Continua il nostro tour alla scoperta di bevande dal mondo e da ogni epoca. Dopo aver assaggiato il pito in Ghana e il pulque in Messico oggi vi proponiamo altre gustose bevande mesoamericane: il tepache, il tesgüino e la chicha.
di Antea Paviotti
Quante volte diciamo scherzando che la birra è sacra, e non può mancare in una vera festa? Niente era più vero per i popoli precolombiani del Mesoamerica, per i quali la birra era un ingrediente irrinunciabile della tavola e delle festività religiose e politiche. Questi popoli ottenevano la loro birra dal mais, elemento fondamentale della loro dieta e della loro concezione cosmogonica (nonché della loro medicina). Il mais era associato al sole e al benessere della comunità, e il re doveva garantire questi elementi alla sua società attraverso dei sacrifici che regolavano lo scambio fra divintà e uomini. Gli dei mandavano sulla terra la pioggia, il sole e il mais, permettendo la vita della comunità, e in cambio gli uomini offrivano mais e bevande derivate, oltre al proprio sangue.
Il tepache è la birra di cui si hanno meno notizie in epoca preispanica, ma il suo nome in nahuatl, “tepiatl”, significa proprio “bevanda del mais”.
Oggi tuttavia il tepache non viene preparato col mais, ma con l’ananas, principalmente, o con altri frutti come mela, arancia, susine, timbiriche (Bromelia karatas): questi vengono messi a fermentare con acqua e zucchero di canna nelle “tepacheras”, botti coperte da un telo, per due o tre giorni; la bevanda che se ne ottiene è dolce e rinfrescante, ed è diffusa soprattutto nel Messico centrale. Si beve ai pasti e durante alcune festività religiose. Se la fermentazione dura più di tre giorni, si ricava un aceto che viene usato per insaporire i piatti.
Il tesgüino
Il tesgüino è un’altra birra ottenuta dal mais, tipica del popolo tarahumara del Chihuahua (Messico settentrionale) ma bevuta anche dagli yaquis del Sonora e dagli huicholes del Nayarit e del Jalisco, i quali lo bevono quotidianamente oltre che durante la settimana santa e il 24 giugno (S. Giovanni), dagli zapotechi dell’Oaxaca, dai Pimas del Sonora, i quali celebrano il raccolto dei campi bevendo tesgüino nella festa dello “yumari”, dai tepehuanos del Durango e dai meticci, che lo bevono leggermente modificato (tejuino).
Tarahumara e tepehuanos prendono le decisioni politiche ed economiche più importanti durante feste chiamate “tesgüinadas”: come lascia intendere il nome, in queste occasioni è previsto un largo consumo di tesgüino, ma esso viene bevuto anche durante feste familiari, celebrazioni religiose e sportive. Sembra che, per via del suo alto contenuto proteico, questi popoli somministrino tesgüino diluito in acqua anche ai bimbi di pochi giorni!
Il nome tesgüino deriva dal nahuatl tecuin, che indica il palpitare del cuore.
Si prendono i grani del mais e si mettono a germogliare in cavità procurate nel terreno, in condizioni di oscurità; usciti i germogli, si aggiunge dell’acqua e si porta a ebollizione; si lascia raffreddare e si aggiungono erbe o parti di diverse piante (le radici, la corteccia, le foglie, il succo), oppure il peyote. Si lascia fermentare il tutto e dopo uno o più giorni (anche dieci giorni, dipende dai gusti) il tesgüino è pronto.
I meticci preparano diversamente il loro tejuin: non utilizzano nessun catalizzatore della fermentazione, ma alla fine della preparazione aggiungono zucchero di canna, grezzo (piloncillo) o raffinato, e succo di limone o ghiaccio. Il tejuin è una bevanda rinfrescante che viene consumata quotidianamente.
La chicha, infine, è una bevanda fatta di mais e acqua (a volte acqua d’orzo; alcuni aggiungono l’ananas o altri frutti e semi locali), centrale nell’antica società inca e consumata ancor oggi nei paesi andini. La particolarità di questa bevanda è che viene preparata masticando parte del mais necessario, che viene poi sputato e unito al resto dei grani fungendo così da lievito. La poltiglia viene fatta bollire, a volte con del lime, e fatta fermentare per tre o quattro giorni. La gradazione è bassa e il sapore di questa bevanda ricorda quello di un forte sidro di mele. Il nome stesso, chica, significherebbe “diventare aspro, amaro”, e si riferirebbe all’azione dovuta alla masticazione del mais.
Gli usi di questa bevanda erano molti e fondamentali nella vita politica e religiosa inca. Innanzitutto era un gesto di ospitalità: quando un nobile visitava un suo pari, portava un vaso di chica, che doveva dividere in due coppe e bere con lui. Lo stesso doveva fare poi chi riceveva la visita: prendeva un suo vaso di chica e riempiva due coppe, una per sé e una per chi lo visitava. Era il più grande onore che un nobile potesse dare e ricevere. Se questo non avveniva, il nobile si considerava insultato, e i rapporti potevano incrinarsi pesantemente.
C’erano tuttavia dei riferimenti alle gerarchie di potere di cui bisognava tener conto quando si offriva una coppa di chica: se la si offriva con la mano sinistra, chi la riceveva aveva uno status inferiore; se la si porgeva con la destra, chi la riceveva godeva dello stesso status o superiore. Questo era importante soprattutto nelle interazioni sociali e di scambio con nuovi partner.La chicha inoltre era legata alla fertilità: durante la semina, alcune ragazze la spargevano sulla terra assieme ai grani; se accidentalmente si spandeva qualche goccia di questa birra, si diceva che “la terra aveva sete”. Una festività particolare infine prevedeva l’impiego della chicha: il “Capac Hucha”, il sacrificio di prigionieri di guerra o di bambini (maschi o femmine) promessi in tributo al re inca dalle comunità alleate. I corpi delle vittime venivano sfregati dei fondi di chicha e, divinizzati, venivano portati con grandi cerimonie in luoghi particolari, huacas (luoghi sacri, dove avveniva lo scambio fra uomini e divinità), delle cave situate ai quattro angoli del territorio circostante. Si riteneva che solo i re inca potessero “far parlare gli huacas”. Qui le vittime venivano sepolte, e a volte venivano sotterrate vive e intossicate attraverso la somministrazione di chicha tramite un tubo per cinque giorni. Con questo rituale, gli Inca si dimostravano in grado di trasferire la spiritualità alle comunità loro sottoposte, e aumentavano in questo modo il proprio prestigio; allo stesso tempo mantenevano l’armonia nell’impero e naturalmente con le divinità.
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