Trenta anni dalla morte di Bob Marley: cosa ne è stato del suo messaggio?

L’11 maggio del 1981, a Miami, moriva Robert Nesta Marley, meglio conosciuto come Bob Marley, un nome che non ha bisogno di molte presentazioni.

Si dice “Bob Marley” e si pensa immediatamente al reggae e al rastafarianesimo. Ma Bob Marley significa, anche e soprattutto, lotta per l’emancipazione degli oppressi, per l’identità culturale delle minoranze e contro il sistema del mondo bianco. Famoso in tutto il mondo e punto di riferimento per le popolazioni africane messe in ginocchio dalla colonizzazione, è stato tuttavia esiliato dalla sua Giamaica, che lo ha incensato solo post mortem.

Nato a Nine Mile (Giamaica) il 6 febbraio 1945, da padre britannico e madre giamaicana, Robert Nesta Marley fa presto conoscenza con il sapore amaro della discriminazione razziale, a causa delle sue origini miste, ed entra in contatto con il degrado e la disperazione dei sobborghi della capitale giamaicana, Kingstone. È nel ghetto di Trenchtown, dove vive con la madre dopo la fuga del padre, che Bob coltiva la propria ribellione.

Bob Marley inizia la sua carriera musicale nel 1964 con la band The Wailers. La Giamaica ha da poco ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna, ma la qualità della vita non migliora: nei sobborghi i rude boys, i giovani afro-caraibici, vivono ai margini della società e manifestano il loro dissenso verso il sistema attraverso il rifiuto del lavoro, vivendo di espedienti e compiendo crimini e bravate provocatorie. È a questi giovani sradicati che Bob Marley si rivolge, usando come veicolo del proprio messaggio il genere reggae, risultato dell’unione dello ska giamaicano e con la musica e la cultura degli schiavi africani giunti sull’isola durante la colonizzazione inglese.

Grazie alla popolarità di Bob Marley, negli anni Settata il reggae si diffonde a livello internazionale, soprattutto tra le minoranze oppresse, e diventa simbolo del rastafarianesimo, al quale il cantante giamaicano si è convertito nel 1967.

Bob canta l’odio verso la cultura imposta dal sistema e verso Babilonia, “l’inferno in terra”, ossia verso il mondo occidentale bianco, la società oppressiva che viene contrapposta alla terra madre, l’Etiopia, che un giorno accoglierà la gente di Jah (il Dio rasta). Impegno contro l’oppressione politica e razziale e unificazione di tutti i popoli di colore per raggiungere libertà ed equità dei diritti: questi i temi tradotti in musica dal cantante, che non manca di impegnarsi anche politicamente.

Negli anni Settanta la Giamaica conosce un’escalation di violenza che ha come protagonisti i sostenitori del Primo Ministro Michael Norman Manley, leader del Partito Popolare Nazionale, e del capo dell’opposizione Edward Seaga, guida del Partito Laburista Giamaicano. Nel 1976 Manley organizza un concerto, “Smile Jamaica”, per attenuare il clima da guerra civile in cui si stanno svolgendo le elezioni politiche. Sul palco è prevista anche la presenza di Bob Marley, ma due giorni prima dell’evento lui e la moglie subiscono un attentato in cui il cantante resta ferito. Poco tempo dopo Bob lascia il Paese, che sembra avergli voltato le spalle, e si trasferisce in Inghilterra.

Bob fa ritorno in Giamaica in occasione dello “One Love Peace Concert”, che similmente al concerto di due anni prima cerca di sedare lo scontro tra le fazioni politiche rivali. Su richiesta del cantante, Manley e Seaga salgono sul palco e si stringono la mano. L’efficacia del suo messaggio non basta, però, a garantire a Marley una sicurezza tale da ristabilirsi in patria, perciò egli decide di trasferirsi a Miami, dove muore di cancro l’11 maggio 1981.

Nello stesso anno, Bob viene insignito, a nome di 500 milioni di africani, della medaglia di pace delle Nazioni Unite e, nel 1980, viene invitato a partecipare alla celebrazione dell’indipendenza dello Zimbabwe.

La Giamaica riconosce i meriti del proprio figlio solo dopo la sua morte: a Bob vengono tributati dei solenni funerali di Stato che radunano centinaia di migliaia di persone, tra i quali il Primo Ministro Saega e il leader dell’opposizione Manley, e la sua casa di infanzia, in cui viene seppellito, viene trasformata di un mausoleo che diviene una vera e propria meta di pellegrinaggio. Un mese dopo la sua morte il cantate viene insignito del Jamaican Order of Merit.

Tuttavia l’isola non sembra aver colto appieno il messaggio del suo “eroe”: dopo la politica di consistenti e ambiziose riforme sociali dei primi due mandati (1972 – 1980), Manley ha progressivamente abbandonato la linea socialista di ispirazione cubana per incentivare il settore privato. Le cose non sono migliorate con i governi successivi: la popolazione non ha cessato di emigrare e l’economia è tutt’ora ben lontana dal decollare.

Valentina Severin


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