I ritratti del potere – Muammar Gheddafi

Quarto e ultimo appuntamento con I ritratti del poteredopo le biografie canzonatorie di Ahmadinejad, Sarkozy e Chavez, oggi è la volta dell’ex Raìs.

testo di Valentina Severin – immagini di Andrea Gatti (potete accedere ad altre sue produzioni su agatti.com e digitalportraits.biz)

Muammar Abū Minyar Abd al-Salām al-Qadhdhāfī, per gli amici italiani semplicemente Muammar Gheddafi, è il tanto compianto capo carismatico della Libia, scomparso il 20 ottobre 2011 dopo soli quarantadue anni al potere. Della sua vita privata non si sa molto, a differenza dei figli, mentre è ben nota la sua carriera come guida politica libica.
INFANZIA E ISTRUZIONE– Muammar nasce a Sirte, nella provincia italiana di Misurata, il 7 giugno 1942. Della sua famiglia si solamente che è profondamente islamica. A Sirte Muammar frequenta anche la scuola coranica, dai quattordici ai diciannove anni, dove viene in contatto con le idee panarabe di Gamal Abd el-Nasser, che subito lo affascinano al punto che, una volta al potere, assillerà i vicini di casa per anni con il progetto di un’unione politica tra gli Stati islamici dell’Africa.
Lasciata la scuola cranica, Muammar si iscrive all’Accademia militare di Bendasi. Nel 1966 finisce il corso, vola in Gran Bretagna per specializzarsi e all’età di ventisette anni viene nominato capitano.
IL COLPO DI STATO – Come accade per molti politici, poi divenuti guide insostituibili per il loro Paese, anche a Gheddafi non piace per niente il governo in carica. Muammar critica re Idris I per i suoi rapporti con gli Stati Uniti e con la Francia e decide di mettere fine allo strazio con un bel colpo di stato, il 26 agosto 1969. Una settimana dopo viene proclamata la Repubblica, guidata da un Consiglio del Comando della Rivoluzione composto da dodici militari che la pensano come Muammar: tutti di tendenze panarabe filo-nasseriane.
Intanto, visto che c’è, Gheddafi si autopromuove Colonnello e si mette a capo del Consiglio. In quattro e quattr’otto la neonata repubblica diventa regime, fino a ridursi a dittatura. Di tendenza panaraba filo-nasseriana, ma pur sempre dittatura. Fino al 16 luglio 1972 il Colonnello ricopre ad interim anche la carica di Primo Ministro libico, per poi lasciare il posto ad Abd al-Salām Jallūd.
LA TERZA VIA – Muammar, che ama l’ordine e la pulizia, spazza via la vecchia costituzione e i partiti politici, cambia nome al Paese battezzandolo Jamāhīriyya e, colto dall’ispirazione, si inventa una nuova forma politica. Non si tratta propriamente di una democrazia, perché manca qualche libertà politica e non c’è tutta quella confusione di partiti e schieramenti. Si tratta piuttosto di una terza via, tra comunismo e capitalismo, che cerca di mettere insieme i principi del panarabismo con quelli della socialdemocrazia. Visto che il panettone gli riesce bene, nel 1976 Gheddafi mette tutto per iscritto, prima di dimenticarsi per strada qualche pezzo, nel Libro verde, lontano parente del Libro rosso di Mao Tse-tung.
LA CACCIATA DEGLI STRANIERI – Le pulizie di primavera, però, non finiscono con i partiti e, sventolando la bandiera del nazionalismo arabo e sfoggiando i suoi occhiali da sole alla Micheal Jackson, il colonnello chiude le baracche militari americane e francesi, nazionalizza quasi tutte le proprietà petrolifere straniere e butta fuori di casa italiani ed ebrei – gente che proprio non gli va giù – tenendosi i loro beni come risarcimento per i danni morali subiti. Mentre nel Belpaese il prezzo della benzina aumenta di giorno in giorno a causa delle accise per pagare la guerra in Libia di qualche decennio prima, Gheddafi si costruisce la villa con i soldi dei contributi assistenziali che i coloni italiani hanno versato all’INPS libico.
POLITICA INTERNA – L’espulsione di ebrei e italiani frutta un sacco di soldini al Colonnello che, indeciso se tenerli sotto il materasso o regalarli a qualche banca, alla fine opta per un investimento sicuro: la lotta dell’OLP di Yasser Arafat contro Israele.
Nel 1977, resosi conto di quanto gli abbia fatto guadagnare la mossa dell’incameramento delle proprietà petrolifere straniere, Gheddafi decidere finalmente di spendere qualche soldino anche per la popolazione: fa costruire ospedali, strade, acquedotti e industrie. Scuole no, per l’amor del Cielo! E intanto semina qua e là manifesti, fotografie e ritratti con il suo bel faccione: non sia mai che la gente dimentichi chi è il suo benefattore.
In effetti il Colonnello gode di una certa popolarità tra i suoi sudditi, tanto che può dormire sonni tranquilli e permettersi di rinunciare a ogni carica ufficiale, tenendosi solo l’appellativo onorifico di “Guida e Comandante della Rivoluzione della Grande Jamāhīriyya Araba Libica Popolare”. Tanto basta per restare per quarantadue anni l’unico indiscusso leader del Paese.
