“La marina italiana ci ha rubato tutto”, il racconto dei profughi siriani

Yasmin (nome di fantasia) è una madre di quattro figli dai 2 ai 12 anni. Assieme al marito, sono due dei trenta rifugiati di guerra siriani che hanno presentato denuncia alla polizia per un presunto furto di preziosi e contanti avvenuto ai loro danni durante l’intervento di soccorso della Marina Militare italiana.

In 95 erano stati soccorsi a 30 miglia a Sud-Ovest di Lampedusa la sera del 25 ottobre dalla Chimera, corvetta della Marina Militare operativa nel Mar Meditteraneo. Le denunce dei migranti riguardo la sparizione di oggetti preziosi, dollari ed euro, hanno fatto scattare due inchieste conoscitive, una della procura militare e una della procura ordinaria di Agrigento, senza al momento indagati. Questa la testimonianza di Yasmin.

di Shadi Fahle

 Ci trovavamo sulla barca, in mezzo al mare e nel freddo buio autunnale, e ci mancava circa un’ora e mezza per arrivare a Lampedusa. Ad un certo punto finì la benzina. C’era uno con il satellitare che si approntò a contattare la Croce Rossa. Dopo dieci minuti, forse un quarto d’ora, vedemmo invece arrivare una nave militare. Iniziò a girarci intorno e ad esaminare la barca. Ci appellammo affinché ci aiutassero perché i nostri bambini continuavano a piangere ininterrottamente. Eravamo fermi ma le onde inclinavano la nostra barca che stava quasi per affondare.

Si avvicinarono e ci dissero di far scendere anzitutto le donne e i bambini. Mi fecero scendere con due dei miei bambini, mentre gli altri due rimasero con il padre. Dopo essere scesi ci separarono dai nostri bambini mentre a noi donne iniziarono a perquisirci accuratamente. Alcune di noi avevano nascosto i propri beni preziosi nel reggiseno, altre nelle mutande. Li sequestrarono. C’era gente che aveva i soldi cuciti all’interno della propria biancheria intima. Sequestrarono tutto. L’oro, gli euro, i dollari e i cellulari.

Iniziammo ad agitarci. “Vogliamo i nostri soldi” continuavamo a ripetergli. Loro provavano a rassicurarci dicendoci “mettiamo a ciascuno, in un sacchetto numerato unico. tutte le proprie cose e ve lo riconsegniamo appena scesi” oppure “queste sono le normali disposizioni”.

Io avevo cucito all’interno della mia biancheria intima oltre 5.000 euro. Me la fecero scucire. Un collega della soldatessa che mi stava perquisendo le chiese con insistenza se mi aveva sequestrato tutto.

Io chiesi più volte come avrei potuto recuperare i miei effetti personali, facendogli presente che era l’unica nostra possibilità per riuscire ad arrivare a destinazione. Mi rispondevano ogni volta che ci sarebbero stati riconsegnati alla nostra discesa.

Dopo di noi toccò la perquisizione degli uomini, che furono trattati male come noi. Ci divisero da loro e ci vietarono in tutti di modi di poterli vedere.

Iniziarono ad afferrare e sollevare i bambini per farli entrare in bagno in una maniera tale che non potessimo accorgerci se li stavano toccando per cercare soldi nascosti tra i vestiti. Nel frattempo ci portarono dei biscotti e ci fecero coprire.

Chiesi all’interprete in borghese quanto ci voleva ad arrivare a Lampedusa. Altre donne fecero la stessa domanda e la risposta era sempre la stessa “Arriviamo tra un’ora e mezza”.

Dopo un po’ i militari riferirono all’altoparlante che il tragitto era stato modificato e che ora l’imbarcazione si stava dirigendo verso la Sicilia.

Tutti noi ci meravigliammo, non sapendo se gioire o meno. Chiesi ad uno di nome Omar cosa stava succedendo. Mi rispose che ci sarebbero volute dieci ore per arrivare a destinazione.

