Più del 15% dei bambini è povero, l’Unicef bacchetta l’Italia

“In Italia non ci sono ancora politiche adeguate per alleviare la povertà minorile, e quando ci sono non sono mirate a chi ne ha più bisogno”. Il giudizio netto arriva dalla sociologa Chiara Saraceno, esperta nazionale sulla povertà, durante la presentazione del rapporto Unicef intitolato appunto Misurare la povertà tra bambini e adolescenti.

Realizzato dal Centro di Ricerca Innocenti dell’Unicef, il rapporto analizza e confronta i dati sulla povertà infantile nei 35 Paesi più industrializzati del mondo, dove certi servizi fondamentali dovrebbero essere garantiti. I 30 milioni di bambini che secondo questo rapporto vivono in povertà dimostrano però che le cose non sono così semplici.

In questa speciale classifica l’Italia sta al 29° posto, col 15,9% dei bambini e degli adolescenti tra 0 e 17 anni che vive in una condizione di povertà relativa. Al top ci sono come al solito i Paesi del Nord Europa e i Paesi Bassi, con un tasso di povertà relativa intorno al 7%, seguiti da Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito con tassi compresi tra il 10 e il 15 %, mentre Romania e Stati Uniti arrivano a oltre il 20%. L’Italia è dunque al centro, preceduta perfino dall’Estonia. “Funge in pratica da spartiacque tra i Paesi più sviluppati e quelli dalle economie più modeste – continua la sociologa – Comunque si tratta in generale di Paesi definiti ricchi. Come si spiega questo divario nel contrasto alla povertà?”.

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Ecco qui il messaggio principale del report: attraverso la comparazione dei dati tra Paesi con reddito più o meno simile, infatti, gli studiosi hanno dimostrato che la povertà infantile non è inevitabile ma che è frutto di determinate scelte politiche. Un utilizzo delle risorse più mirato, decisioni lungimiranti, un dibattito pubblico aperto e teso a risolvere i problemi: è così che alcuni Paesi stanno facendo meglio di altri per proteggere quella che è la fascia della popolazione più vulnerabile, ovvero i bambini e gli adolescenti.

L’Italia, in questo senso, non ci fa una bella figura. Meno dell’1,5% di Pil è stato investito in trasferimenti in denaro, agevolazioni fiscali e servizi per minorenni e famiglie. Ma soprattutto gli ultimi interventi a livello fiscale e legislativo del governo italiano hanno inciso poco o niente sul problema. “Il tasso di povertà relativa infantile è diminuito passando dal 16,2% al 15,9%. In pratica siamo rimasti fermi” afferma il presidente Unicef Giacomo Guerrera.

Oltre alla povertà relativa, definita come il 50% del reddito medio disponibile dalle famiglie, la ricerca ha introdotto per la prima volta il parametro della “deprivazione materiale”, mai utilizzato nei dati relativi all’infanzia. Per deprivazione materiale s’intende la percentuale di bambini e adolescenti che non ha accesso ad alcuni beni, servizi o attività ritenuti “normali” in società economicamente avanzate come la nostra, come fare almeno due pasti completi al giorno, avere accesso a giochi e svaghi, poter usufruire di libri e spazi adatti allo studio. Perfino la connessione internet rientra ormai tra i servizi che dovrebbero essere sempre garantiti da questa fascia di Paesi.

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I dati Unicef mostrano che in questo caso l’Italia sta al 20° posto, con il 13,3% dei minori che vive in una condizione di deprivazione materiale. “Un dato che colpisce – afferma il curatore del Rapporto Leonardo Menchini – specie se lo confrontiamo con le percentuali attorno al 2% di Islanda, Svezia e Norvegia”.

Per quanto riguarda l’Italia, la sociologa Chiara Saraceno individua diversi punti di criticità: “Il primo – spiega – è che la povertà tra i minori è particolarmente concentrata in termini territoriali. C’è parecchia disparità, nel senso che nascere in una regione o in un’altra cambia veramente il destino di un bambino. Il secondo è relativo al numero dei figli. Più se ne hanno più la situazione peggiora”.

Saraceno non manca poi di citare gli altri due problemi fondamentali, ovvero i salari sempre più bassi, che vanno a colpire soprattutto le famiglie monoreddito, e la mancanza cronica di lavoro, soprattutto femminile. “I nostri studi ci hanno rivelato che l’occupazione materna riduce di due terzi la povertà infantile – continua la studiosa – contando che l’Italia ha tra le percentuali più basse di donne occupate e quindi di madri, ecco spiegata buona parte del problema. Insomma, la migliore politica contro la povertà infantile è questa: fare in modo che le madri stiano sul mercato del lavoro”.

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Anna Toro


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