Libia, la situazione dopo Roma

di Alessandro Pagano Dritto

(Twitter: @paganodritto)

 

Il vertice internazionale tenutosi a Roma il 13 dicembre 2015 ha sancito la definitiva scomunica degli accordi di pace alternativi che, al di fuori della mediazione delle Nazioni Unite, si sono avviati a Tunisi lo scorso 5 dicembre; ma a livello di contenuti, poco di nuovo è stato detto che non fosse già risultato negli incontri precedenti. Nel frattempo incombe la data del 16 dicembre e dei nuovi possibili accordi – internazionalmente mediati – di Skhirat; appuntamento al quale Tobruk potrebbe presentarsi con un’opzione in più.

 

 

Il 13 ottobre 2015 si è tenuto a Roma un vertice internazionale sulla Libia presieduto dal Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, dal Segretario di Stato statunitense John Kerry e dall’inviato in Libia delle Nazioni Unite Martin Kobler. Come lo stesso comunicato ufficiale conclusivo conferma, vi hanno preso parte Algeria, Arabia Saudita, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giordania, Italia, Marocco, Qatar, Regno Unito, Russia, Spagna, Stati Uniti, Tunisia, Turchia come singole entità nazionali, Unione Europea, Nazioni Unite, Lega degli Stati Arabi e Unione Africana come organismi sovranazionali.

Non pare, in verità, che l’osservatore di cose libiche troverà molte novità rispetto a quanto emerso nei recenti vertici precedenti: la data del 16 dicembre come giorno della firma dell’accordo, la retorica – sia qui detto in termine strettamente tecnico di formula concettuale adottata – dell’urgenza della firma in ragione della presenza dello Stato Islamico e di altre formazioni terroristiche nel paese, la volontà specialmente italiana di agire nel quadro del beneplacito delle Nazioni Unite e di una richiesta del governo unitario. Tutto questo, che non rappresenta appunto nulla di veramente inedito, è stato detto e ribadito a Roma.

 

 

Tripoli, una capitale contesa.

La sorpresa forse maggiore ha riguardato la prospettiva di un veloce insediamento del nuovo governo unitario nel posto che obiettivamente gli spetterebbe: la Capitale Tripoli. Nemmeno questo è in realtà un argomento inedito, ma le testimonianze provenienti il 10 e l’11 dicembre dal secondo vertice di Tunisi, quello cioè mediato dalle Nazioni Unite, avevano dato la sensazione che a questa questione, e quelle collegate della sicurezza e dell’organizzazione militare, non sarebbe stata data una prontissima risposta.

Invece John Kerry ha rivelato in conferenza stampa, pur chiarendo di non poter rivelare dettagli in proposito, che un piano per far sì che il governo unitario si insedi a Tripoli è attualmente in corso di elaborazione negli ambienti della United Nations Support Mission in Libya (Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL). In generale si prospetta che dopo l’accordo del 16 dicembre, se verrà firmato, ci vorranno una quarantina di giorni perché il governo di unità nazionale diventi effettivamente operativo: quindi se ne dovrebbe parlare all’incirca per la fine di gennaio o gli inizi di febbraio 2016.

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Si ricorderà qui che Kobler, parlando al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso 11 dicembre, si era esplicitamente rivolto al General National Council (Consiglio Generale Nazionale, GNC) di Tripoli chiedendo alle autorità occidentali di garantire a lui e all’intera UNSMIL la libera circolazione e la piena libertà d’azione nel proprio territorio. Il punto, che pare intuibile, è proprio quello di convincere le milizie dipendenti dalla fazione del parlamento tripolino ostile alla mediazione internazionale a non contrastare, ma anzi a proteggere, il nuovo esecutivo unitario e ad accettare allo stesso tempo il dissolvimento della propria camera di riferimento nel nuovo legislativo e l’arrivo da oriente dei rappresentanti politici orientali; se non persino la collaborazione con le gerarchie e le unità militari la cui ostilità costituisce senz’altro l’elemento fondante dell’originaria coalizione militare della Libia occidentale nota col nome di Libya Dawn. Kobler dovrà insomma provare a convincere di questo i più influenti comandanti militari dell’Ovest e le loro rappresentanze politiche in seno al parlamento.