Iniziai ad agitarmi e feci venire l’interprete. Mi lamentavo con lui che mi aveva appena detto che si trattava di un’ora e mezza.

Lui cambio le sue parole e mi rispose che Lampedusa era molto lontana e per questo ci stavano portando in Sicilia, dove ci volevano dieci ore per arrivare.

Gli chiesi se avremmo dovuto dormire li sulla nave. Annuì. I due miei figli che erano con me iniziarono a piangere. Volevano loro padre. Ogni tanto per tranquillizzarci ci dicevano che stava bene.

La mia agitazione non si placò. Ero preoccupata per i soldi e gli ori.

Andavano e tornavano per dirci “Adesso, adesso, quando scendete dall’imbarcazione, tutti quanti riavrete il vostro sacchetto, ognuno con il proprio numero di registrazione che vi abbiamo assegnato”

Tante donne andarono avanti a chieder di poter vedere i propri mariti, richieste mai accolte.

Il mattino seguente eravamo arrivati in Sicilia (a Porto Empedocle, nda).

Fecero scendere per prima le donne, incinte o non, e i bambini. Nessuno di noi aveva ancora potuto rivedere il marito, in modo che non potessimo raccontargli che i nostri soldi erano stati presi dall’interno dei nostri reggiseni e slip.

Continuavamo a reclamare i nostri beni ma ci invitarono a rilassarci e a mangiare.

Mentre stavamo mangiando ci dissero che erano arrivate le nostre cose e di alzarci per andare a prenderle. Aprimmo i sacchetti e non c’erano i soldi. C’era un po’ di oro mentre c’erano tutti i documenti e i cellulari. Avevamo avvolto i nostri cellulari con della plastica per evitare che si bagnassero. Avevano strappato l’involucro di plastica e l’avevano buttato nel sacchetto. Ci avevano lasciato i soldi siriani e libici, mentre i dollari e gli euro erano scomparsi. Abbiamo fatto due conti: in tutta la nostra imbarcazione sono spariti 64 mila euro e 25 mila dollari circa. Io stessa mi son vista sparire 4,300 dollari e 1,500 euro, eccetto quelli che aveva mio marito. Una famiglia da sola ha perso 15 mila euro. Andammo a denunciare l’accaduto al centro di polizia e poi ci lasciarono in un piccolo albergo. Ci fu detto che saremmo stati aiutati con cibo e vestiti, che chi voleva andare poteva farlo, che era stata aperta un’inchiesta., che sarebbero stati catturati i colpevoli e che gli sarebbero stati rimossi i gradi.

Chiedevamo se c’era qualche associazione o gruppo che ci poteva dare una mano. Venivano e andavano giornalisti e noi rimanevano li fermi. Alla fine ci stancammo e lasciammo quel posto.

La interrompe il marito Omar che prosegue nel racconto.

«Tutto ci saremmo aspettati tranne che l’esercito italiano si comportasse da ladro. Questo è l’esercito di Ali Baba. Come può rubare a noi profughi? Mentre ci perquisivano eravamo costretti a volgere lo sguardo verso il mare. Chi si girava veniva ripreso e gli veniva intimato di rigirarsi immediatamente. Non è possibile che l’esercito italiano possa fare qualcosa del genere. Abbiamo lasciato la Siria dove l’esercito ci uccide per arrivare nell’Europa dei diritti umani e farci derubare dall’esercito italiano?

Noi abbiamo venduto la nostra casa, abbiamo venduto tutti i nostri averi e ora siamo stati derubati. Siamo venuti con tutti i nostri risparmi in modo da non aver bisogno di chiedere aiuto. Molti di noi hanno venduto tutto e ora si ritrovano senza niente. E’ possibile che vengano rubati 64 mila euro tra tutti i profughi? La gente non ha più i soldi per comprarsi da mangiare. Ci hanno fatto vedere le foto e abbiamo riconosciuto i volti di chi ci ha fatto sparire i nostri averi. Questo è l’esercito di Ali Baba».


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