AMICI E CONOSCENTI – Sin dall’inizio Gheddafi si dei buoni amici, quasi tutti politici tolleranti e lungimiranti come lui, come Idi Amin Dada e Bokassa. Voci non confermate alludono anche a una simpatia per il combattente palestinese Abu Nidal e la sua organizzazione paramilitare, organizzatori della strage di Fiumicino del 1985. Altri pettegolezzi, invece, vogliono il Colonnello coinvolto nella misteriosa scomparsa in Libia, nel 1978, dell’Imam sciita Musa al-Sadr, fautore di diversi tentativi di riconciliazione con il Libano.
Negli anni Ottanta la cerchia degli amici del Colonnello si allarga e vanta i terroristi dell’IRA irlandese e il Settembre Nero palestinese. Quei pettegoli degli americani lo accusano anche di aver organizzato degli attentati in Sicilia, Scozia e Francia e di aver lanciato due missili SS-1 Scud contro Lampedusa. Gheddafi nega, nega come il più consumato dei mariti fedifraghi, anche perché lui non sbaglia un colpo, mentre quei due missili sono caduti in mezzo all’acqua a due chilometri dalle coste siciliane.
ANTIPATIE E POLITICA ESTERA – I riccioloni del Colonnello, però, non piacciono a tutti e col passare degli anni la cricca della NATO lo emargina sempre di più. Solo l’Italia gli fa l’occhiolino, con Bettino Craxi che gli salva l’uniforme avvertendolo del bombardamento di Ronald Reagan, il 15 aprile 1986. I cattivi rapporti della loro guida ideologica con gli yankee costa ai libici il lungo e pesante embargo.
Prima donna volubile e facile alla noia, il Colonnello, nei primi anni Novanta, decide un ulteriore cambiamento nel ruolo del proprio regime nello scacchiere internazionale: condanna l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990 e sostiene le trattative di pace tra Etiopia ed Eritrea. Finché nei primi anni Duemila non comincia a fare pace con Stati Uniti e Paesi europei.
L’ITALIA – Ma è soprattutto con l’Italia che Gheddafi, forse memore del favore fattogli da Craxi, si riavvicina. Tutto merito del Cavaliere, che lo invita spesso ai propri festini e, quando va in Libia, porta con sé qualche amichetta. Silvio sfoggia le sue “Papi-girls”, ma pure il Colonnello si difende bene, girando con guardie del corpo accessoriate di tacchi a spillo, rossetto e unghie laccate. Il raìs infatti, che precorre i tempi, ritiene che l’emancipazione femminile passi dall’esercito e si sceglie come protettrici delle amazzoni, tutte rigorosamente vergini e dotate di occhiale da sole.
MATRIMONI – Nel corso della sua gloriosa vita da leader carismatico, Gheddafi si è sposato solo due volte. La prima nel 1969, con Fatiha, insegnante mai vista prima del matrimonio, per non guastare la sorpresa, dalla quale ha un solo figlio: Muhammad (1971). Però il Colonnello si stanca presto e dopo sei mesi si separa per sposare una ex infermiera di origini ungheresi, Safia Farkash, conosciuta in Bosnia. Dal secondo, più fortunato matrimonio, nascono Sayf al-Islam (1972), al-Sa’adi (1973), Hannibal (1975), la prediletta Aisha (1977), Mutasim (1977), Sayf al-Arab (1982) e Khamis (1983).
FIGLI DI PAPÀ – Il primogenito è presidente del comitato Olimpico Nazionale e di Libyana, uno dei due operatori telefonici posseduti dalla General Post and Telecommunication Company.
Sayf al-Islam, invece, nonostante il rapporto non proprio idilliaco con l’ingombrante papà, ne segue le orme, a fasi alterne, e dopo essere stato beccato a copiare la tesi di master, diventa portavoce del regime.
Il terzo figlio di Gheddafi, Al-Sa’adi, a dispetto del matrimonio con la figlia di un generale dell’esercito libico, si improvvisa calciatore, con risultati esilaranti (giusto in Italia riesce a giocare).
Hannibal, invece, ama dare spettacolo nel Belpaese, in Francia e Svizzera, aggredendo forze dell’ordine, passanti e camerieri.
Poco chiara la posizione di Mutasim, confidente di papà, ma al tempo stesso coinvolto in un tentativo di colpo di Stato ai danni del Colonnello.
Il sestogenito, Sayf al-Arab si dedica alle scorribande in Germania, dove gli viene sequestrata anche l’auto.
Più fedele ai geni paterni è sicuramente Khamis, che intraprende la carriera militare tanto seriamente da guadagnarsi il nomignolo di “macellaio”.
La vera cocca di papà, però, è Aisha, avvocato di gente per bene come Saddam Hussein e Muntazar al-Zaydi, giornalista iracheno.
FINE DI UN MITO – Tutto fila liscio fino al 2011, quando in Libia scoppia una rivolta, il Colonnello la reprime e il procuratore del Tribunale Penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo, chiede l’incriminazione di Gheddafi e del figlio Sayf al-Islam per crimini contro l’umanità. Nicolas Sarkozy coglie la palla al balzo e si fa paladino della causa dei ribelli, Barack Obama lo segue a ruota, il Cavaliere non sa che fare, ma alla fine tutti si fondano in Libia.
Bombarda di qua, bombarda di là, il raìs fugge e ogni tanto si fa sentire alla radio. I ribelli lo inseguono ma non lo trovano, ma cerca oggi, cerca domani, il 20 ottobre beccano lui e il figlio al-Mutasim al-Qadhdhāfī e fanno fare a entrambi la fine del topo.

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