Yasuni, la via ecologica dell’Ecuador: rinunciare al greggio per salvare la foresta

di Emilio Garofalo

In Ecuador, nell’area coperta dal verde manto della foresta amazzonica, si estende il parco dello Yasuni. Un paradiso in terra, vasto più di 900 chilometri quadrati. L’Unesco nel 1989 l’ha dichiarato “riserva della biosfera”. La qualifica dell’organizzazione mondiale è stata assegnata per salvaguardare, in quel piccolo, grande lembo di terra, la conservazione dell’ecosistema e per garantire una corretta gestione della riserva territoriale.

Sepolta sotto la terra dello Yasuni giace una fortuna da 14miliardi di dollari: l’oro nero, il petrolio presente nelle viscere ecuadoregne, consentirebbe al governo di esportare centinaia di milioni di barili di greggio. L’utile sarebbe assicurato, ma al contempo anche una notevole perdita dal punto di vista ambientale. Le trivellazioni causerebbero, infatti, l’emissione di circa 400milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera. Una rasoiata mortale sulla pelle delicata dell’equilibrio ambientale dell’area che ospita una flora multi variegata e centinaia di specie di volatili, oltre ad essere la riserva in cui vivono i nativi amerindi Huaorani.

Per preservare la verginità di questo mondo incantato, dalle stanze del palazzo di Governo di Quito fanno sapere dell’esistenza di un progetto, fortemente voluto dalla leadership politica, per uno sviluppo ecosostenibile. Il piano di intenti, denominato “Yasuni-ITT”, prevede di rinunciare all’estrazione petrolifera in cambio di una controprestazione di natura economica da parte della comunità internazionale. Il primo mondo dovrà garantire un guadagno di circa 3.600milioni di dollari all’Ecuador.

Il presidente della Repubblica Correa promette che, ricevendo quanto richiesto nell’arco di 12 anni, la sua nazione potrà mantenere lo Yasuni incontaminato. In caso contrario, in assenza di garanzie e risposte dai paesi capitalisti, questo rivoluzionario piano di salvaguardia ambientale potrebbe presto essere abbandonato.

A seguito dell’annuncio di Correa, l’Onu ha istituito uno speciale fondo, gestito dalla responsabile Ivonne Baki, dove i Paesi aderenti possono depositare i loro crediti. L’Italia si è schierata in prima linea, attraverso un condono di 35 milioni di dollari in favore della repubblica sudamericana.

La garanzia finanziaria richiesta dal governo socialista dell’Ecuador ha, naturalmente, delle scadenze. Dovrà pervenire un sostegno economico di circa 100 milioni di dollari entro dicembre 2011. Nonostante la natura encomiabile degli obiettivi, sul piano di salvataggio dello Yasuni stanno piovendo aspre critiche. Mittente principale delle polemiche, la Germania.

I tedeschi, dopo aver invertito la rotta del sostegno e dell’entusiasmo, si lamentano ora dei costi eccessivi e polemizzano anche contro quegli Stati che, noncuranti del collasso finanziario dovuto alla crisi economica mondiale, hanno scelto di inviare i loro fondi all’Ecuador.

E’ proprio la diffidenza della comunità internazionale ad alimentare dubbi circa la possibilità che lo Yasuni possa effettivamente essere salvato, nonostante, in patria, la stessa popolazione si sia già mobilitata, attraverso una raccolta civica di fondi che ha consentito nuovi utili per oltre 2 milioni di dollari.

Tra chi accusa Correa di essersi creato un alibi ad hoc per giustificare le probabili, imminenti trivellazioni e chi, invece, ancora crede che, la sua, sia un’equa politica di salvaguardia ambientale resta lo Yasuni, piccolo paradiso il cui destino è in mano agli uomini in terra.


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