Un recente punto della situazione firmato da Patrick Markey e Ahmed Elumani per la Reuters conta nella Capitale «almeno sette brigate armate […] sotto il controllo semi ufficiale dei ministeri della difesa e dell’interno, alcune delle quali sostengono l’accordo delle Nazioni Unite mentre atre, alleate ai leader politici, invece vi si oppongono». Un non meglio identificato «diplomatico occidentale» dice agli autori del pezzo che «non sappiamo quante milizie risponderanno [all’appello delle Nazioni Unite] e se lasceranno che il governo si insedi a Tripoli».

Quanto la Capitale sia in animo di accettare il dialogo delle Nazioni Unite, non sembra dunque facile misurarlo. Un comunicato dello stesso 13 dicembre dice che, parallelamente quindi al vertice di Roma, la Commissione Politica del GNC si riuniva per valutare il da farsi nella strada del dialogo alternativo, che quindi non sembra essere stata abbandonata nonostante l’ormai assodata delegittimazione internazionale. Quando gli attori politici riunitisi nella Capitale europea sottolineavano, poi, che in entrambi i parlamenti le maggioranze erano a favore della mediazione delle Nazioni Unite, dicevano forse sì una verità per Tobruk, ma al contempo anche un’affermazione tutta da verificare per Tripoli: l’11 dicembre 2015, infatti, 82 componenti del legislativo tripolitano esprimevano il proprio favore nei confronti del dialogo non mediato dalle Nazioni Unite. Esperti di questioni libiche stimano i numeri dei parlamentari tripolini in circa 130, al pari – si può aggiungere – di quelli della rivale House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR). Il già citato resoconto della Reuters chiarisce: «ognuno dei parlamenti da 200 membri ha un numero di deputati che hanno boicottato le loro camere sin dalla loro elezione, rendendo difficile valutare una maggioranza».

 

Il GNC che partecipa al dialogo internazionale e quello che invece lo rifiuta.

In ogni caso dalla conferenza romana è risultato che chi ancora si ostinerà a rifiutare la mediazione internazionale

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Awad Abdel Sadeq, vice presidente del GNC di Tripoli. Cofirmatario degli accordi alternativi di Tripoli del 5 dicembre 2015, era stato indicato dal presidente Nuri Abu Sahmain come l'unico possibile inviato riconosciuto alla conferenza di Roma del 13 dicembre. (Fonte: www.osservatorioitaliano.org)
Awad Abdel Sadeq, vice presidente del GNC di Tripoli. Cofirmatario degli accordi alternativi di Tunisi del 5 dicembre 2015, era stato indicato dal suo presidente Nuri Abu Sahmain come l’unico possibile inviato riconosciuto alla conferenza internazionale di Roma del 13 dicembre. (Fonte: www.osservatorioitaliano.org)

nel percorso di pacificazione sarà oggetto di sanzioni e sarà tenuto al di fuori di ogni rapporto istituzionale ufficiale: non di meno potrà essere accolto in qualsiasi momento dovesse cambiare idea.

Un’isolamento che per il GNC e Tripoli in parte è sempre esistito al di fuori della partecipazione al dialogo e di pochissime, sporadiche, ma comunque mai totali, eccezioni nazionali; un po’ è stato confermato anche a Roma. In modo particolare, però; nel senso che gli elementi di quel parlamento presenti a Roma sono stati sconfessati dalle autorità di Tripoli, mentre l’unico rappresentante legittimato da Tripoli a partecipare al vertice non risulta essere stato presente o ufficialmente accolto. Considerando che tanto il presidente Nuri Abu Sahmain quanto il suo vice e deputato al dialogo Awad Abdel Sadeq sono favorevoli al dialogo estraneo alla mediazione delle Nazioni Unite, si è venuta a creare la paradossale situazione per cui la comunità internazionale dichiara di parlare anche al GNC mentre il GNC dichiara di non essere partecipe di questa interlocuzione.

 

Dentro la HOR. L’«iniziativa del Fezzan»: un’adesione non incondizionata al negoziato internazionale?

