Spagna e Italia: governi diversi, stesse riforme

di Salvatore Possumato

Le politiche economiche e sociali portate avanti dai due paesi, in ottemperanza ai dettami della Ue, hanno un comune denominatore: decisioni calate dall’alto, escludendo qualsiasi possibilità di dialogo

Le direttive della Troika (Fmi, Bce e Ue) sono chiare: per uscire dalla crisi e salvare gli stati a rischio, ma soprattutto i mercati internazionali, è necessario ridurre drasticamente il debito pubblico. Non importa come e a quale prezzo per i cittadini, ciò che conta è che ogni stato membro si impegni a raggiungere il pareggio di bilancio in tempi rapidi.

Riformare il mercato del lavoro è la priorità

E’ così che Italia e Spagna, un governo tecnico (guidato da Mario Monti) e uno democraticamente eletto (Mariano Rajoy) si ritrovano ad attuare identiche misure, aumento delle tasse, tagli alla spesa pubblica e, soprattutto, riforma del mondo del lavoro e del sistema pensionistico, ritenuta imprescindibile per il rilancio dell’economia. In entrambi i casi la ricetta proposta per aumentare la produttività e ridurre il tasso di disoccupazione è quella che in termini tecnici viene definita flessibilità in uscita. Fuori dal politicamente corretto licenziamenti facili. A loro dire le imprese non investono e non assumono perché spaventate dalle eccessive garanzie delle quali godono i lavoratori a tempo indeterminato.

Meno diritti, più flessibilità

Un discorso che in Italia dovrebbe giustificare le modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in base a una costruzione teorica (meno diritti – più occupazione stabile) priva di riscontro nel mondo reale. In Spagna, dove il tasso di disoccupazione si attesta al 23,6% (il più alto in Europa), toccando in alcune comunità autonome picchi del 30%, la reforma laboral mira a introdurre nuovi tipi di contrattualizzazione a tempo determinato, per ‘facilitare’ l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Una pratica che in Italia conosciamo bene, come gli incalcolabili danni prodotti dalla legge Biagi in termini di precarizzazione e progressivo annullamento dei diritti dei lavoratori.

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Trincerandosi dietro la necessità di avviare in tempi strettissimi riforme strutturali, non importa se condivise o meno, in Italia si è cercato di garantire una parvenza di democraticità convocando tavoli di trattativa con le parti sociali. Salvo poi ribadire che il governo andrà avanti per la sua strada, con o senza accordo. Una preoccupazione che non ha minimamente toccato il Pp in Spagna, che ha rinunciato in partenza a qualsiasi forma di dialogo con l’opposizione e i sindacati. A dispetto di uno sciopero generale che visto centinaia di migliaia di persone scendere in piazza.

Gli intoccabili e il linguaggio da regime

Le analogie tra Italia e Spagna non si fermano ai contenuti, identico è anche il metodo adoperato per attuare il piano salva-stato. Monti e Rajoy utilizzano lo stesso linguaggio, espressioni come “svolta epocale” o “stiamo facendo ciò che nessun altro ha avuto il coraggio di fare prima” riproducono un topos presente in qualsiasi discorso pubblico pronunciato dai premier e dai loro ministri. Quasi a voler rimarcare una sorta di ‘sacralità’ del lavoro svolto dal governo.

Un potere autoreferenziale, sordo a ogni tentativo di dialogo

Un’ineluttabilità che non lascia spazio al dialogo, all’ascolto delle posizione di chi quelle misure le sentirà e come sulla sua pelle. Di chi propone un modello alternativo di sviluppo per uscire dalla crisi, perché le strade percorribili sono tante e non necessariamente si deve scegliere quella imposta dalle banche e dalla finanza. E’ interessante analizzare come in particolari momenti storici il potere nelle democrazie occidentali si chiuda sempre più in se stesso, liberandosi da ogni vincolo con la comunità che dovrebbe controllarne e giudicarne l’operato. Un’autoreferenzialità che inconsciamente i cittadini tendono a considerare quasi naturale, un doloroso prezzo da pagare per il bene comune, come mostrano i sondaggi sul consenso (in calo, ma comunque elevato) degli italiani nei confronti dell’esecutivo. Un lavaggio del cervello che i media hanno contribuito ad alimentare paventando il rischio del collasso dell’intero sistema e la necessità di un governo in grado di far quadrare i conti, a costo di enormi sacrifici.


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