Spagna, vietato resistere: arriva il reato di “non violenza”?

di Federica Marsi

Foto: El Paìs

La resistenza passiva, o resistenza non-violenta, come amava chiamarla Gandhi, diventa reato sotto il regno di Juan Carlos. Il ministro degli interni spagnolo José Fernandez Diaz ha annunciato l’introduzione della resistenza passiva come “attentato contro l’autorità”, che comporterebbe l’equiparazione di un pacifico sit-in ad un attacco violento contro le forze dell’ordine. Il risultato è l’imputabilità per aggressione di tutte le persone che parteciperanno a proteste che non abbiano ricevuto un previo permesso da parte della presidenza del governo. Non solo, nel mirino del governo Rajoy ci sono anche internet e i social network. Convocare via web manifestazioni ritenute capaci di “alterare gravemente l’ordine pubblico” o pubblicizzare eventi non autorizzati o ancora in atto nonostante la richiesta di sgombero da parte della polizia, sarà da considerarsi reato di organizzazione criminale, punibile con pene fino a 4 anni di carcere.

Secondo quanto riportato dal quotidiano Publico e dall’agenzia Europe Press, Diaz ha parlato di misura necessaria per contrastare una “spirale di violenza” messa in atto da “collettivi anti-sistema” che si servono di “tecniche di guerriglia urbana”. Il riferimento è chiaramente alle numerose proteste che hanno scosso la Spagna, a partire da quella del 15 maggio 2011, che ha segnato l’inizio del movimento M-15, meglio conosciuto come “rivoluzione spagnola” o movimento degli “Indignados”.

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A portare in piazza i manifestanti è la volontà di vedere un cambiamento reale nella politica spagnola che, denunciano, non rappresenta più i cittadini e che non sembra fare più nulla per favorirli. La Spagna sta ancora pagando le conseguenze della crisi economica del 2008-2009, giudicata dai manifestanti frutto del salvataggio governativo del sistema bancario e del suo ribilanciamento con un programma sociale di tagli. La disoccupazione ha raggiunto uno dei tassi più alti d’Europa (21,3%), mentre quello di disoccupazione giovanile ha raggiunto il livello record del 43,5% dall’inizio della crisi economica. Per ridurlo, il governo Rajoy ha approvato una riforma del lavoro che prevede maggiori sgravi fiscali per l’assunzione di giovani e lavoratori oltre i 45 anni recentemente usciti dal mercato del lavoro, ma anche indennizzi minori, una maggiore flessibilità nel lavoro, che include l’abolizione della possibilità di estendere i contratti a tempo determinato oltre i 24 mesi, e la possibilità di licenziare più facilmente per le imprese con alle spalle almeno tre mesi di perdite.

Le proteste degli Indignados sono state accompagnate da episodi di guerriglia urbana e repressione violenta da parte delle autorità, che spesso hanno utilizzato proiettili di gomma ad altezza d’uomo, colpendo i manifestanti indiscriminatamente. Durante lo sciopero generale tenutosi a Barcellona lo scorso 29 marzo, vigilia dell’approvazione della nuova finanziaria, sono state ferite 116 persone, tra cui un bambino. Uno scenario simile si è verificato a Valencia il 15 marzo, in occasione della manifestazione studentesca.

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I numeri dei manifestanti preoccupano il governo, che è dovuto correre ai ripari. Il 19 febbraio, il movimento degli Indignados ha mobilitato 1,5 milioni di persone in 57 città spagnole, in quella che è risultata essere la più grande manifestazione di massa degli ultimi anni. David Bondia, professore di Diritto internazionale all’Università di Barcellona e direttore dell’Istituto per i diritti umani della Catalogna, ha denunciato il ritorno da parte del governo a quelle misure repressive adottate negli anni ’90 per combattere il terrorismo basco. La restrizione applicata al web, potente strumento di aggregazione durante le proteste, è secondo Bondia una “norma eventualmente inapplicabile, oltre che ingiusta”, perché porterebbe all’arresto di centinaia di migliaia di persone che usano internet come strumento di condivisione e di scambio.

La valutazione finale di Bondia non è confortante, per la Spagna ma anche per il presente e il futuro degli altri paesi dell’eurozona: “Oltre ai tagli di bilancio, in questo paese si stanno tagliando i diritti civili, cosa ben più grave. Si stanno minando le basi della nostra democrazia, rischiando di tornare indietro di 50 anni”.


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