 

Mentre a Tripoli sembra procedersi imperterriti sulla strada del dialogo alternativo, la situazione a Tobruk sembra essere diversa: ma anche qui la parola delle Nazioni Unite non viene in realtà accolta nella sua interezza.

A Tobruk la questione non verte infatti, per la maggioranza del parlamento, nell’accettare oppure no la mediazione

Mohamed Shuaib, vice presidente della HOR e volto principale della fazione favorevole alla mediazione delle Nazioni Unite. (Fonte: www.libyaprospect.com)
Mohamed Shuaib, vice presidente della HOR e volto principale della fazione favorevole alla mediazione delle Nazioni Unite. (Fonte: www.libyaprospect.com)

internazionale: ma nel modo in cui accettarla. La mozione dei 92 – nota anche nella stampa libica come «iniziativa del Fezzan», dal momento che proprio dalla regione meridionale della Libia sembrano provenire i suoi promotori – stabilisce infatti che la mediazione delle Nazioni Unite venga pienamente accettata ma a patto, però, di una «obiezione ufficiale agli articoli aggiuntivi con i quali il governo unitario gestisce le alte cariche, di sicurezza e militari» (Art. 3). Non dunque l’esecutivo nominato dalle Nazioni Unite, verrebbe ad occuparsi di queste cariche, bensì – presumibile deduzione – il futuro parlamento. All’esecutivo verrebbe comunque lasciata la nomina dei ministri, come si legge nell’articolo 1 della mozione stessa.

Citando il vice presidente della HOR Ismael Bashir, il Libya Prospect suggerisce che proprio questa mozione potrebbe entrare a far parte dell’accordo che dovrà essere firmato il 16 dicembre nella città marocchina di Skhirat, la stessa nella quale in luglio si era avuta una prima firma disertata però dal GNC e quindi mai resa effettiva. L’affermazione – si deve però notare – cozza con quella di Martin Kobler, il quale ha dichiarato in occasione del vertice di Tunisi che l’accordo da firmare non sarebbe stato modificato: toccarlo sarebbe stato come aprire «il vaso di Pandora». Questione, anche questa dell’iniziativa del Fezzan, che rimane però da chiarire, se è vero quanto sostiene il parlamentare della HOR Abdullah al Zghaid, che, intervistato da Khaled Mahmud di Correspondents, ha così motivato la mancata adozione dell’iniziativa stessa: «la carta interna del parlamento dice che qualsiasi programma o progetto deve essere presentato perché venga discusso in parlamento e questa iniziativa non è stata presentata ufficialmente né inserita nel programma delle sedute [or.: «del parlamento»]».

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In ogni caso sembra possibile intuire che la mozione dei 92 possa essere un mezzo in mano alla HOR per non limitarsi a ratificare passivamente un accordo composto dalle Nazioni Unite e al contempo per poter rivendicare un proprio ruolo ben definito negli accordi di pace. Se infatti il 16 la dirigenza del GNC non si presentasse a Skhirat e alla HOR riuscisse di firmare con i rappresentanti sconfessati del parlamento rivale un accordo nel quale fosse inserita una sua stessa mozione che confermasse i vertici civili e militari esistenti; se avvenisse dunque tutto questo, le autorità di Tobruk riuscirebbero a incassare nello stesso giorno la vicinanza internazionale, la possibile definitiva frattura del GNC, la delegittimazione internazionale dell’attuale dirigenza del parlamento rivale, il supporto per un pronto ritorno a Tripoli in veste di governo unitario e l’immagine di chi, nonostante la tutela legittimante delle Nazioni Unite, è comunque riuscito a conservare un proprio margine di autonomia.

 

P.s.: mentre l’articolo era in bozza, fonti ben informate hanno comunicato che il vertice di Skhirat potrebbe essere spostato a giovedì 17 dicembre.

 

Altre fonti avevano inoltre sostenuto che un numero di attori politici – e non solo in senso stretto – della Libia orientale avrebbe invece deciso di non presentarsi agli accordi.

 


Profilo dell'autore

Alessandro Pagano Dritto
Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.

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