La memoria dimenticata, l’olocausto di Rom e Sinti

di Valentina Severin

La legge 211 del 20 luglio 2000 della Repubblica Italiana istituisce il Giorno della Memoria. Una memoria lacunosa, che dimentica importanti stralci di quei tempi bui che si sforza di ricordare.

Nella sua strenua lotta contro negazionismo e tendenze neonaziste mal sepolte sotto la cenere del tempo, la Giornata della Memoria tralascia un tassello importante nella ricostruzione della follia razzista della Germania degli anni Trenta e Quaranta: il Porajmos (o Porrajmos), lo sterminio di rom e sinti.

PORAJMOS, IL DIVORAMENTO

In lingua romanì, “porajmos” significa “devastazione, grande divoramento”. E in effetti le popolazioni romanì dell’Europa orientale vennero letteralmente divorate dalla macchina della morte nazista, ma il loro sterminio godette di attenzione quasi nulla, dopo la fine della guerra.

È difficile stabilire quanti rom e sinti morirono nei campi di concentramento tedeschi, perché i gruppi romanì non erano organizzati quanto quelli ebraici e, quindi, non censiti.

Secondo lo studioso Ian Hancock, dell’Università del Texas, furono tra i cinquecentomila e il milione e mezzo i romanì sterminati. Per Sybil Hamilton, storica dello Holocaust Memorial Museum, è più plausibile che le vittime siano state dalle duecentoventimila alle cinquecentomila.

In entrambi in casi si tratta di cifre che non possono essere gettate nel dimenticatoio della Storia.

DEPORTAZIONI ED ESPERIMENTI

La deportazione di rom e sinti nei campi di sterminio iniziò nel 1934, un anno dopo la promulgazione delle Leggi di Norimberga. Spesso agli zingari era destinata una zona separata rispetto agli altri internati, con condizioni ancora più umilianti.

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I prigionieri rom e sinti venivano usati dai nazisti come vere e proprie cavie da laboratorio per esperimenti scientifici. Sterilizzati con pratiche brutali, venivano tenuti in gabbie per diversi giorni. Venivano iniettati nei loro corpi germi e virus patogeni per osservare le reazioni dell’organismo, oppure veniva fatta ingerire loro una quantità di acqua salata tale da farli morire. Anche qualora riuscissero a sopravvivere alle sevizie degli esperimenti, i prigionieri erano consegnati alla morte dalle condizioni disumane del campo.

RIVOLTA DIMENTICATA

Tra gli episodi della Seconda Guerra Mondiale dimenticati dalla memoria comune rientra anche un fatto accaduto nel 1944. Tutti ricorderanno la rivolta degli ebrei relegati nel ghetto di Varsavia, nel 1943, e spesso citata per replicare a chi accusi gli ebrei di passività.

Ma quasi nessuno sarà al corrente dell’insurrezione avvenuta l’anno successivo. Nel 1944 anche i prigionieri rom e sinti del campo di Auschwitz si ribellarono nell’estremo tentativo di sottrarsi ai forni crematori. Vi lasciamo immaginare come si concluse la disperata iniziativa.

In Italia gli zingari non conobbero un trattamento migliore, sebbene il nostro oaese tenda spesso a discostarsi dagli orrori del ventennio nazifascista. Le mete dei rastrellamenti tra le popolazioni romanì italiane erano i campi di Agnone (Isernia), Berra (Ferrara), Bojano (Campobasso), Bolzano, Ferramonti (Cosenza), Tossicìa (Teramo), Vinchitauro (Campobasso) e Perdasefogu (Ogliastra).

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IL DOPOGUERRA

Al termine della guerra, il Porajmos cadde nell’oblio, tanto che non venne mai citato nei processi per i crimini contro l’umanità, come quello di Norimberga, e solo di recente si è cominciato a parlarne.

Se l’Italia non ha mai dato valore allo sterminio di rom e sinti, nel 1980 sulla spinta del Verband Deutscher Sinti und Roma (Unione di Sinti e Rom tedeschi), il governo tedesco riconobbe ufficialmente la persecuzione razziale della quale furono vittime le popolazioni romanì tra il 1934 e il 1945.

E nel 2003 la Germania compì un altro gesto significativo, restituendo la corona e il titolo di campione dei pesi medio-massimi agli eredi di Johann Wilhelm Trollmann, pugile tedesco di etnia sinti.

JOHANN TROLLMANN

Quello di Trollmann rappresenta un caso simbolo della persecuzione razziale di quegli anni. Nato il 27 dicembre del 1902, alla fine degli anni Venti Trollmann era un pugile stimato in tutta la Nazione, ma dopo la promulgazione delle leggi razziali dell’aprile 1933, la sua carriera e la sua vita vennero stroncate.

La parabola discendente di Trollmann iniziò con la revoca illegittima del titolo di campione dei pesi medio-massimi. Per salvare la moglie dalla persecuzione, il pugile divorziò per poi sottoporsi alla sterilizzazione e sottrarsi, così, all’internamento. Nel 1939, però, la Wehrmacht, l’esercito tedesco, lo convocò e lo inviò al fronte, al quale comunque sopravvisse.

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Tuttavia, ritornato in Germania, nel 1941 Trollmann fu catturato dalla Gestapo e deportato al campo di Neuengamme, vicino ad Amburgo, dove morì il 9 febbraio 1943 per un colpo di pistola.

Dimenticato come le altre centinaia di migliaia di rom e sinti bruciati nei forni crematori, la riesumazione del campione nella memoria tedesca risale al 2003, quando la Federazione Pugilistica Tedesca restituì a Trollmann il titolo rubato.


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