di Joshua Evangelista
Si parla dell’ulteriore scivolone dell’Italia, che dal 49esimo posto arriva al 61esimo. Dell’inevitabile peggioramento degli Stati Uniti che precipitano in 47esima posizione (20esimi nel 2010) a causa di quei 25 giornalisti che sono stati arrestati o hanno subito maltrattamenti dalla polizia mentre seguivano le proteste di Occupy Wall Street. Poi c’è l’ormai consolidato trio dell’orrore composto da Turkmenistan, Eritrea e Corea del Nord seguiti a rotta da Sudan, Yemen, Vietnam, Bahrein, Cina, Iran e Siria. Ma lo spunto più interessante dell’annuale report di Reporters Sans Frontiéres sulla libertà di stampa nel mondo è sicuramente il 9° posto del Capo Verde, primo Paese non europeo nella graduatoria.
L’ASCESA AFRICANA Del resto il numero dei paesi africani presenti tra i primi 50 dell’indice è passato dai sette dell’anno scorso ai nove di quest’anno, nella top 100 da 24 si è passati a 27. E il rappresentante principale di questa rivincita “incivile”, il Capo Verde per l’appunto, è stato descritto nel report come “una democrazia sana e un modello di buon governo, in cui i governi possono essere cambiati attraverso le urne, come hanno dimostrato ancora una volta le elezioni presidenziali dell’estate trascorsa. I giornalisti sono completamente liberi e tutti i partiti politici hanno accesso ai media statali”. Anche la Namibia ha una classifica eccellente (20°), di gran lunga migliore a quella di Giappone o Regno Unito, per intenderci.
L’EUROPA DIVISA SULLA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE. Come detto l’Italia continua a perder punti, un brutto voto che “porta ancora i segni del vecchio governo”, si legge nel testo diffuso da Rsf. Il Paese “con le dimissioni di Silvio Berlusconi ha da poco voltato la pagina del conflitto di interesse”. Ma non se la passano molto meglio la Francia (38esima) e la Spagna (39): “Siamo severi verso questi Paesi perché ci aspettiamo da loro un comportamento esemplare” ha commentato Jean-Francois Julliard, segretario generale di Rsf. “Le grandi democrazie potevano fare meglio”. A capo della classifica restano anche quest’anno le scandinave Finlandia e Norvegia, seguite da Olanda, Svizzera e Lussemburgo. Come spiegare quest’europa divisa? In diversi Paesi del Vecchio Continente, dicono dall’organizzazione, “la situazione si degrada”: si moltiplicano gli arresti dei cronisti e le perquisizioni delle redazioni. Chiari esempi sono la Bulgaria (80esima) e la Grecia (70esima), che occupano le peggiori posizioni continentali. Stupisce a tal senso (e dimostra la relatività dell’intera classifica), il fin troppo generoso 40esimo posto dell’Ungheria, che ha da breve votato una legge per il controllo dei media.
LA STAMPA DOPO LE RIVOLUZIONI. Comincia a migliorare la situazione in Tunisia (134esima), mentre l’Egitto, i cui giornalisti hanno conosciuto svariate violenze, perde 39 punti(166°). “Repressione è stata la parola d’ordine per il 2011”, scrive l’associazione. “Gli atti di censura e gli attacchi fisici ai giornalisti – si legge – non sono mai stati così numerosi. Libertà di informazione non ha fatto rima con democrazia”.
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[…] Il report annuale di Reporters Senza Frontiere, stilato a inizio anno, si può riassumere con questa affermazione: “Repressione è stata la parola d’ordine per il 2011. Gli atti di censura e gli attacchi fisici ai giornalisti non sono mai stati così numerosi. Libertà di informazione non ha fatto rima con democrazia”. […]