocidio

Rwanda, 18 anni dopo il genocidio

Testo e foto di Riccardo Bottazzo La primavera in Rwanda si tinge di viola. E’ il colore del lutto. E’ il colore del genocidio a colpi di machete che 18 anni fa, nell’aprile del ’94, insanguinava il Paese delle Mille Colline. Torrenti di sangue trascinavano a valle i corpi macellati dei tutsi, sino al lago Vittoria dove si impigliavano nelle reti dei pescatori. Oggi le tracce delle fosse comuni scavate sulle sponde ugandesi del lago da cui nasce il Nilo, culla di civiltà, sono state cancellate per non turbare le coscienze dei turisti che non riuscivano a dare un senso…
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